Nell’ambito della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (30 agosto/9 settembre), la sezione delle Giornate degli autori, giunta alla sua ventesima edizione, sarà la prima senza il suo presidente, il giornalista Andrea Purgatori recentemente scomparso e il suo ideatore Citto Maselli .
Nata sul modello della Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e promossa dalle associazioni dei registi e degli autori cinematografici italiani, Anac e 100autori, Le Giornate degli Autori si svolge al Lido di Venezia, nelle sale della Mostra del Cinema, e nella Villa degli Autori.
I film della speciale sezione, passata ora sotto la direzione artistica di Gaia Furrer, continuano a guardare in particolar modo al cinema non europeo, nel segno dell’inclusione, offrendo lungometraggi coraggiosi, talvolta, diciamolo pure, difficili da classificare, per lo più di esordienti ed espressione di uno sguardo rivolto al mondo, ai suoi conflitti ma anche a luoghi di speranza e salvezza. Insomma, attenzione per il cinema di qualità, senza restrizioni di sorta, con un occhio di riguardo per innovazione, ricerca, originalità espressiva e indipendenza autonoma e produttiva. Quest’anno viva l’attenzione sui temi tristemente attuali del presente: dalla rivolta in Iran alla guerra in Ucraina, dalla diaspora palestinese alle problematiche legate al cambiamento climatico.

Evento speciale della giornata inaugurale l’iraniano Aftab Mishavad (The Sun Will Rise) di Ayat Najafi, ispirato a Lisistrata, che racconta la rivoluzione tra le strade di Teheran dal punto di vista di un gruppo teatrale. Fuori concorso anche il macedone 21 Days Until the End of the World di Teona Strugar Mitevska, che prova a rispondere alla domanda semplice e molto attuale (conflitto russo-ucraino): come reagiresti se sapessi che mancano pochissimi giorni alla fine del mondo?

Dieci i film in concorso che verranno valutati da una giuria presieduta dal regista portoghese João Pedro Rodrigues.
Ad aprire la rassegna sarà Gli oceani sono i veri continenti, esordio nel lungometraggio del regista milanese Tommaso Santambrogio: in bianco e nero e integralmente ambientato nella Cuba contemporanea restituisce malinconia e vitalità, speranze e sogni perduti, attraverso tre generazioni.

Wu Yue Xue, Snow in Midsummer, film drammatico di Chong Keat Aun: Il 13 maggio del 1969, a seguito di tensioni post-elettorali, a Kuala Lumpur scoppia una rivolta. Durante la rappresentazione da parte di un teatro di strada dell’opera cinese Neve a Giugno la sommossa viene repressa nel sangue. Nella concitazione, Ah Eng e sua madre sono messe in salvo dalla troupe, ma perdono i contatti con il fratello e il padre. 49 anni dopo Ah Eng fa ritorno a Kuala Lumpur.
Seguiranno il film francese Sidoni eau Japon di Élise Girard: Bisogna andare in capo al mondo per ritrovare sé stessi? Per Sidonie, interpretata da Isabelle Huppert, pare proprio di sì. In un continuo alternarsi tra passato e presente, tra fantasmi e persone reali, la donna ritrova senso e identità perduti.

Il giapponese Kanata no uta (Following the Sun) di Kyoshi Sugita è una lode all’altruismo: racconto a tre voci, di altrettante solitudini, tra ascolto, incontro e comprensione.
Melk, esordio dell’olandese Stefanie Kolk parla di maternità ferita: donare agli altri ciò che la sorte ha reso inutile per sé stessi – in questo caso il latte materno destinato a un bambino mai nato – è un segnale probabilmente spiazzante, sicuramente forte. Ed è l’indicazione, non retorica, ma pratica, di voler rinascere con gli altri.

Quitter la nuit della regista belga Delphine Girard è un’indagine poliziesca lucida, mai retorica, una sorta di sequel del cortometraggio Une sœur che le valse la candidatura agli Oscar 2020: l’indagine ruota attorno a uno stupro e riesce a restituire la forza salvifica di un sodalizio femminile (in questo caso tra la vittima e la poliziotta).
Sobre todo de noche del basco Víctor Iriarte: un figlio, una madre biologica, una madre adottiva, cioè la più classica delle triangolazioni narrative che portano al conflitto. E invece, rompendo convenzioni letterarie, il regista offre il racconto di un’alleanza sorta per cercare, e difendere, il senso autentico delle relazioni, anche di quelle che spesso sono intrappolate in vincoli burocratici costruiti da chi non pensa ai sentimenti.

Vampire humaniste cherche suicidaire consentant della canadese Ariane Louis-Seize mette in scena una giovanissima vampira malata di empatia. Rifiuta di nutrirsi perché ucciderebbe, sovvertendo dunque la regola scritta da chi per vivere si sente autorizzato a sopraffare il prossimo.
Backstage dei marocchini Afef Ben Mahmoud e Khalil Benkirane: un road movie atipico, con protagonista una compagnia di danza, in una foresta marocchina, della quale svelano le dinamiche interne tra piccole vendette e regolamenti di conti, segreti e confessioni.

Di sodalizi ed alleanze artistiche parla anche la commedia greca To kalokairi tis Karmen di Zacharias Mavroeidis: apertamente queer esplora il significato di varie relazioni, tra cui quelle con la famiglia, i partner e gli animali domestici e racconta di due amici che si godono una giornata nella spiaggia gay di Atene collaborando a un’idea di lungometraggio.
Film di chiusura, fuori concorso, è lo statunitense Coup! di Austin Stark e Joseph Schuman, con Peter Sargsaard. Protagonista è un piccolo gruppo asserragliato in una villa nel 1918 per proteggersi dall’Influenza Spagnola ma in preda ad istinti umani dai quali dovremmo liberarci: egoismi, ambizioni, sotterfugi, trame oscure, tradimenti. Saremo mai in grado di essere migliori?