A trasferirsi a New York Antonio non ci aveva mai pensato. Voleva imparare l'inglese, sì, ma gli piaceva stare nella sua Calabria e lavorare nel ristorante di famiglia. Eppure oggi Antonio Mermolia, 30 anni, originario di Gioia Tauro, è uno dei giovani chef più promettenti nel panorama della ristorazione italiana a New York. E forse il suo segreto è proprio quella sobrietà senza egocentrismi, quell'impegno certosino senza vanità, il rispetto per i piatti e per gli ingredienti.
Da poco più di un anno, Antonio è chef a Il Punto, un ristorante su 9th avenue e 38th street che nei suoi nove anni di vita, nella competizione culinaria newyorchese, non era riuscito a costruirsi un'identità forte. Da quando Antonio ha fatto il suo ingresso ai fornelli, le cose sono cambiate e oggi, durante i fine settimana, Il Punto vanta liste d'attesa di tutto rispetto. Abbiamo incontrato Antonio una mattina di dicembre. Mentre in cucina già fervevano i preparativi e si sprigionavano aromi e sapori, ci ha raccontato come è arrivato a New York e come ha intenzione di lasciare il suo personale segno nella Grande Mela.
It runs in the family
Come nella migliore tradizione italiana, per Antonio tutto inizia da casa, dalla famiglia. Bisogna andare indietro fino al nonno Bartolo che faceva il commerciante di liquori e generi alimentari, per raccontare la sua passione per i vini e la cucina. E poi alla nonna paterna che per più di 20 anni aveva gestito una bottega di salumi e formaggi e ancora al negozio di vini e dolciumi di papà Salvatore. Ma è soprattutto mamma Marisa, cuoca bravissima nei ritagli di tempo dall'impiego come ragioniere capo al Comune di Gioia Tauro e consulente per il Ministero degli Interni, che trasmette ad Antonio l'amore per la cucina.
Gusto e ristorazione sono nel DNA della famiglia Mermolia e, quando nel 2006 i genitori di Antonio aprirono un albergo in un edificio storico lasciato in eredità dal nonno, fu naturale che seguisse anche un piccolo ristorante. Appena 15 posti a sedere e una cucina calabrese tradizionale, seppure ricercata nella scelta dei prodotti e delle materie prime. Antonio, specializzato in vini e accostamenti, inizialmente stava in sala. Ma un poco alla volta iniziò ad affacciarsi in cucina.
“Il sous-chef di mio padre se ne andò – racconta Antonio, mentre si riempie una tazza di caffè italiano da cui si confessa dipendente – E così ebbi occasione di sperimentarmi in cucina. Sentivo però il bisogno di fare una cucina diversa rispetto a quella che facevano i miei. Dopo un anno e mezzo presi le redini della cucina e diventai io lo chef introducendo delle varianti alla cucina calabrese. Alcuni dei piatti che oggi cucino qui sono nati in quel ristorante, come il raviolo monocolore e la scomposizione della parmigiana di melanzane. Era un ristorante per pochi intimi che non si faceva alcuna pubblicità ma che nonostante questo aveva gente che veniva apposta in albergo a passare la notte per poter mangiare da noi”.
Cambiando aria
Antonio è il tipo di ragazzo che sa che per fare le cose per bene ci vogliono dedizione, ricerca, serietà. E così a 27 anni si allontanò brevemente dall'attività di famiglia per fare un'esperienza di stage in uno dei ristoranti più stellati d'Italia, la Capinera di Pietro D'Agostino, a Taormina. Un passaggio cruciale nella sua formazione come chef. “D'Agostino mi ha insegnato la dedizione giornaliera alle cose. Lui ogni mattina si alza presto, prende il camioncino e va a fare la spesa personalmente, sceglie il pesce, le verdure. Nel suo modo di cucinare c'è un profondo rispetto per la materia prima. C'è un'estrema sobrietà e onestà”.
Tornato in Calabria, si era rimesso a lavorare insieme ai genitori, con nuove idee e voglia di crescere quando un bel giorno, nel ristorante della famiglia Mermolia a Gioia Tauro, fece il suo ingresso Tony Pecora, imprenditore siciliano di base a New York. Pecora era nella ristorazione da lungo tempo con diversi locali tra Manhattan e il Queens, ma ce n'era uno cui teneva particolarmente, un ristorante a due passi da Times Square che tuttavia avrebbe avuto bisogno di una sferzata di novità. Pecora era alla ricerca di un cuoco del Sud Italia che potesse dare a Il Punto un tocco di originalità e carattere. “Voleva rinnovare il menu e così mi propose di fare 3 mesi a New York. Per me sarebbe stata un'esperienza e un modo per imparare la lingua, cosa a cui da tempo pensavo, e loro avrebbero visto come lavoravo e preso qualche spunto dalla mia cucina”.
Era l'aprile del 2012 e Antonio non sapeva che a New York avrebbe trovato una nuova casa e una carriera. Dopo pochi mesi i manager de Il Punto gli proposero di restare e di diventare lo chef del ristorante. A convincere Antonio arrivò poi l'amore. L'incontro con Diana, italo-americana di New York e oggi signora Mermolia, fu decisivo.
Radici nel West
“Mia madre, ancora oggi, ogni tanto al telefono mi chiede 'ma quando torni?', come se dovessi andare a casa domani. Ma ormai so che, almeno per ora, questo è il posto in cui voglio stare. Da quando sono arrivato ho ricevuto molte offerte, ma io voglio farcela qui, in questo ristorante su cui in pochi avrebbero scommesso. Quando sono arrivato c'erano degli elementi di cucina che non funzionavano. Il Punto era aperto da nove anni, ma non aveva espresso il suo potenziale e stava andando sempre di più verso una cucina italo-americana. Io l'ho fatta diventare un'autentica figlia di me stesso. E voglio continuare a caratterizzare il ristorante con la mia cucina. Anche se poi continuo a sognare di andare da qualche altra parte, di aprire un ristorante in un posto più tranquillo… Magari un giorno…”.
Con buona pace di Mamma Marisa, cui Antonio ha dedicato un amaretto che in cucina e in sala tutti chiamano semplicemente Mamma Marisa, lo chef calabrese ha messo radici nella Grande Mela e sta conquistando i palati newyorchesi. E i risultati non hanno tardato ad arrivare: prima Il Punto era al 740° posto sui 10.000 ristoranti di New York presenti su Trip Advisor. Oggi è al 130° e per qualche tempo è stato al 94° posto. Le presenze sono aumentate di 2.000 l'anno. E tutto in meno di un anno e mezzo. E Antonio crede molto nel potenziale del locale: appena arrivato a New York si è reso conto che quella in cui si trovava Il Punto era una zona strategica, destinata a crescere e ad attrarre sempre più una clientela di alto livello. Il West Side di Manhattan sta cambiando e da zona popolare e malfamata si sta trasformando in un'area vivace ed elegante dove non mancano ristoranti, bar e locali. Ma Antonio non teme la competizione: “Vogliamo inserirci in un ambito in cui la competizione non la senti perché fai una cucina diversa, particolare. Ora la gente viene dall'Upper East Side, da Brooklyn, dal New Jersey. Sentono parlare del ristorante e vogliono venire a provarlo. E poi tornano. Stiamo riuscendo a crearci una clientela di affezionati”.
Un'esperienza a 360 gradi
I manager de Il Punto gli hanno dato completa libertà e fiducia non soltanto in materia di cucina ma anche nello stile che questo trentenne senza grilli per la testa poteva dare a un rinnovamento complessivo dell'immagine del locale che infatti negli scorsi mesi è stato anche sottoposto a un restyling architettonico. Per Antonio l'esperienza del cibo non si ferma al piatto. È fatta di contesto, atmosfera, compagnia, suoni, insomma è qualcosa che coinvolge tutti i sensi. “Cerco di andare in profondità e di giocare con le mie ricette, con i sapori, con gli ingredienti, ma anche con il contesto, per creare un'esperienza a 360 gradi. Per esempio con i vini che propongo in abbinamento ai piatti, ma anche con la musica che abbiamo in sala e che scelgo io personalmente cercando di privilegiare artisti giovani che fanno qualcosa di unico, magari con un occhio alla tradizione. La mia filosofia di vita è che non è quello che fai che ti distingue, ma come lo fai. Ultimamente ho sentito una frase a cui penso spesso: non è importante quanto alzi la voce, ma quello che dici, anche se lo dici sottovoce. Nella musica, per esempio, il mio preferito è Sergio Cammariere, che non è per tutti, ma che fa una musica seria, fatta di ricerca. Io nella cucina punto a qualcosa del genere”.
Il Cammariere della cucina
E se Cammariere usa la musica per portare la Calabria nel mondo, Antonio usa i sapori. E i suoi piatti hanno un che di jazz, un jazz che parla calabrese. In una New York e in un'America che per lungo tempo sono state convinte che la cucina italiana di qualità fosse solo quella delle regioni del Nord. “Questo è un ristorante che guarda verso Sud – ci spiega invece Antonio – anche per quanto riguarda la scelta dei vini e dei prodotti in generale. La cucina del Sud ha una grande e lunga tradizione ed è più legata alle persone, quasi sentimentale. E poi la ristorazione italiana si è evoluta molto negli ultimi anni e ci sono tanti cuochi del Sud che attraverso la loro cucina si fanno in qualche modo promotori di quello che l'Italia è oggi. Non si può più parlare di grande cucina regionale, ma di grandi interpreti della cucina regionale. Basta prendere nomi come Ciccio Sultano che porta ai massimi livelli la cucina Ragusana o Nico Romito con quella abruzzese e Massimo Bottura con la cucina modenese. Questa è la ricchezza dell'Italia. Ma a New York non ci sono ancora dei grandi interpreti della cucina del Sud. E io certo non ho intenzione di prendermi questa responsabilità, anche perché la mia cucina non guarda dichiaratamente alla tradizione”. E però la tradizione e la Calabria si affacciano nei piatti di Antonio. Come nei suoi stroncapaccheri, dei paccheri chiusi a mano in farina integrale di grano duro che, ci spiega, prendono il nome dalla stroncatura, la pasta che i contadini facevano macinando la farina che si dava ai cavalli. Antonio ha riutilizzato la stessa farina e lo stesso procedimento per i suoi modernissimi paccheri. Nella sua cucina sono tanti gli ingredienti poveri. “Devo dire che il newyorchese rispetto all'Italiano da un punto di vista gastronomico è più avventuriero. Quando propongo certi piatti fatti anche con parti dell'animale particolari come la lingua o le animelle, che sono piatti poveri, della tradizione, qui generalmente ottengono molto successo. I newyorchesi li adorano. In italia non so nemmeno se mi azzarderei a metterli nel menu”.
Sapore fa rima con cuore
Certo, a volte cucinando a New York si sente la mancanza di qualcuno degli ingredienti cresciuti al sole del Sud Italia. “Alcuni dei pesci che ci sono da noi qui non si trovano. E poi i nostri vegetali sono più saporiti, non c'è niente da fare. Però se vai al farmers' market puoi trovare cose buone anche qui. La scelta degli ingredienti è fondamentale. Io faccio arrivare anche delle cose dall'Italia, come la salsa di pomodoro biologica”.
E tra gli ingredienti, il più prezioso è la passione di chi cucina. “Nella tradizione della cucina del Sud Italia c'è la celebrazione intorno alle mamme e alle nonne che da secoli preparano con amore i piatti per la famiglia. A te non resta che sederti e gioirne. E quello che mangi ti resta dentro. La cucina è un gesto di generosità. È si tratta di un gesto che non puoi calcolare solo in termini di food cost. Le persone che si siedono a mangiare quello che tu prepari decidono di esplorare il tuo mondo”. E con generosità Antonio Mermolia ha voluto condividere con i lettori de La VOCE, una delle ricette che lo caratterizzano di più, il suo signature dish: il gelato alla cipolla con insalata di mare e di bosco. “Una ricetta che – ci racconta – mi è venuta in mente in una di quelle giornate estive di caldo atroce qui a New York. Avevo voglia di gelato e pensavo, ma con queste temperature come fa la gente ad avere voglia di venire a mangiare? Dovremmo inventarci qualcosa di fresco. E la prima immagine che mi è venuta in mente è stata quella è dell'insalatina di mare con cipolla che tipicamente da noi si mangia dopo una giornata in spiaggia: fresca, leggera, saporita. Ho aggiunto l'idea del gelato, verdurine sottili, dei frutti di bosco ed ecco che la ricetta era nata”. Per concepire un piatto così ci vogliono creatività e talento. Per rifarlo, forse, basterà seguire le indicazioni qui di seguito… Enjoy!
Gelato alla cipolla con Insalata di Mare e di Bosco
A una base di Insalata mista, finocchi tagliati a fette molto sottili, rucola, gamberi ( 2-3 per piatto), frutti di bosco (3-4 per piatto) e qualche scaglia di Parmigiano Reggiano, aggiungere una quenelle di gelato di Cipolla, da preparare come segue (per un chilo abbondante di gelato):
Far sobbollire 500 ml di latte intero e 500 ml di panna per circa 15 minuti. Nel frattempo cuocere a parte in acqua e zucchero quattro cipolle rosse di Tropea tagliate a fette sottili per 15-20 minuti, per far perdere loro l'acidità. Scolare le cipolle dall'acqua e unirle a 125 grammi di zucchero e quattro rossi di uovo. Amalgamare il tutto al latte e alla panna e frullare. Passare in gelatiera.