Poche parole, molti fatti. Lo chef Enrico Bartolini é schivo, riservato, non compare nei programmi tv, il suo regno é la cucina, il suo segreto é il lavoro di squadra con lo staff, il suo hobby…collezionare stelle Michelin!
La prestigiosa guida ne ha affidate 6 ai locali che dirige: due stelle sono andate al ristorante al Mudec(Museo delle Culture) di Milano, una al Casual Ristorante a Bergamo, e una a La Trattoria Enrico Bartolini a Castiglione della Pescaia (ereditato da Ducasse), in Maremma, nella Tenuta La Badiola che ospita l’esclusivo resort L’Andana a cui si sono aggiunte quelle ottenute al Glam di Palazzo Venart di Venezia, al Relais del Sant’Uffizio di Penango nel Monferrato.
Classe ’79 e originario di Pescia (Pistoia), Enrico Bartolini –dopo il diploma all’alberghiero F. Martini in Montecatini Terme, comincia a costruire la sua carriera nelle, prestigiose cucine di Carlo Petrini a Parigi, Mark Page a Londra, e il top chef Massimiliano Alajmo.
Enrico prende la direzione di Le Robinie Vicino a Pavia. Qui nel 2010 diventa manager dell’ elegante ristorante Dodici24 al Devero Hotel a Cavenago, fuori Milano.
Nel febbraio 2013 viene scelto da una prestigiosa azienda di champagne, la Krug, per un progetto di collaborazione a Milano, il primo ‘pop-up’ restaurant in Italia al 27esimo piano del Palazzo del Diamante nel quartiere di Porta Nuova .
Seguendo quest o cammino si trova a collaborare con la CompagniaEmirates, creando e lanciando una nuova linea di birre con l’ azienda Poretti chiamata “Selezione Angelo”.
Collabora poi con il Circolo del commercio di Corso Venezia a Milano, e con altri marchi di lusso come Hermes ideando per la collezione di piatti alcuni menu ad hoc nella location di Palazzo Serbelloni e La Scala di Milano .
Lo abbiamo intervistato poco dopo l’assegnazione delle stelle.
Come è scattata la scintilla per la ricerca in ambito culinario e quale è stato il suo ispiratore?
“Ho iniziato a cucinare da piccolo. Dopo i 19 anni ho scoperto la cucina gourmet stellata a Parigi e me ne sono innamorato. Sono un autodidatta che ha iniziato nella cucina di suo zio e sognava di imparare bene la ricetta dei maltagliati ai funghi. Ma chi mi ha davvero aperto gli occhi sull’alta cucina è stato Massimiliano Alajmo”.
Cosa la colpisce di più quando da consumatore si trova davanti un piatto?
“Il sapore e la capacità di trasformare gli ingredienti in una ricetta”.
Quali tra gli ingredienti rubati alla cucina della tradizione piemontese trova irrinunciabili quando cucina?
“Le nostre ricette sono piene di tocchi e accenni piemontesi. Stagionalmente dal mondo vegetale a quello animale ed enologico siamo sommersi di stimoli e idee dal Piemonte”.
Lei dirige 5 ristoranti in Italia, tutti stellati e due all’estero (Dubai e Honk Kong). Decide personalmente cosa mettere in carta per ogni esercizio e in cosa si differenzia, a livello di scelta la clientela italiana da quella estera?
“Io ho la fortuna di poter esprimere le mie idee in tutti questi posti, ma soprattutto di poterle condividere con ognuno degli chef che guida i singoli progetti. La ristorazione è un lavoro di squadra. sei stelle sono il frutto della condivisione con i cuochi che ho scelto per la loro mentalità, ognuno dei quali ha un’alta conoscenza del territorio e mi dà spunti preziosi. Sta a me e al mio staff capirlo e lavorare affinchè tutto funzioni alla perfezione. Sicuramente, nelle nostre differenze, c’è una cosa che accomuna tutti noi: lavoriamo per ottenere il meglio, condividiamo valori comuni e voglia raccontare, attraverso ciò che facciamo, la nostra identità”.
Cosa ne pensa della foodmania sui social e in Tv (talent show, programmi di cucina etc?)?
“Penso che sia un gran mezzo per diffondere cultura, va usato bene”.
Tre caratteristiche che deve avere uno chef per aggiudicarsi una stella Michelin.
“Non sono io a dare un tale riconoscimento, credo che concretezza dei sapori, ben serviti e attenti al comfort dell ospite siano i primi tre da elencare”.
Tre caratteristiche che deve avere un piatto per essere servito.
“Buono, bello, profumato. Oggi nessuno inventa nulla, ma alla matrice tradizionale di una ricetta oggi possiamo affiancare una ricerca sugli accostamenti e una conoscenza delle tecniche che fanno la differenza”.
Tre caratteristiche che deve avere un giovane per poter fare il lavoro di chef.
“Passione, ambizione, vanità. Credo che l’accoglienza, la cortesia, l’ambiente siano fattori imprescindibili a suscitare l’emozione di un’esperienza, e valgono quanto la creatività di un piatto. venire a lavorare con noi. Chi fa questo mestiere spesso pensa di avere idee uniche, imbattibili e quasi sempre si sbaglia: è probabile che altri centinaia di chef abbiano pensato alla stessa cosa. Stando con noi un giovane può capire quanto davvero contino i valori umani per chi lavora in cucina. La chiave del successo oggi risiede soprattutto nella costanza che ci si mette, nell’impegno, nella concentrazione, meglio se supportati da colleghi che condividono con noi gli stessi obiettivi”.
La sua ambizione più grande…se ce ne sono ancora!
“Sono molto ambizioso e credo che un cuoco stellato debba umilmente ammirare e desiderare il massimo riconoscimento delle tre stelle della guida insieme al consenso dei clienti. Servono anni e impegno”.
Ha mai pensato di aprire un ristorante negli USA?
“Si e mi sono risposto che è presto per me. Solo stage e ne sono affascinato, ma sono più innamorato follemente dell’Italia, tutta”.
Cosa pensa possa apprezzare un cliente che viene dal Nuovo continente?
“Penso che l’Italia sia tutta meravigliosa e i turisti vedono solo i pregi, pesso. Noi dobbiamo essere più bravi a promuovere i nostri pregi e attenti a correggere i nostri difetti senza piangerci a dosso. Gli americani sono tra i più entusiasti tra gli ospiti che ci frequentano”.