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December 29, 2016
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Osteria San Carlo: un angolo di Torino a SoHo

Aperto da marzo su Thompson Street, propone cucina piemontese al cento per cento

Manuela CaracciolobyManuela Caracciolo
osteria san carlo
Time: 4 mins read

Su Yelp, il Trip Advisor statunitense, hanno già recensioni entusiastiche sia da italiani piemontesi doc in trasferta a New York, sia da locali che amano e apprezzano la buona cucina made in Italy.

L’arma vincente dell’Osteria San Carlo, aperta da marzo a Thompson Street, a SoHo, è la riscoperta della tradizione piemontese: è la storia di sei avventurosi ragazzi che, dal Piemonte (cinque sono di Torino e uno di Tortona), hanno scommesso sui sapori locali esportandoli con fiducia, valutando attentamente cosa e come proporre agli amanti della buona cucina tricolore.

Tutto è nato nella Pianura padana, da un sogno, come spesso accade a New York City, dalle menti di sei amici diventati soci. Tre degli investitori, Teresa Rolle, Andrea Dellavalle e Giorgio Pochettino, rimangono silenti e vivono a Torino; i soci operativi sono Carlo Rolle, già partner di due ristoranti di Torino, Moreno Cerutti, con un passato nelle pubbliche relazioni di ristoranti e locali italiani, e Davide Poggi, l’unico non torinese ma dell’Alessandrino, residente da sette anni a New York e impiegato nella ristorazione.

Un salotto torinese

Il locale è un tuffo nell’eleganza dei salotti torinesi: ci sono una cinquantina di posti a sedere e l’atmosfera è ricercata, con installazioni che rappresentano la bellezza storica di piazza San Carlo. Design italiano per gli interni, con sedie e tavolini di Pedrali e luci Flos, e sulla parete un disegno di piazza San Carlo fatto a mano da Alessio Primavera, un architetto torinese, amico dei proprietari. All’entrata del locale, un toro in ottone, da calpestare per buon auspicio.

osteria-san-carloE tutto sa di Piemonte, dal personale in maggioranza italiano, alle materie prime, punto fondamentale del San Carlo: “In Italia lo chiamiamo chilometro zero — spiega Moreno — perché in ogni luogo si può trovare qualcosa di buono ed è questo che vogliamo trasmettere al pubblico americano. L’origine va preservata ed esportata con tutte le cure del caso per offrire un’alternativa genuina agli spaghetti con le polpette o alla pizza o alla cucina del Sud Italia in genere molto diffusa negli States. Noi, proponendo la tradizione culinaria piemontese, vogliamo differenziarci”.

La storia nel piatto

Chi entra nel ristorante di Thompson street percepisce questi concetti come qualcosa di cool, legato anche al riconoscimento UNESCO che ha incluso i vigneti delle Langhe nel Patrimonio dell’umanità. Cultura, storia, tradizioni e alta qualità sono nel DNA dell’Osteria San Carlo e ricorrono tra le parole dei proprietari e dei dipendenti, tutti istruiti a spiegare non solo le ricette della terra di Piemonte ma anche le tradizioni, la storia della prima capitale d’Italia, le origini dei vini, le particolarità delle materie prime.

Il ristorante San Carlo si struttura come una vera e propria azienda. Ci sono 25 impiegati, tra addetti alla cucina, chef, sous-chef, bartender, manager e altre figure fondamentali. Ognuno ha il suo compito preciso e tutto funziona con orari stabiliti, dalla cucina, agli uffici, all’accoglienza, alla cura degli arredi.

Bevande sabaude

I vini sono il fiore all’occhiello del ristorante: la lista è stata composta dal loro sommelier, con una vasta selezione che ovviamente include il Barolo e il Barbaresco, e vari cocktail a base del vermouth torinese di Cocchi. “Vanno per la maggiore anche  gli spirit e i cocktail come il Milano Torino (simile al Negroni) e il francese Pastis, un altro classico dell’aperitivo sabaudo. Per l’estate abbiamo proposto anche il rosè e dei bianchi fermi”, intervengono i proprietari.

Torino chiama New York

E sulla tavola? Si segue la stagionalità: quest’autunno ad esempio il ristorante ha servito tartufo delle Langhe. E nella stagione fredda, la bagna cauda fa da padrona, presentata nei tipici cocci.

“Per quanto riguarda la carne ci rivolgiamo a Pat La Frieda nel Montana, l’unico ranch americano certificato e autorizzato ad allevare e distribuire manzo piemontese; per il Castelmagno e altri formaggi collaboriamo con Eataly che ci rifornisce di ottimi prodotti”, spiega lo chef Riccardo Zebro.

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I tajarin al tartufo
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Il vitello tonnato

Molti dei piatti tipici della cucina piemontese sono virtualmente sconosciuti oltreoceano, ma l’Osteria San Carlo è impegnata a diffondere questi sapori. “I clienti familiarizzano con i piatti inusuali per loro — spiega ancora  lo chef Riccardo Zebro — come il fritto misto o i fiori di zucchine in pastella ripieni di mozzarella. Gli americani amano il fried [ride]. Il menù prevede piatti introvabili a Manhattan  come la battuta di fassone, i tajarin fatti con quaranta tuorli d’uovo, il vitello tonnato, il risotto al Castelmagno. Un po’ alla volta stanno scoprendo anche il  tonno di coniglio, piatto dalla preparazione molto articolata e lunga, cotto e sfilacciato e servito in un vasetto di vetro con olio e aromi. Tutti i piatti sono cucinati al momento, senza nulla di preparato o conservato. Per quel che riguarda i dessert, gli americani adorano il bonet torinese e la torta di nocciole che, come consistenza e ricchezza di ingredienti, ricorda il loro crumble”.

In una città dove nessuno ha mai tempo di cucinare ma che allo stesso tempo sembra essere stata conquistata da una vera e propria mania foodie, ricette come quelle piemontesi aprono nuove prospettive sulla cucina italiana. “I newyorchesi mangiano molto spesso fuori — continua Zebro — a casa non cucinano quasi mai e sono molto affascinati dalla preparazione dei piatti, ma sono anche molto curiosi sull’educazione alimentare, fanno caso alla leggerezza e alla semplicità di ciò che mangiano. Infatti la tendenza qui è molto cambiata, si preferiscono cibi meno elaborati ed abbondanti, c’è attenzione verso l’alimentazione più salutare e biologica”.

La ricetta

E allora non possiamo che chiedergli di suggerire ai newyorchesi una ricetta piemontese buona ma semplice da eseguire. La risposta è un piatto che, pur essendo un classico della cucina sabauda, ha degli elementi di sicura presa su un pubblico americano: “La battuta al coltello è semplice da realizzare ma richiede ottime materie prime, la carne di fassone deve essere di ottima qualità. Ne servono 250 grammi per una porzione, ma deve essere tagliato finemente con il coltello. Poi si aggiungono mezzo cucchiaio di capperi e uno di acciughe (sott’olio di oliva), mezzo cucchiaio di mostarda, un cucchiaio di olio d’oliva, sale e pepe per condire. E’ un buon piatto servito come antipasto”.

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Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo, fin da bambina ha coltivato la passione per tutto ciò che è creazione ed espressione artistica. Dopo avere frequentato l’Istituto Europeo di Design a Torino e si diploma nel 2001 al Corso di Fashion & Textile Design, lavora per alcuni anni come stilista e graphic designer. Amante della creatività anche nel campo letterario, rispolvera la sua antica passione per la scrittura. E’ giornalista e reporter dal 2007 e collabora con il giornale locale Gazzetta d’Asti e altri fogli locali e con i magazines americani America24 del gruppo il Sole24ore e La Voce di New York scrivendo articoli di costume, arte e cultura. Si occupa di comunicazione per varie realtà associative nell’ambito dell’arte, della cultura , dell’enogastronomia. Ha partecipato e vinto numerosi riconoscimenti letterari con racconti e poesie e ha pubblicato nel 2011 una raccolta di racconti “Storie sole” per Carta e Penna edizioni . A gennaio 2017 è stato pubblicato il suo primo romanzo "Quella notte a Merciful street" edito da Trenta Editore.

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