Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. A meno che non sei italiano, anzi campano, anzi napoletano o una Marciano, come me, che vuol dire che per me quella regola non vale. E adesso vi spiego il perché.
La prima questione della Pasqua è la data. Ammetiamolo: nessuno, neppure se cristiano praticante a mó di avvocato, ha davvero mai capito come funziona la storia del giorno in cui cade la Santa Pasqua. Si sa solo che cambia, ogni anno, e cade generalmente tra marzo e aprile. Una volta conosciuta la data è corsa all’inutile controllo meteo per la gita fuori porta di Pasquetta, tanto pioverà, e soprattutto all’organizzazione. A Napoli almeno.
Eh sì, perché la differenza tra Pasqua e Natale a casa mia e della gente partenopea, sta solo nel fatto che a Pasqua non bisogna far finta di essere più buoni e non ci si deve scervellare nella scelta dei regali: basta l’uovo. O al massimo la colomba. Meglio se pregiata. Per il resto è tutto più o meno uguale, soprattutto nella tradizionale riunione di famiglia e in quell’inspiegabile maratona culinaria a cui è impossibile sottrarsi.
Chiariamo: la Pasqua si può passare fuori, con gli amici magari, ma ci sarà sempre una mamma napoletana che ti ricorderà che lei ha fatto ‘o Casatiello e che onnivoro o no che tu sia, a Pasqua c’è il capretto. Almeno funziona così a casa mia, dove dopo il Natale, la Pasqua è la ricorrenza dell’ingrasso. Senza possibilità di fuga.
Si comincia il giovedì precedente con l’usanza mai realmente spiegata che e ‘a zupp’e cozz’. Per chi non lo sapesse, si tratta di fette di fresella ben bagnate e condite di cozze e altri molluschi, il tutto zuppato da una specie di unguento piccantissimo e rosso che i messicani alzerebbero bandiera bianca. Il venerdì è il giorno di riposo, e di preparazione all’avvento che il suo lato religioso spesso lo vede contrapposto a quello profano: a Pasqua, per i credenti, Cristo risorge. Per le donne napoletane risorge il Casatiello, questo pezzo di pasta cresciuta e accudita a mó di figlio riempito di tutto il riempibile che si trova in salumeria e che fa il paio a mó di rima baciata solo con la pastiera, questo dolce tipico che raramente viene acquistato: molto più spesso è invece il dono più offerto alla famiglia che cela la velata guerra intra familiare a chi fa la pastiera migliore. Ma sul dolce avremmo modo di tornare.
Il Casatiello merita la nostra attenzione in quanto come dicevo, rappresenta una specie di figlio. Io l’ho capito quando il sabato santo di questa Pasqua ho sentito mia madre dirmi dal balcone: “Nu’, sali tu che io non posso scendere, non lo posso lasciare solo…” “Ma a chi? Stai da sola e non hai lattanti in casa, mà”, le ho chiesto perplessa, ignara della sua spiazzate risposta: “Come a chi?!? Al Casatiello, sta nel forno!”.
Sono quasi convinta che il veloce scambio di battute con mia madre dovrebbe avervi convinto dell’amore materno che una mamma napoletana mette nel Casatiello. Bene, ora che lo avete capito, moltiplicatelo per due e avrete l’idea di cosa è per mia madre, costretta a doppiare la sua Filiatura culinaria per amore di mia sorella, vegetariana, per la quale ha creato il Casatiello vegetariano ai 4 formaggi. Una delizia, non c’è che dire. Ma chiariamo subito: il Casatiello non si può spiegare, il Casatiello si deve mangiare.
Il giorno di Pasqua inizia a casa mia con la chiamata a raccolta di tutti i figli, specie di quelli che hanno cambiato tetto: tre su quattro, a casa mia, due maschi e due femmine. Un clan, comprensivo di mogli e mariti, che riunito a tavola parla degli argomenti più disparati facendo ben attenzione a non scavare in beghe familiari perché è Pasqua e non sta bene. A casa mia siamo in otto, famiglia numerosa come se ne vedono poche in giro e poche nelle future generazioni. Noi otto, alla stessa tavola benedetti dallo stesso ramoscello. Ah, non vi ho detto? Ora vi spiego: a casa mia, come in tutte le case di napoletana origine, vige l’antica usanza della benedizione e in mancanza di un parroco che venga a benedire casa il compito spetta al capo famiglia, nel mio caso mio padre che indugia su quelli che sono i suoi figli più bisognosi a suo parare di assistenza celeste e continua anche nelle stanze delle case. E noi lì dopo il tradizionale segno della croce ad essere bagnati da questa acqua Santa, oggi come trent’anni fa, nel mio caso ottenuta dopo aver bussato alle porte di tutti i condomini e dopo aver fatto fronte comune contando sull’unica famiglia che aveva l’acqua santa, una bottiglia intera perché così come si ripete ogni anno, un solo va in chiesa e tutto il palazzo ne trae beneficio, con buona pace del donatore di acqua benedetta. E poi c’è la palma: quella in casa di solito c’è e così diventa il mezzo di benedizione per tutta la famiglia, per tutto l’anno.
Consumati i tradizionali buon auspici e dopo aver pulito già tra le 4 e le 24 stoviglie tra pentole, tegami e recipienti utilizzati per cucinare il pranzo pasquale e perché poi tutti parlano di Casatiello e pastiera ma nessuno indugia su cosa ci voglia per cucinarli, ingredienti esclusi e quante ore occorrano per lavare tutta la batteria di pentole, tutte a mano perché per mia mamma “la lavastoviglie non pulisce”, e dopo aver reso omaggio e auguri ai vicini di casa, che a Napoli sono quelli del “Cà mamma s’ nasce, cà vicin’ e cas’ s’ more”, si è finalmente pronti per combattere. Eh sì, perché la Pasqua a casa mia non è un pranzo, è un combattimento. Salumi, formaggi, uova, ricotta, carciofi, fellata, radicchio, spaghetti con le patate e capretto, arrosto, spaghetti al pomodoro per la vegetariana e ancora polpette, contorni, fave, frutta, colomba, pastiera e naturalmente dall’antipasto al dolce tutto accompagnato da quel famoso Casatiello di cui sopra che a mó di pane per i cibi salati e a mó di superficie spalmabile addirittura per quelli dolci accompagna tutto il pranzo. In realtà magari il Casatiello limitasse la sua presenza al pranzo pasquale: terminato questo, infatti è dopo circa cinque ore di banchetto (e sono andata per difetto), il Casatiello diventa quell’elemento che accompagna i napoletani per due giorni e oltre: quella cosa che nei giorni tradizionali una mangia un biscottino, nei giorni pasquali mangia il Casatiello o la pastiera, così a mò di stuzzichino. In realtà mi rendo conto che è difficile da spiegare e anche difficile da credere ma vi assicuro che circondata da tutto quel ben di Dio è impossibile non esserne attratti e non mangiare, quasi a dire che non sono io che mangio come se non ci fosse un domani ma sono il Casatiello e la pastiera, assieme alla cioccolata dell’uovo di Pasqua (ma questa di meno) a fissarmi e io non posso far altro che alzarmi e andargli incontro, così, non foss’altro per il rispetto che meritano.
In realtà quando mi hanno chiesto di scrivere questo articolo mi sono resa conto che tutto in questo scritto sarebbe girato attorno al Casatiello, ma val la pena farvi capire quanto quel pezzo di cibo rappresenti la napoletanità, di una tradizione che non finisce, ma che si tramanda con la parola, di qualcosa che ha bisogno di lentezza e calma per crescere, a differenza della veloce voracità che ci circonda, di una mamma che lo dona ai suoi figli in accompagnamento al resto per abitudine e rispetto. A noi, quei figli che attorno a Casatiello ritorniamo tutti figli di famiglia, tutti all’ovile, come a Natale ma senza stress, senza pensare che un altro anno volge al termine, senza bilanci da tirare o buoni propositi da fare, tutti di nuovo assieme e qualcuno che sotto quel tetto genitoriale non ci vive più decide persino di restarci a dormire nel suo letto di bambina, con indosso una tuta che non è sua, su un cuscino più morbido perché in un lettino c’è meno spazio per i pensieri da adulta che in un letto a due piazze. E poi, non sia mai che di notte le venga voglia di Casatiello, come si fa? Non si può certo aspettare il giorno dopo, quel famoso lunedì in Albis, quella Pasquetta dove l’unico pasto assieme alla braciata è appunto il Casatiello. No, non si può aspettare Pasquetta. Ma quella, del Lunedì in Albis. è tutta un’altra storia o meglio tutta un’altra mangiata.
Nunzia Marciano, napoletana, giornalista tv di Canale 8, è l’autrice di Single per legittima difesa, AlessandroPolidoroEditore, 2016