Un film che rende onore alla creatività del cinema indipendente italiano, anzi lo esalta. Mi riferisco al lungometraggio Mindemic (Opera Zero) debutto alla regia di Giovanni Basso, prodotto da Magnet Films e distribuito da Azimut Distribution.
Tre i motivi che fanno sì che Mindemic (neologismo che sta a significare qualcosa che turba la mente e vi rimane dentro per un tempo illimitato) riesca, passo dopo passo, ad attrarre lo spettatore: cominciamo con la sceneggiatura (del regista stesso) che, scritta e filmata in tempo di lockdown, riesce a trasferire bene sullo schermo le preoccupazioni, i deliri, le privazioni, le frustrazioni e l’incertezza per il futuro vissuti in quei lunghi mesi di “angosciante clausura”; c’è poi la tecnologia creativa e produttiva usata per le riprese del film (interamente girato in 4K con un telefono iPhone 8+, al quale è stata montata una lente anamorfica americana adattata al sensore mobile, per permettere maggiore possibilità di movimento e angolo di ripresa nella casa/set ed anche l’utilizzo di una crew ridotta ai minimi termini, 4-5).
Infine, ma solo in ordine cronologico, l’ennesima perfetta recitazione del mai sufficientemente apprezzato e premiato, come invece meriterebbe, 73enne attore Giorgio Colangeli (60 film, tra cui La cena; L’aria salata; Alza la testa; 33 partecipazioni a film o serie tv di successo; innumerevoli spettacoli teatrali, tra cui anche la declamazione dell’intera Divina Commedia – la conosce a memoria! – fatta nei luoghi e teatri più disparati).

Mindemic (Opera Zero) segna finalmente per Colangeli la prima volta da protagonista assoluto, principale, di un lungometraggio (produttori, vergogna!). Nel film è Nino, un regista settantenne sul viale del tramonto, che sopravvive ormai senza scopo, isolato nel suo appartamento. Dopo molti anni riceve una telefonata dal suo storico produttore, Fredo, che gli commissiona una nuova sceneggiatura da realizzare in tre giorni. Inizia a scrivere il testo usando la sua amata macchina da scrivere, una Olivetti Lettera 32 su cui spicca l’aforisma “Non di vivere mi ravvivo, ma di cinema sopravvivo”.
Decidendo di realizzare un film epico, di guerra, per trovare supporto nella stesura, Nino cerca di contattare, via Skype, i suoi collaboratori storici: lo sceneggiatore De Paoli (Roberto Andreucci) e l’attore Giovanni Marino (Paolo Gasparini), che però declinano l’offerta di lavoro. Nino riceve anche la visita a casa di una donna (Rosanna Gentili), una escort che è identica a Angela, la moglie che l’ha lasciato anni prima e di cui è ancora innamorato. Procedendo nella scrittura, Nino si perde in un delirio artistico e personale, in cui i ricordi della sua vita con la moglie e le memorie con i suoi amici e collaboratori si mescolano a quelli della storia che vuole raccontare, generando in lui un cortocircuito in cui non riesce più a distinguere tra verità e finzione. Una “pandemia della mente” che non ha nulla a che vedere con quella realmente vissuta da tutti noi, ma che comunque può averci lasciato dentro un seme di follia, per ognuno diverso.
Mindemic (Opera Zero), scritto in soli 4 mesi e in cui la pandemia è stata solo un pretesto per
Basso per raccontare il personaggio di Nino, è soprattutto un film sulla creatività. una grande
metafora sull’arte e sulla vita, sull’aspirazione di poter creare, di sentirci liberi e vivi, compresi
anche, in un mondo ostico e difficile. Scorre bene, anche se in alcuni piccoli momenti “sobbalza”
nella storia: piccolissimi nei che non pregiudicano l’accettazione finale del film come ben ideato,
scritto, filmato e recitato. Peccato solo che il film non goda di una distribuzione più capillare: sulle
difficoltà del tanto bistrattato cinema indipendente italiano, ecco su cosa bisognerebbe aprire un
approfondito dibattito!

Ecco quanto dettoci in esclusiva dal regista Basso e dall’attore Colangeli.
Il film inizia con la frase della scrittrice americana Maxime Hong Kingston “In un tempo di distruzione, create qualcosa”: perché questa scelta?
Basso “Considerando tutta una serie di realtà presenti nel mondo di oggi, occorre pensare di trascorrere il proprio tempo creando qualcosa e non distruggendo qualcosa: non pensare ad attaccare qualcuno ma al come unirsi. Mi piace molto quella frase”.
Cosa della sceneggiatura l’ha colpita in modo particolare da spingerla a dire sì al progetto”
Colangeli “Questa situazione particolare di una solitudine creativa Ecco questa è stata la cosa che mi ha attirato Anche perché venivo da un lungo periodo di solitudine con il lockdown, che ho fatto da solo in casa, e che quindi ero passato per una cosa di questo tipo: passeggiate in casa avanti e indietro, come uno squalo che si muove per non morire, dicendo talvolta delle stupidaggini o ripassando la Divina Commedia. Mi ha attratto l’idea di poter vivere quei momenti in maniera creativa, poter insomma ‘condividere’ in modo artistico un’esperienza personale che avevo fatto un anno prima”.
In alcuni passaggi del film appare l’impronta kafkiana, ma anche Pirandello sembra avere il suo peso: quali sono stati gli autori più importanti nella sua formazione?
Basso “Fin da bambino i miei genitori mi facevano vedere i film di Fellini, Antonioni, Ferreri, Gregoretti, Germi: quel cinema molto creativo e impegnato di quell’epoca e così in Mindemic ci sono diversi omaggi a quei film, come per esempio Dillinger è morto di Ferreri, il film che mi ha fatto scoprire non solo il regista ma anche ma anche il maestro/compositore Teo Usuelli: mi sono innamorato delle sue musiche per La Rivoluzione Sessuale, film del ’68 di Riccardo Ghione, e le ho volute per il mio film. Dal punto di vista letterario l’autore che ho sempre amato è Bukowski: la sua anima tormentata è stata un po’ il prototipo del mio Nino cinematografico”.
Colangeli, una grande prova d’attore. Quali sono state le emozioni più forti provate ma anche le difficoltà incontrate durante le riprese?
Colangeli. “Trovare le difficoltà non è facile perché abbiamo lavorato bene, con grande spirito d’insieme e in allegria, anche se si era in lockdown. C’è una scena, molto ambigua, che mi è molto piaciuta, quella in esterno, nel finale, sul terrazzo, fatta di silenzio con questo personaggio femminile così misterioso che potrebbe essere una prostituta o la compagna di tutta una vita; poi mi ha colpito la scena in cui mentre mando il progetto del documentario sugli animali mi immedesimo con loro: ho in verità anche pensato di dire ‘no, questo non lo faccio’, ma poi quando ho capito meglio la scena mi sono rimboccato le maniche e l’ho fatta, divertendomi anche. Le cose a cui uno rimane più legato sono proprio quelle che ti sono costate più di un sacrificio! Ha detto mi sono divertito, ma anche stancato perché è stata davvero una maratona massacrante, chiusi in questo appartamento, anche se era veramente una mini troupe: cosa che però ci ha consentito una concezione della realizzazione per cos+ dire “cesariana’, una specie di veni, vidi, vici. Il film non è stato tutto sulle mie spalle, ma il merito va condiviso con Giovanni, con il fonico Maurizio Massa, Rosanna Gentili e i colleghi, il montaggio e la post produzione”
Basso “Proprio per la post produzione, un grazie va anche alla molto professionale Reel One di Roma, con cui in fase di post-produzione abbiamo deciso il colore da dare a tante scene, la tipologia di grana da usare e tante altre cose”.

Mindemic (Opera Zero) è come una metafora sull’arte, sulla vita e sui legami, mentali e affettivi, che ci impediscono di essere liberi: quanto può aiutare l’arte?
Colangeli “Molto. È questa una cosa che dovremmo far capire al maggior numero possibile di persone. Il lockdown da questo punto di vista è stato molto utile: è stato un grosso esperimento sociale che ha dimostrato ulteriormente quanto è importante quello di cui ci siamo privati, di cui abbiamo dovuto privarci. Forse si sarebbe potuto, dovuto, rischiare un po’ di più per mantenerle perché sono fondamentali non fanno parte proprio della salute ma del benessere generale sì”
Basso “Sì condivido quello che dice Giorgio. Qualsiasi forma artistica, anche quella culinaria, è ciò che ti può avvicinare al mondo dell’ultraterreno, fatto di particelle eterne quindi di un qualcosa che non ha un inizio e una fine ma è un flusso continuo che va avanti e che rimarrà ben oltre il nostro tempo che è breve e dura poco. E’ per questo che può contribuire: anche a dire qualcosa che non potremmo dire a voce, tra 500-1000 anni, a qualcuno. L’arte è come il vaso comunicante tra le epoche, grazie alle opere d’arte rimaste, che ci raccontano come erano il cinema, la pittura, la vita sociale, ecc., in quel tempo passato. Il cinema ha un grande compito in questo perché, in quanto settima arte racchiude tutte le altre”.
Lei sa a memoria tutta la Divina Commedia: molti dicono che è bella, ma pochi sanno dire perché: che ne pensa?
Colangeli “Della Divina Commedia se ne conoscono e se ne fanno solo 56 canti, sempre gli stessi, come se tutto il resto fosse meno poesia. In realtà tutta la Divina Commedia è poesia di altissima qualità, anche laddove il De Santis dice ‘No questa è teologia, non è poesia’. La teologia di Dante è poesia, la teologia stessa è poesia: la tensione, lo sforzo di parlare di cose soprannaturali, con un linguaggio normale, quello che usiamo tutti i giorni, e forzarlo per cercare di esprimere l’inesprimibile, ecco questo compito è proprio della poesia. In quegli anni era proprio anche della teologia, con lo sforzo di parlare di Dio con il linguaggio delle creature di Dio. E’ la stessa cosa: non è che si può andare a distinguere la poesia dalla teologia. Detto questo allora, tutto il poema, questa costruzione straordinaria, che è poi una saldatura del mondo classico e del mondo moderno, è un monumento all’uomo, al poeta”.