“La dieta Mediterranea è molto più di un semplice alimento. Essa promuove l’interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti, e leggende. La dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo”.
Queste sono state le motivazioni che nel novembre del 2010 hanno portato al riconoscimento della Dieta Mediterranea come Patrimonio Culturale immateriale dell’Umanità. Un patrimonio che riconosce le tradizioni alimentari e lo stile di vita di quei popoli che si affacciano sul Mediterraneo ( Italia, Spagna, Grecia, Marocco, Portogallo, Croazia e Cipro).
Tradizioni che sono state tramandate di generazione in generazione e, che non rimandano solo ad un semplice elenco di alimenti, ma ad una vera e propria filosofia e uno stile di vita, a dei modelli sociali che puntano a costruire e rafforzare le relazioni interpersonali, creando un costante e costruttivo dialogo ma, anche una straordinaria creatività senza fine. Ed è così che i valori e l’identità della comunità’ vengono tramandati, creando quel forte e importante legame che deriva dal riconoscimento ed appartenenza e, naturalmente, dalla continuità. Ma, soprattutto testimoniano la vitalità della cultura in cui nasce e si sviluppa. Perché il cibo è cultura da sempre e ovunque.
Dieta deriva dal Greco “diaita”, che significa equilibrio, stile di vita. Si tratta di un complesso e articolato stile di vita in cui anche l‘attività fisica gioca un ruolo decisamente rilevante. Perciò, la Dieta Mediterranea non si riferisce ad una banale lista di cibi, ma anche alla sua sostenibilità ( prodotti freschi , stagionali e locali), alla preparazione secondo ricette tradizionali che rimandano alla nostra memoria e al modo e soprattutto il contesto in cui si consumano
Per questo la dieta Mediterranea deve essere vista al di là della sua valenza di dieta sana ma deve essere inserita all’ interno di un sistema più ampio culturale, sostenibile. In sintesi “ La Dieta Mediterranea, sostiene il Prof Ernesto di Renzo, antropologo dell’Università di Roma Tor Vergata, deve essere inquadrata come patrimonio culturale dotato di specifici significati e di valori socialmente condivisi che investono la sfera dei comportamenti collettivi e che riguardano i nessi intercorrenti tra natura, cultura e società”.
In questo contesto, il cibo diventa, quindi, un mezzo di comunicazione non verbale che riesce quasi magicamente a mediare e a dare vita a relazioni interpersonali tra le comunità differenti. Ma il “cibo” è diventa anche un importante elemento rivitalizzante e rafforzante delle sostenibilità dei sistemi agroalimentari e sopratutto della sicurezza alimentare. In questo modo la Dieta Mediterranea promuove e rafforza il forte legame dell’uomo con la natura e le stagioni e i prodotti della terra, grazie al rispetto della stagionalità dei prodotti, del territorio e della biodiversità (attraverso semine diverse e la rotazione delle colture)
Dieta Mediterranea è, quindi, espressione di quelle antiche pratiche artigianali legate alla produzione, alla conservazione e al consumo del cibo, dove le donne, afferma il Prof. Di Renzo “svolgono un ruolo importante nella trasmissione della conoscenza del rispetto dei ritmi stagionali e eventi di festa, che vengono comunicati alle nuove generazioni”.
Perché la dieta mediterranea ha una storia millenaria che affonda le sue radici nelle abitudini alimentari dell’Antica Grecia e dell’Impero Romano, i cui regimi alimentari erano basati prevalentemente su pane, olio, verdure, pesce, in quantità ridotta formaggi, carne in misura moderata e vino.
È, perciò, l’espressione di uno stile vita mediterraneo in continua evoluzione nel tempo e, che viene costantemente ricreato e riformulato dalle comunità locali in risposta ai mutamenti storici ambientali e sociali. “Le scelte degli alimenti, afferma il Prof de Lorenzo, Direttore della Scuola di Specializzazione in Nutrizione clinica dell’Università di Roma Tor Vergata, in passato erano basate sulle disponibilità dei derivati dell’agricoltura, della pastorizia e della pesca, presenti nei territori della regione mediterranea, che rappresenta un unicum per ricchezza in biodiversità, sia spontanea che antropica.”
“La dieta e le tradizioni- continua il Prof De Lorenzo- enogastronomiche variano in base alle differenze etniche, culturali, religiose e alle produzioni agricole”. Tuttavia, da qualche decennio,( dopo il passaggio da una tipologia di società prevalentemente agro-famigliare ad una prevalentemente industriale-collettiva), la Dieta Mediterranea sta progressivamente scomparendo a causa di una crescente diffusione della cultura urbana, della globalizzazione della produzione e dei consumi, delle economie di scala, della standardizzazione del prodotto e dell’omologazione degli stili di vita.E, anche, Le nuove generazioni, non sembrano apprezzare questo unico patrimonio culturale.
Tutto ciò ha comportato notevoli modificazioni dello stile di vita con un forte impatto sul comportamento nutrizionale. Anche l’attività fisica lavorativa e nel tempo libero si è notevolmente ridotta. Di conseguenza si è registrato un aumento di soggetti obesi, più inclini ad una serie di patologie correlate con scorretti stili di vita e alimentari.
Il primo a parlare di “Dieta Mediterranea” è stato il Prof. Ancel Keys, medico e fisiologo dell’Università del Minnesota, il quale tra il 1957 e il 1960, condusse una interessante ricerca a Nicotera e Creta, sopratutto nelle aree rurali, rilevando la bassa incidenza di malattie cardiovascolari nella popolazione locale, grazie al regime alimentare caratterizzato da alcuni alimenti di base: pane, frutta, verdura, erbe aromatiche, cereali, pesce, olio d’oliva, avanzando, quindi, l’ipotesi che fosse dovuto al tipo di alimentazione caratteristico di quelle particolari aree geografiche. Al contrario nelle aree urbane degli Stati Uniti le malattie cardio vascolari erano in continuo aumento, dovuto anche al crescente benessere del dopoguerra.

In seguito, Ancel Keys, Mr Cholesterol come veniva chiamato, condusse la famosa ricerca epidemiologica nota come “Seven Countries Study”, basata sul confronto di regimi alimentari di circa 12000 mila persone, sparse in sette paesi del mondo ( Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti, e Iugoslavia).
ll Seven Countries Study rappresenta il primo importante studio che evidenzia la stretta relazione tra la dieta e stile di vita, come fattori determinanti di rischio per le malattie cardiovascolari, tra paesi e culture diverse e per un periodo prolungato di tempo.
“Il valore nutrizionale della Dieta Mediterranea è dimostrato scientificamente dal celebre Studio dei sette Paesi – spiega il professor Antonino De Lorenzo-.I ricercatori misero a confronto le diete adottate dalle popolazioni di sette paesi in nazioni diverse per verificarne benefici e difetti. Il risultato dimostrò che il regime alimentare migliore era quello degli abitanti di Nicotera, fedeli seguaci appunto della dieta mediterranea. Dalla ricerca, infatti, emerse che i nicoteresi avevano un tasso molto basso di colesterolo nel sangue e una percentuale minima di malattie di cuore dovuta al semplice regime alimentare adottato, a base di olio d’oliva, pane, pasta fatta in casa, aglio, cipolla rossa, erbe aromatiche, tanta verdura e poca carne”.
Negli Stati Uniti dove, invece, prevaleva e prevale un alimentazione ricca di grassi saturi (burro, latte, e I suoi derivati e carne rossa), la mortalità per cardiopatia era decisamente molto più alta ( praticamente il doppio). Lo studioso americano evidenziò anche come la moderazione fosse la caratteristica principale di questo stile di alimentazione e, fu il primo insieme al suo collaboratore italiano Prof. Flaminio Fidanza a individuare e a promuovere prima uno stile di vita prima e poi di alimentazione, caratteristico delle aree rurali dell’Italia, definendolo “Dieta Mediterranea”. A conclusione del Seven Countries Study, la Dieta Mediterranea venne accettata e condivisa dalle organizzazioni che si occupano a livello internazionale di alimentazione e salute (FAO, OMS) come un modello alimentare, riconosciuto avere un effetto di prevenzione dalle malattie ad alto impatto sociale. Lo studio pioneristico “Seven Countries”, oltre a molte altre ricerche, hanno verificato I benefici sulla salute, riscontrati in diversi paesi per quanto concerne l’obesità la syndrome metabolica, I diabeti di tipo2 le malattie cardiovascolari, alcune malattie neurodegenerative e alcuni tipologie di tumori.
Il Prof De Lorenzo insieme all Prof. Fidanza nel 1989 hanno proposto graficamente il tempio greco romano per promuovere il regime dietetico mediterraneo. Nei primi due gradini alla base del tempio sono riportate due regole fondamentali di comportamento : ”lo stile di vita il più salutare possibile” ed “dispendio energetico della stessa entità”. Il tempio ripropone graficamente le giuste proporzioni tra i vari gruppi di alimenti che devono comporre la razione quotidiana. In basso in una striscia sottile ci sono olio extravergine d’oliva, un bicchiere di vino, meglio se rosso. nelle colonne esterne ci sono cereali, pane, patate, ortaggi frutta e verdura, nelle più sottili pesce e legumi. In alto sono collocati gli alimenti che dovrebbero consumati con moderazione: uova carne, latte e derivati, grassi, zuccheri. Quello che bisogna tenere sempre in considerazione, aggiunge De Lorenzo, è l’apporto e il dispendio di energia che deve risultare sempre in pareggio.”
“La Dieta Mediterranea Italiana di Riferimento-aggiunge De Lorenzo-si configura come sinonimo di dieta moderata; in essa alcuni alimenti caratteristici dell’area mediterranea occupano un posto rilevante anche in funzione dell’ adeguatezza energetica: cereali, legumi, ortaggi, frutta, olio d’oliva, prodotti della pesca e vino, prevalentemente rosso, garantiscono, infatti, un appropriato bilancio tra apporto e dispendio energetico e ciò per tutte le età della vita considerate.”
Nel timpano viene indicata a chiare Lettere la parola MODERAZIONE , principio cardine della DM. Un piano alimentare adeguato alla Dieta Mediterranea Italiana di riferimento, ben bilanciato e basato solo su alimenti biologici, oltre a preservarci dai concimi azotati, che causano la diminuzione del valore biologico delle proteine, dai concimi potassici, che abbassano il magnesio e I minerali, e dai concimi fosfatici, che forniscono una minore quantità di vitamine, migliora alcuni parametri ematici rispetto ai prodotti convenzionali: diminuisce i fattori infiammatori (citochine proinfiammatorie), e anche riduce i marker di stress ossidativo (lipidi idroperrosidi e metaboliti dell’ossido azoto) e di rischio cardiovascolare (omocisteina e profilo lipoproteico).
Come scrisse Newsweek nel 2003 “ The new diet is designed not for short term weight loss but for lifelong weight”. Un modello alimentare, infine, improntato all’insegna della frugalità, della semplicità e della convivialità delle relazioni umane. Oggi rappresenta, senza dubbio, lo snodo di importanti questioni che investono la complessità dei rapporti intercorrenti tra l’uomo e la terra, la cultura e il territorio, il presente e la storia, il profitto e la sostenibilità ambientale.

“È, inoltre, un modo di alimentarsi, sostiene il Prof De Lorenzo “in grado di riconnettere il gusto con la memoria, le ricette con le stagioni, gli appetiti con la salute, gli stomaci con le cittadinanze, secondo consuetudini sedimentatesi nella storia culinaria di ciascun territorio. Un modello gastronomico capace di far coesistere saperi e sapori di attestata derivazione locale e tradizionale: è un modo fortemente identitario del mangiare in grado di ricomporre autenticità smarrite o irrimediabilmente- conclude il Prof De Lorenzo- compromesse dalle omologazioni culturali della modernità globalizzatrice”.
“La dieta mediterranea non è solo – aggiunge, il Prof Fabio Parasecoli, del Dipartimento Nutrition and Food Studies della New York University,- importante dal punto di vista della salute e della nutrizione, ma è anche fatta di pratiche culturali che sono importanti per le identità locali, il mantenimento delle biodiversità, e forme di sviluppo sostenibile sotto forma di produzione alimentare e turismo”.
In conclusione, la Dieta Mediterranea è uno “stile di vita”, dove “il Cibo”, sottolineava il New York Times, “è una scusa per socializzare con amici e familiari, dove la gente trascorre un sacco di tempo all’aria aperta” e dove camminare e andare in bicicletta sono le attività fisiche preferite.”
E, oggi affinché fosse possibile parlare di Dieta Mediterranea e, affinché si giungesse al riconoscimento dell’Unesco dovevano verificarsi una serie eventi come l’esplosione demografica, i cambiamenti climatici, il diffondersi di patologie metaboliche dovute all’eccessivo consumo di alimenti animali e scorretti stili vita, le turbolenze sociali ed economiche , il propagarsi di produzioni agroalimentari che hanno un maggior impatto sul pianeta .
“Possiamo affermare che la Dieta Mediterranea rappresenta, conclude il Prof Di Renzo, la magnifica invenzione capace di soddisfare i bisogni della salute, i bisogni dell’ambiente, i bisogni dell’identita’. Al resto a far diventare la Dieta Mediterranea un patrimonio da salvaguardare e proteggere ci ha pensato l’Unesco.”