La 93esima edizione dei premi Oscar si è tenuta in una nuova location: il Dolby Theatre di Los Angeles, due mesi dopo rispetto a quanto originariamente previsto a causa della pandemia. Gli stessi criteri di ammissibilità dei film sono stati modificati per tenere conto di quelli in principio destinati ad essere distribuiti nelle sale e alla fine mandati in onda in streaming.
Non è stato un periodo facile per l’arte. COVID-19 ha cambiato profondamente gli assetti sociali e anche l’approccio alla produzione cinematografica. Le sale sono ormai chiuse da due anni, mentre le piattaforme hanno premuto sull’acceleratore. Una piacevole sorpresa è stato vedere come il cinema d’autore abbia imperato durante questa edizione a differenza degli altri anni, dove è sempre stato il genere commerciale a fare da padrone.
Che sia forse sentore di cambiamento? Una presa di coscienza sia da parte del pubblico che degli addetti ai lavori? Non è forse stato durante i periodi di crisi, quando il mondo intorno sembrava collassare, che gli artisti hanno dato il meglio? Giusto per fare un esempio: il Decadentismo che in Francia ha dato vita a Charles Baudelaire e in Italia a Gabriele D‘Annunzio.
Tra i film candidati, la superiorità narrativa è stata espletata nei film internazionali come: “Quo vadis, Aida?” di Jasmila Zbanic, “Minari” di Lee Isaac Chung, “Antoher Round” di Thomas Vinterberg e “The Father-nulla è come sembra” di Florian Zeller, con protagonista un magistrale Anthony Hopkins. Tra le produzioni americane: “Sound of Metal” di Darius Marder, “Nomadland” di Chloé Zhao, “Judas and the Black Messiah” di Shaka King e “Il processo ai Chicago 7” di Aaron Sorkin.
Interessante è stato l’intreccio di queste ultime due pellicole citate, che denunciano il sistema giudiziario americano e il razzismo verso il mondo delle persone di colore, nelle quali viene presentato un personaggio molto importante per i rivoluzionari: Fred Hampton, leader delle Pantere Nere, brutalmente assassinato a Chicago il 4 Dicembre 1969.
Una rassegna, dunque, all’insegna della qualità, con argomenti difficili e importanti come: la guerra, il nomadismo, l’Alzherimer, la sordità, l’alcolismo, l’ingiustizia e la corruzione.
La prima parte si apre con la sezione sceneggiature: il premio alla Miglior Sceneggiatura Originale va a Emerald Fennel, per “Una ragazza promettente”. Un inizio abbastanza deludente se si pensa che nella stessa categoria rientravano “Sound of Metal” e “Minari”!
Si recupera con la sezione Adattamento che va a Christopher Hampton e Florian Zeller, con “The Father – Nulla è come sembra”. Premio assolutamente meritato, per un film che è l’adattamento cinematografico della stessa pièce teatrale del padre di Zeller, già portata sul grande schermo da Philippe Le Guay in Florida.
Nella categoria short documentary vince “Colette”: due donne che affrontano il passato dei crimini del nazismo. La Voce di New York aveva intervistato in esclusiva il regista Anthony Giacchino e la producer Alice Doyard.
Si prosegue con il meritato premio al Miglior Film Internazionale che va a: “Another Round”, di Thomas Vinterberg. Opera certamente interessante, che riesce a trattare un tema delicato come l’alcolismo con ironia. È un “inno alla vita”, come lo definisce il regista, in un discorso toccante, nel quale racconta la tragica morte della figlia, avvenuta appena prima dell’inizio delle riprese, con annesse tutte le difficoltà per realizzare e distribuire un film in piena pandemia in Europa .
Come Miglior Attore Non Protagonista, a vincere è: Daniel Kaluuya, di “Judas and the Black Messiah”. Attore di talento, che nel ruolo dell’attivista Fred Hampton emoziona, ma il discorso che si apre con “Thank God”, ripetuto per almeno tre volte, ricorda quello di Matthew McConaughey del 2014. Insomma, prima di ringraziare l’agente e il produttore sia ringrazia lo Spirito Santo. Questione di punti di vista.
Premio assolutamente immeritato per miglior Makeup e Hairstyling e Costume Design va a Sergio Lopez-Rivera, Mia Neal, Jamika Wilson e Ann Roth, per il film “Mr Rainey’s Black Bottom”. Vedere gli addetti ai lavori di “Pinocchio”, presentati male e velocemente, sbagliando anche il nome di Francesco Pegoretti in Pegorelli, indigna! Quello che è emerso è stato un insopportabile politicamente corretto, che vuole far diventare il cinema il capo delle cause sociali mondiali! A nessuno interessa durante la premiazione al miglior trucco, parrucco e costumi, un discorso di propaganda femminista-anti razzista!
La verità è che gli italiani, sanno far sognare, gli altri copiano soltanto! Dunque, anche se Pinocchio, di Matteo Garrone, non ha vinto la statuetta, rimane un capolavoro, e non solo per i costumi: avrebbe potuto vincere il premio alla miglior regia! Starà, perciò, al pubblico giudicare e trarre le proprie conclusioni…
Naturalmente il premio alla Miglior Regia va a Chloé Zhao, per “Nomadland”. Una regista elegante e raffinata, che racconta una storia di nomadismo senza volerla drammatizzare, con un’intensa Frances McDormand. È una vera e propria dedica alla libertà: una donna, che dopo aver perso tutto, ha ritrovato la connessione con la natura e con il mondo, non riuscendo più a rientrare nei limiti di una società soffocante. Pellicola, tuttavia, che non supera “The Grapes of Wrath” di John Ford, tratta dall’opera di John Steinbeck, che nel 1962 gli valse in Nobel per la Letteratura. Film meritevole, ma il cui sottotesto è sicuramente l’eco di quelle urla, ricordando però “Niente di nuovo sotto il cielo”.
Premio Miglior Attrice Non Protagonista, va a Yoon Yeo-Jeong, che in “Minari” ha interpretato Soonja. Vittoria sperata, per un’attrice arguta, capace e soprattutto Coreana, il che non è da sottovalutare, si parla di Oscar e in più il cinema asiatico sta sfornando grandi autori, con una forza espressiva unica. Il discorso di ringraziamento è stato divertente e sagace, a tratti provocatorio, simbolo di un artista intelligente e, soprattutto, non ha menzionato nessuna divinità coreana.
Migliore Fotografia va a Eric Messershmidt, DOP di ”Mank”. Ancora una volta ci si chiede come sia possibile, che non sia stato nominato Nicolaj Bruel, che ha curato la fotografia Pinocchio! Eric, ha indubbiamente una bellissimo taglio di capelli, ma visto che in “Mank” si fatica a volte, a capire quale sia l’attore che sta recitando, causa un bianco e nero un po’ troppo black, non si comprende come un direttore di fotografia come Bruel, sia rimasto escluso!
Oscar al Miglior Film va a Nomadland. Un po’ deludente e prevedibile. Avrebbero meritato di più “Sound of Metal” e “The Father-nulla è come sembra”, soprattutto per la narrazione e il lavoro attoriale. La pellicola è molto ben costruita, ma fredda, a volte i personaggi mancano di empatia. C’è una grande tecnica che, però in alcuni momenti, finisce per sovrastare l’emotività.
Frances McDormand vince come Miglior Attrice Protagonista, Oscar meritato, in confronto alle altre candidate. Ha saputo dare voce a delle emozioni così forti, da trasportarti lì, con lei, ad osservare il tramonto in un orizzonte di deserto.
Miglior Attore Protagonista, lo vince un impareggiabile Anthony Hopkins! Una vittoria giusta, per un genio della recitazione che ha saputo impersonificare un personaggio difficilissimo: un anziano malato di Alzheimer. Un viaggio nella mente di un padre, che nel perdere i propri ricordi, vive l’abbandono da parte dei propri affetti, nel quale la realtà si mescola con la fantasia e nulla sembra più avere senso.
Migliore Colonna Sonora va a Jon Batiste, Trent Reznor e Atticus Ross, con “Soul” di Pete Docter e Kemp Powers , che vince anche il premio come Miglior film d’Animaizone.
In conclusione: i film erano tutti interessanti, ma le vittorie piuttosto scontate. Ci sono, state opere come “Quo Vadis, Aida?”, che sono state appena nominate, ed altre che lo sono state troppo. Ma considerata l’autorialità delle pellicole presentate, si spera che nei prossimi anni, il livello possa alzarsi sempre di più e che il cinema continui la sua ripartenza verso una riapertura delle sale e di una visione artistica sempre più progressista.