Era già apparso in modo chiaro dai primi giorni di questa 78. edizione della Mostra del cinema di Venezia che il filo tematico centrale di gran parte dei film della selezione fosse la maternità, o meglio, la figura della madre finalmente colta in diversi e molteplici aspetti, spesso problematici. Abbiamo salutato con favore, nei precedenti report, l’abbondanza di ritratti femminili complessi, che mostrano angoli veri, vivi e profondi del femminile, spesso assurdamente stigmatizzati dalla società e in conflitto con i ruoli che gli schemi patriarcali perpetuano da sempre.
Il palmares della giuria guidata da Bong Joon-ho conferma questa tendenza, soprattutto con il Leone d’oro, che premia il bel film di Audrey Diwan L’evenement, secondo lungometraggio della regista francese dopo Mais vous êtes fous (2019). Si tratta di un film crudo – alla proiezione stampa cui ho assistito io, una donna è stata male ed è stata accompagnata fuori dalla sala dal personale medico – ambientato nella Francia degli anni ‘60, dove l’aborto è considerato un crimine da punire con la prigione. Qui, Annie, studentessa universitaria di lettere, rimane incinta, ma non è assolutamente intenzionata a rinunciare ai suoi studi e alla sua vita; inizia per lei un’odissea nella quale dovrà affrontare l’arretratezza culturale di una società tremendamente bigotta, la spocchia ipocrita di tutto il mondo maschile, padri e professori in testa, l’indifferenza del partner che l’ha messa incinta e soprattutto la surreale resistenza ideologica dei medici.
L’evenement è scritto in modo ineccepibile a partire dal romanzo autobiografico della scrittrice Annie Ernaux, che questa via crucis l’ha attraversata davvero nel 1963, e impeccabilmente diretto da Audrey Diwan, che sceglie uno sguardo molto diretto e con pochi compromessi e soprattutto dirige magnificamente la giovane Anamaria Vartolomei, che si carica davvero il film sulle spalle e sul volto.
Il leone d’argento e il Gran Premio della giuria vanno ai due film Netflix del concorso, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, di cui abbiamo già parlato e che sarà il probabile candidato italiano agli Oscar, e The Power of the Dog di Jane Campion, bellissimo anti-western della regista di Lezioni di piano, che rimane il film che personalmente ho apprezzato di più, quello che a distanza di giorni continua a tornarmi in mente e a “farsi pensare”.
Il meritatissimo premio come miglior attrice va a Penelope Cruz, protagonista dell’altro grande film sulla maternità, quel Madres Parallelas che, senza esagerare, potrebbe essere il preludio a una nuova fase della straordinaria carriera di Almodòvar. Sempre una madre che scopre, con sgomento, di non “sentire il proprio ruolo è protagonista di The Lost Daughter, esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal, tratto dal romanzo di Elena Ferrante La figlia oscura, che si aggiudica il premio per la miglior sceneggiatura, forse un po’ generoso: opera molto interessante e sicuramente un bell’esordio, manifesta però problemi che riguardano proprio la scrittura, con una sottotrama noir piuttosto inutile che inficia il racconto, molto efficace, di questa donna quarantenne (bravissima Olivia Colman) alle prese con il senso si colpa nato dalla scelta, compiuta anni prima, di abbandonare le proprie figlie e, soprattutto, di essere stata, al momento, felice del distacco. Chiudono il palmares il premio speciale della giuria a Il buco di Michelangelo Frammartino, il film più anticonvenzionale della selezione e uno dei più suggestivi, racconto senza dialoghi di una spedizione speleologica nel Pollino negli anni ‘60, e la coppa Volpi maschile al filippino John Arcilla, per il fluviale poliziesco On the Job: the missing eight di Erik Matti, che batte la concorrenza del nostro Toni Servillo.
Va in archivio una delle più ricche e convincenti selezioni della Biennale Cinema degli ultimi anni. Appuntamento al 31 agosto 2022.