Nessuno può sottrarsi alla cena e al pranzo di Natale in Sicilia. È un’istituzione vera e propria. Un appuntamento di cui le donne di casa cominciano a parlare già un mese prima.
E le vedi adoperarsi nella scelta del baccalà da comprare, per consacrarlo poi alla frittura con olive o condirlo con il limone per un’insalata da antipasto.
Il rito, che si ripete da anni, anzi da secoli, è un viaggio gastronomico che affonda le radici nella storia della cucina siciliana. Quella che ci hanno lasciato in eredità greci, spagnoli, francesi e arabi.
Ecco perché il menù natalizio siciliano, pur avendo degli immancabili piatti comuni da Trapani a Catania, varia di provincia in provincia. Anzi, spesso di paese in paese.
La cena di Natale è un omaggio alla tradizione siciliana vera, rispettata anche dai sostenitori della nouvelle cuisine sicula che vuole rivedere i piatti tipici, interpretandoli in modo nuovo, alleggerendoli.
Le famiglie, numerosissime, si riuniscono intorno ad una tavolata unica, imbandita a festa.
A Catania, nella parte orientale della Sicilia, il via alla lunga notte che sembra non finire mai, lo danno le crispelle con ricotta e acciughe e quelle di riso e miele. Le crispelle vanno rigorosamente fritte, devono galleggiare nel grande padellone con olio. Il loro profumo, nelle strade, nelle case, è un segno indelebile nell’iconografia olfattiva siciliana.
Le crispelle di riso dette "dei Benedettini" sono dei tipici dolci fritti catanesi. Sembra che a realizzare questo dolce siano state per prime le suore benedettine del convento di Catania nel XVI secolo, come risulta da antichi testi di cronisti catanesi. Questa preparazione sembra avere anche un antenato più economico: il pane col miele. Quando anticamente si diceva "Cc’è-mmeli,… cc’è-mmeli…!", lo si diceva per partecipare alla venuta al mondo di un neonato, per cui quale cosa migliore farlo a natale con conseguente distribuzione di fette di pane spalmate con miele?
Regina indiscussa della tavola natalizia è la scacciata, con la sua variante di scaccia nel Ragusano e Modicano. Forse non erano nemmeno esclusività della gastronomia di strada, anzi c'è a Catania chi sostiene che le scacciate siano nate in casa e che solo quando furono demolite le vecchie cucine provviste di forno a legna, cioè quelle delle case nobili e borghesi, le scacciate siano scese in strada.
Per i sostenitori dell'origine nobile, le Scacciate non nascerebbero quindi cibo popolare, è probabile che siano invece le eredi di nobili torte salate, dei pastizzi, dei timballi, magari un tempo preparate per rifocillare nobili e borghesi in gita in campagna.
Non sarebbe un caso raro, è tanta la gastronomia tradizionale, oggi popolare, che un tempo era appannaggio delle classi più abbienti e dei conventi. Un esempio per tutti: la messinese Mpanata di piscispada. Non è quindi un caso che all'aristocratica pasta frolla, o ad una pasta sfoglia, si sia sostituita la popolare pasta di pane.
C’è la scacciata con cavolfiori affogati nel vino, arricchiti di aglio tritato, olive nere, primosale, acciughe, e pepe; una scacciata di cipolle, con cipollotti scalogni, acciughe, pepe e olio; una Scacciata di broccoli con broccoletti lessi e saltati in padella con aglio tritato, tuma, olive nere, acciughe, pepe e olio. Tutte varianti che sono rimaste usatissime fino ad oggi.
Un altro “pezzo forte” della cena natalizia è la zucca rossa fritta con olive e i broccoli affogati con vino e olive nere. Si aggiungono poi la caponata, i formaggi tipici siciliani come il piacentino ennese, la tuma, il pecorino siciliano, la ricotta, il salame dei nebrodi, quello di suino nero.
A fine cena, ormai stanchi ma appagati, quando il vino rosso dell’Etna ha sposato felicemente le possibili e inimmaginabili variazioni, si fanno quattro chiacchiere davanti alla varietà di frutta secca: mandorle tostate, noccioline del Nebrodi, semi di zucca, pistacchio di Bronte.
C’è spazio però per il brindisi di mezzanotte. La tradizione vuole che sia il panettone classico, quello con frutta secca e canditi, sebbene non proprio appartenente alla tradizione siciliana, a presenziare le ultime ore prima della capitolazione finale.
I dolci tipici siciliani, si riservano uno spazio nel giorno di Natale, quando oltre agli avanzi della sera precedente, si aggiungono le lasagne al ragù o agli spinaci, il pollo ripieno, l’arrosto con contorno. C’è chi preferisce anche la variante con carne di pesce, come il pesce spada.
Ma a Natale, nel pranzo più classico che ci sia, quello siciliano, i protagonisti sono i dolci. Cassata, cassatelle, cannoli, torrone sono i sempre eterni rappresentanti del patrimonio dolciario siciliano. A questi si aggiungono i dolci tipici del Natale: il buccellato, i nucatuli, la cubaita e i mostaccioli. Il cucciddatu come viene chiamato in dialetto siciliano il buccellato, è un impasto di pasta frolla, steso a sfoglia non sottile e farcita con un ripieno di fichi secchi, uva passa, mandorle, scorze d'arancia o altri ingredienti che variano a seconda delle zone in cui viene preparato, poi chiusa e conformata in vari modi, spesso a forma di ciambella.
Il ripieno di mandorle è costituito da un impasto di mandorle pelate, zuccata (zucca candita) e gocce di cioccolato. Il ripieno di fichi, più tradizionale, è invece costituito da un impasto di fichi secchi, frutta candita e pezzetti di cioccolato.
Il buccellato casereccio viene solitamente ricoperto di glassa, quello prodotto in pasticceria è ricoperto di zucchero a velo o di frutta candita.
Di tradizione araba, come quasi tutta la pasticceria siciliana, i nucatuli derivano dalla parola araba nagal che vuol dire noce. Sono a forma di S, aperti sulla superficie, da cui esce la farcia, un impasto variabile di fichi secchi, uva passa, miele o mosto cotto, noci o mandorle, scorza d'arancia o limone e aromi.
Uno dei dolci preferiti dallo scrittore siciliano Andrea Camilleri, la cubaita, torrone tradizionale siciliano, dalle antichissime origini arabe (è araba la parola qubbiat che significa mandorlato) è un trionfo di mandorle, pistacchio, miele, cioccolato. Camilleri la descrive così: La cubaita è semplice e forte, un dolce da guerrieri, lo devi lasciare ad ammorbidirsi un pochino tra lingua e palato, devi quasi persuaderlo con amorevolezza ad essere mangiato. Ti invita alla meditazione ruminante.
Rende più dolce e sopportabile l’introspezione che non sempre è un esercizio piacevole.
Alla dolcezza del miele mischia l'“amarostico” delle mandorle tostate e il ricordo del verde attraverso il pistacchio. Diventa così una sorta di filosofia del vivere.
Ma non finisce qui. A chiudere il pranzo di Natale ci sono i vini dolci siciliani come il passito di Pantelleria, il moscato di Siracusa. Quando tutto sembra essere finito e il corpo e la mente sembrano aver ritrovato ristoro e pace, i siciliani si ritrovano ancora la notte del 25 dicembre per consumare insieme, stanchi ma non vinti, gli avanzi di due giorni interminabili dove sapori, tradizioni, atmosfere uniche sopravvivono e si tramandano negli anni.