“Say Cheese!!!!”.
E’ proprio il caso di dirlo. Il mercato americano dei formaggi si prende la rivincita ad una delle manifestazioni italiane più importante nel settore di produzione casearia.
Parliamo del festival Cheese a Bra, evento che ogni due anni unisce sotto il marchio Slow food, produttori da tutto il mondo della lavorazione del latte.
Quest’anno l’iniziativa si è svolta dal 20 al 23 settembre 2019.
L’ambito caseario È uno dei settori più importanti del sistema agroalimentare nazionale di cui, con un fatturato pari a 16,3 miliardi di euro, detiene il primato nell’ambito industriale di cui rappresenta il 12%. Eppure i dati sui consumi delle famiglie italiane elaborati dall’Ismea indicano un trend complessivamente in flessione negli ultimi anni. Un quadro molto duro, in netto contrasto rispetto a quello che accade in questi giorni tra le vie e le piazze di Bra, dove oltre 400 allevatori, casari e affinatori provenienti dall’Italia e dall’estero mostrano un settore tutt’altro che in sofferenza.
E’ un mondo ancora tutto da conoscere quello dei formaggi tradizionali americani. A questo proposito, tra produttori italiani e turchi, il marchio a stelle e strisce compare trai vincitori del
Il Premio Resistenza Casearia riconoscimento che, a partire dal 2009, Slow Food assegna a ogni edizione di Cheese a quei pastori, casari, studiosi e appassionati che rifiutano le scorciatoie “industriali” ma che testardamente continuano a produrre formaggi e alimenti rispettando naturalità, tradizione e gusto.
Anche se tutto ciò comporta fatiche, rischi, isolamento, loro resistono. Resistono non solo per loro stessi ma anche per noi, perché mantengono vivi patrimoni straordinari: il saper fare, i paesaggi, il rapporto sano con gli animali, le tecniche tradizionali. Quest’anno Slow Food ha scelto di premiare sei personaggi, riassumendo così le tante straordinarie esperienze racchiuse nei quattro giorni di Cheese.
E due sono Rachel Fritz Schaal e Peter Dixon, ,una coppia del Vermont che nel 2013 dopo 30 anni di esperienza nella produzione di formaggi, ha creato una piccola azienda familiare, la Parish Hill Creamery nel Vermont. I Rachel e Peter hanno iniziato mungendo a mano 35 vacche alimentate al pascolo e ancora oggi producono formaggi solo nella stagione in cui le vacche sono al pascolo. Non pastorizzano e non sottopongono il latte a trattamenti termici: una delle pochissime realtà che non usa fermenti selezionati in tutti gli Stati Uniti. Con il progetto Cornerstone si impegnano a diffondere questa cultura del formaggio e organizzano lezioni e seminari per condividere anche con altri produttori l’importanza del latte crudo e dell’uso della microflora autoctona per convincerli a puntare sulla qualità e l’unicità del latte.
“Con quasi un quarto della produzione mondiale di formaggio, circa 5,5 milioni di tonnellate solo nel 2016, con un aumento di 1,4 milioni di tonnellate nell’ultimo anno, e con la più estesa superficie di pascoli per bovini e investimenti in ricerca e nuove tecnologie, l’America è in grado di rispondere alla domanda crescente di clienti da tutto il mondo” spiega Peter Dixon.
E gli americani non temono la competizione europea: le loro aziende si sono aggiudicate nel 2016 247 medaglie al Concorso mondiale dei formaggi, con il 75% dei riconoscimenti in palio.
Al lavoro di divulgazione di queste realtà sta provvedendo Gourmet Foods International che alla manifestazione Cheese di Bra ha presentato alcune esperienze casearie che uniscono alla ricerca del gusto anche forti scelte di vita, fatte di ritorno alla vita agreste e di immersione nella natura, allontanandosi dalle metropoli ipercinetiche per riscoprire i tempi bucolici.
Dopo il latte crudo, la nuova sfida punta sul tema “Naturale” accendendo i riflettori su tutta quella biodiversità invisibile fatta di batteri, enzimi e lieviti, silenziosamente sotto attacco dall’utilizzo sempre più diffuso di colture selezionate dall’industria. Ecco quindi la nuova area dedicata ai produttori fermier, usando un concetto che non trova ancora un corrispettivo nella nostra lingua: piccole, a volte piccolissime aziende agricole” che vanno oltre il km 0, utilizzando solo il latte di animali di proprietà alimentati esclusivamente a pascolo, che producono formaggi con fermenti autoprodotto o attentamente selezionati.
Tra gli stand di produttori provenienti da Francia, Albania, Germania, Svizzera, Canada, Slovacchia, Ungheria, Irlanda, Austria e Spagna, compare The American Cheese Company, cordata di 6 produttori delle nazioni unite, creata nel 2015, che unisce aziende del Wisconsin, Georgia, California, Vermont, Oregon è stata creata nel 2015 da Donnelly e Raymond Hook .

Si esportano formaggi artigianali dagli Stati Uniti al resto del mondo proprio per far conoscere sapori e lavorazioni da regioni non ancora conosciute all’estero per la produzione casearia.
Ne fanno parte la Sweet Grass Dairy dalla –Georgia e la Rougue Creamery dell’Oregon che producono un blue cheese dal sentore salmastro con note di mirtillo e noci con venature di muffa dolce e anche una tipologia affumicata;
Uplands Cheese –Wisconsin, premiata come migliore azienda produttrice in formaggi America, che presenta un prodotto, il segue il Meadow Creek Dairy della Virginia con l’Appalachian, prodotto semimorbido dal sapore burroso e delle muffe scure all’interno e il Mountaineer, invecchiato dai sei ai nove mesi, che sviluppa il sapore latteo e lo trasforma al palato in un sapore di nocciole tostate che termina con un accenno di cipolla caramellata. Infine il Grayson, perfetto con il pane croccante o la frutta secca con una pasta morbida leggermente dolce con note erbacee e un retrogusto terroso.
C’è poi la Shy Brothers Farm dal –Massachusetts che produce il Cloumage® che utilizza le più antiche tecniche naturali, lasciando riposare il caglio per 4 giorni che diventa piacevolmente dolce e saporito e, allo stesso tempo, gli dona morbidezza.
Dalla California le Bellwether Farms –producono ricotta di mucca che ha una consistenza leggera data dal latte intero delle mucche del Jersey ; il prodotto viene lentamente scaldato in piccoli canestrelli.
“Altro nostro prodotto è il Carmody – spiegano i proprietari- il nome deriva da una strada ventosa che attraversa la costa di Petalum. Il nostro formaggio esalta al palato il burro ed ha un color oro intenso, grazie al latte vaccino del Jersey. E abbiamo portato qui anche il San Andreas, non troppo sapido ma che ricorda un po’la selvaggina, il gusto pulito del latte che è ancora presente in questo prodotto invecchiato con il caratteristico retrogusto nocciolato ,tipico del latte di pecora. La farina che il San Andrea rilascia durante la maturazione è il segretp di questa specialità leggera e saporita..”.
Chiude la lista di ospiti a Cheese la Capriole Goat Cheeses –Indiana, specializzata in formaggi di capra.
Ma quali sono i formaggi americani più esportati dagli usa all’estero?
“Sicuramente il Cheddar– spiega il gastronomo e storico dei formaggi Paul Kindstedt– con un valore di esportazione di un miliardo e 391 milioni di dollari. Ci sono anche i famosi Colby e Monterrey Jack. Ultimamente il mercato americano sta conquistando anche il mercato asiatico che fino a poco tempo fa non era riconosciuto tra i consumatori di formaggio. Le previsioni indicano però la Cina come maggior potenziale importatore di prodotti caseari statunitensi”.
Leggendo gli ultimi numeri sul comparto diffusi dal centro statistico del Dipartimento dell’Agricoltura americano nel 2017 sono 5,3 miliardi di chili i cosiddetti “italian cheese” prodotti sul suolo USA, contro i 5,1 miliardi di chili relativi alla produzione di formaggi americani.
Il merito, secondo il gastronomo, sarebbe da “ricondurre al boom della pizza e al proliferare – pressoché ininterrotto e crescente – di pizzerie in tutto il Paese. La nascita di catene specializzate ha accelerato le dinamiche, trainando la crescita del comparto caseario italiano, che oggi è ancora ampiamente dominato dalla mozzarella, seguita da ricotta e formaggi freschi, provoloni.”
Per dare basi solide al progetto, Slow Food ha riconsiderato il normale assetto di un Presidio a favore di un progetto con obiettivi nuovi. Il risultato è un Presidio che coinvolge oltre 24 casari accomunati dall’esigenza di migliorare la qualità dei formaggi a latte crudo e di stabilire legami tra i produttori.
I produttori lavorano rispettando la varietà del loro territorio, dei pascoli e boschi, delle greggi e utilizzando esclusivamente il latte crudo dei loro animali garantendo così un formaggio buono e gustoso, nutriente e sano.
I 31 formaggi del Presidio rispettano le regole ferree del disciplinare di Produzione: sono tutti prodotti con il latte crudo proveniente da mucche trattate con umanità, che vivono in fattorie rispettose dell’ambiente. Ogni formaggio è stato valutato per la sua qualità generale per assicurare la sua bontà e genuinità.

I membri del Presidio hanno deciso di lavorare attivamente per raggiungere gli standard stabiliti dal disciplinare stilato nel 2007. Per migliorare la qualità della produzione dei formaggi a latte crudo, ogni produttore di formaggi che entra a far parte del Presidio si impegna a raggiungere i criteri elencati nel documento entro sei anni.
Nel corso degli ultimi 25 anni, i casari americani hanno sviluppato una serie di straordinari formaggi artigianali a latte crudo, capaci di esaltare i sapori e i profumi della zona di produzione. Spesso inventati o ispirati a prodotti già esistenti, i formaggi americani a latte crudo sono unici come i casari che li producono, tanto da rifletterne i tratti della personalità e raccontare la storia del territorio. A pasta compatta, morbida o cotta, a crosta lavata o pressata, hanno le forme più svariate: circolari ed enormi (raggiungono anche i 40 chilogrammi di peso) oppure molto piccole (di appena un etto). Possono essere avvolti nelle foglie, ricoperti di cenere oppure strofinati con il sale.
I formaggi selezionati dal Presidio hanno un importante denominatore comune l’uso di latte crudo di produzione propria, oppure proveniente dalle cascine dei dintorni e rispondono alla ferma convinzione che un’agricoltura sostenibile non possa prescindere da artigianalità e manualità.
Negli Stati Uniti la vendita dei formaggi a latte non pastorizzato stagionati meno di sessanta giorni è illegale.
La mancanza di un’identità territoriale del prodotto e le difficoltà di comunicazione fra i produttori disseminati in diverse zone del Paese hanno reso difficile la creazione di una serie di regole di produzione per i formaggi americani non pastorizzati.
Alcuni produttori del Presidio producono un solo tipo di formaggio, mentre altri ne producono diverse varietà: il risultato è una crescente consapevolezza e una maggiore richiesta di formaggi americani a latte crudo, sia nelle città che nelle zone rurali,ma l’ American Cheese Company sembra essere una prima risposta ad un mercato in crescita, che sicuramente può guardare al futuro con un sorriso.