180 ore di interviste, immagini tratte da oltre 50 differenti archivi, 25 testimonianze dirette: questo il grande lavoro, di due anni, dietro alla realizzazione di Sanpa-Luce e tenebre di San Patrignano: docu-serie in cinque puntate scritta da Gianluca Neri, Carlo Gabardini e Paolo Bernardelli, diretta da Cosima Spender e prodotta da Netflix Italia, che vede ora Eleonora Andreatta (dopo 25 molto produttivi anni a RaiFiction) vice presidente nel settore delle serie originali italiane.
Devo dire, con onestà, che inizialmente, temendo che la serie avrebbe potuto creare scompensi nella dura e difficile lotta quotidiana delle varie comunità italiane esistenti per il recupero dei tossicodipendenti, ero piuttosto scettico di fronte all’utilità di questa docu-serie, ma dopo averla vista la mia opinione è cambiata. Favorevoli o contrari a Muccioli? Scordatevi di parteggiare per una fazione o per l’altra: la docu-serie non ve lo permette! A voi la scelta.
Sanpa è in sostanza un documentario che aiuta non solo a capire meglio il substrato socio-politico nella formazione di quella comunità – nel 1978, sulla collina di Coriano (in provincia di Rimini) – e la personalità del suo fondatore, Vincenzo Muccioli, ma anche a riflettere sulla mancanza di capacità e volontà politica, tra fine anni ’70 e primi anni ’90, di discutere ed affrontare il grosso problema dell’esponenziale proliferazione della droga nelle piazze che stava catturando una generazione di oppositori sociali, di destra e di sinistra, delusi nelle speranze di cambiare il mondo, giovani chiusi in un dilagante individualistico reflusso socio-politico anche per la difficoltà, già da allora, di trovare lavoro.
Chi ha vissuto quegli anni non può scordarsi di come la droga, dopo “la riservatezza” dell’uso principalmente negli ambienti elitari fino agli anni ‘60, catturò sempre più l’interesse della mafia che decise allora di renderla facilmente reperibile, di renderla di massa, offrendola a prezzi stracciati, a solo qualche decina di lire. Come dimenticare i tanti giovani che durante il giorno vagavano per le strade malfermi sulle gambe o distesi sulle panchine, veri zombie semivivi disperatamente alla ricerca di qualche spicciolo per procurarsi la droga, dalla morfina all’eroina, elemosinando, rubando qua e là e anche prostituendosi! Morivano in tanti come mosche.
In quegli anni, l’incapacità di affrontare socialmente l’uso massiccio dell’eroina aveva fortemente influenzato il pensiero di molti e la droga era “il mostro” che giustificava tutto, qualunque risposta. Lo Stato in quel periodo (francamente non ha poi fatto molto nel corso degli anni sul problema), sembrava un pugile suonato, incapace di reagire. Per molti i drogati erano solo “rifiuti da buttare” o da incatenare e buttare via la chiave.
A partire dagli anni Ottanta la “comunità di recupero” divenne sempre più nell’immaginario sociale come l’alternativa ai Sert pubblici che distribuivano metadone per la cura ma il tutto finiva lì. La politica affrontò trovò una “soluzione” al problema droga solo nel 1990 con la legge “Iervolino-Vassalli” – dai nomi dei suoi due promotori: l’allora ministro per gli Affari Sociali, Rosa Russo Iervolino, della Democrazia Cristiana, e il ministro della Giustizia, Giuliano Vassalli, socialista (Premier era Giulio Andreotti, al suo sesto governo!): stabiliva principalmente che l’uso personale di droga – sia “leggera” che “pesante” – era un illecito, ma prevedeva sanzioni soprattutto di tipo amministrativo. Un contributo importante a quella legge fu dato da Vincenzo Muccioli, fondatore della comunità di recupero di San Patrignano, molto vicino a quel mondo politico. La realtà è che in definitiva in Italia, “per non farsi grandi nemici” si è combattuto per lo più il piccolo spaccio, quello grosso no!
Ecco perché Sanpa-Luce e tenebre di San Patrignano è un documentario per diversi aspetti – tra cui quello di specchio socio-politico di quegli anni – di indiscusso valore, pur se con alcuni “difetti” nella realizzazione, quali una certa lentezza e talvolta delle ripetizioni, dal valore solo spettacolare ma non di riflessione, e la “mancanza” di donne (ne parlo più avanti).
La docu-serie di Netflix sembra prefiggersi principalmente, pur senza scegliere una precisa posizione antagonista, di suscitare il dubbio che forse Muccioli non era quello “stinco di santo” che vogliono farci credere, ma soltanto un uomo che, preso quasi da un delirio di onnipotenza alimentato dal supporto entusiastico di tanti genitori e da quello dei politici del tempo – che vedevano in lui “il salvatore” che si accollava il dramma della droga perché loro erano incapaci di affrontarlo -, non riteneva che i tossicodipendenti avessero diritti come ogni altra persona, ma fossero solo uomini e donne da dover sottomettere cercando di sostituire la sua volontà alla loro.
Muccioli e la sua “creatura”, San Patrignano, vengono raccontati dal figlio, da ex ospiti importanti della comunità, da giornalisti, magistrati, psicanalisti e da documenti e materiali d’archivio.
Ma chi era Muccioli? Un santo, un manipolatore violento, un misogino o un uomo caritatevole diventato un potente con manie di controllo? Questa l’idea di uno degli autori, Gianluca Neri: “Parlava a nome di Dio, diceva che il raggio cristico veniva emanato da lui. Voleva essere un leader, voleva una comunità in cui poter lasciare il segno. Che questa fosse terapeutica, è stata solo una coincidenza. SanPa ti fornisce gli strumenti di conoscenza della vicenda, ma vuole che la verità sia quella che ti costruisci tu. E a volte, ho scoperto, la verità è perfino l’unione di due bugie”.
Verso la fine degli anni ’70, Muccioli, albergatore alla Stella Polare, hotel di Rimini di proprietà della moglie Antonietta, una forte passione per l’occultismo (si vantava di poteri extrasensoriali e creò sulla collina di San Patrignano il gruppo Il Cenacolo, nel quale gli adepti sembra venissero invitati a privarsi dei loro beni terreni e a rinunciare alle tentazioni della carne) e una presenza fisica imponente, carismatica, diventa una specie di leggenda vivente: molti benefattori lo aiutano quando decide di dar vita alla comunità per tossicodipendenti (soprattutto i Moratti ed altri personaggi famosi, come, tra gli altri Paolo Villaggio e Carlo Maria Salerno, che lì mandarono i loro figli a curarsi ), moltitudini di genitori italiani lo sostengono anche con manifestazioni, cortei (ad uno spettacolo di Mike Buongiorno il pubblico approva i metodi coercitivi di Muccioli con il 92%!). I politici fanno a gara a frequentarlo e i programmi tv se lo contendono in continuazione.
Ma non tutto fila liscio: iniziano i primi sospetti e i primi processi con l’accusa che a San Patrignano si usano anche metodi molto violenti e illegali per costringere i giovani critici dei metodi, riottosi, ad “allinearsi”, con le buone o con le cattive.
Soprattutto dopo che, in contemporanea con la crescita massiccia del numero degli ospiti (dai quasi 100 giovani iniziali si passa ben presto a 300 e poi a 1000!), il successo porta tanti soldi e impegni ed allora Muccioli decide di delegare il potere a giovani fidati che gli vanno a riferire ogni anomalia. Il problema però è che diversi di loro hanno un carattere autoritario e violento: con la conseguenza che la gestione della comunità sembra scappare di mano al suo fondatore.
I più riottosi vengono spesso pestati a sangue, chiusi in bugigattoli di pochissimi, claustrofobici metri, e presto pieni dei loro stessi escrementi, o incatenati per giorni, senza cibo. A San Patrignano, tra i 40 settori in cui è divisa la vita di comunità, ce ne sono due specificatamente punitivi, la Macelleria e la Manutenzione, circondati da reticolato con filo spinato in cima. Ci scappano anche i primi morti “ufficiali” (di alcuni suicidi, come quello di Natalia Berla, si nutre il dubbio che siano stati “forzati”!). Nonostante ciò Muccioli sembra invincibile, almeno fino a quando a denunciare gli eccessi in comunità sono proprio alcuni “colonnelli” del suo cerchio magico.
L’omicidio per cui Muccioli è stato condannato a 20 mesi di prigione ma poi assolto dall’accusa di omicidio volontario, in quanto a conoscenza di quanto sarebbe avvenuto, è quello di Roberto Maranzano, ucciso nella Macelleria dove fu sottoposto a violenze pesantissime e dal capo di essa, con gravi problemi psicologici Alfio Russo, che gli diede il colpo finale saltandogli con i piedi sul collo (il corpo della vittima fu poi trasportato lontano, in una discarica nel napoletano, a Terzigno).
Come detto in precedenza, il grande successo di pubblico, politici e benefattori portò a San Patrignano una grande quantità di denaro che Muccioli sfruttò anche per alimentare il suo smisurato amore per gli animali: testimoni intervistati indicano l’avvenuto trasporto in macchina di grosse somme di denaro (la guardia del corpo Walter Delogu fu arrestato al confine francese con 300 milioni di lire nascosti nell’auto) per acquistare due purosangue, costati ciascuno, secondo voci, alcuni miliardi di lire.
Come detto in precedenza, nella docu-serie di Netflix diretta da Cosima Spender ci sono poche donne (tra gli intervistati a lungo solo Antonella De Stefani): come mai’ “Perché quelle che interessavano di più erano morte di Aids”, ha spiegato Gianluca Neri. Ai tempi di Muccioli i ruoli centrali erano tutti affidati agli uomini, ma ora non è più così: oggi diverse donne hanno incarichi di responsabilità. Dalle testimonianze ricavate per la docu-serie si evince che la sfera privata degli ospiti della comunità era controllata fin quasi al minimo dettaglio e demonizzata: qualche coppia affettiva sì formò, ma bisognava avere prima il permesso del capo-gruppo anche per tenersi per mano.
Fra i tanti testimoni di Sanpa-Luce e tenebre di San Patrignano ci sono alcuni stretti collaboratori di Muccioli, come il già citato ex autista e guardia del corpo Walter Delogu o l’ex capo ufficio stampa, e filosofo, Fabio Cantelli (sua le narrazioni più significative e pregnanti con il suo ancora tangibile amore-odio per Muccioli), il vero primo braccio destro di Muccioli, Roberto Assirelli, ma anche Andrea Muccioli, figlio di Vincenzo che raccolse le redini della comunità dalla morte del padre fino al 2011, Vincenzo Andreucci, magistrato di Rimini nei due processi in cui fu coinvolto Muccioli, Luciano Nigro, ospite da giovane della comunità e poi giornalista, e Red Ronnie, presentatore, giornalista musicale e paladino da sempre di San Patrignano.
Dopo aver visto Sanpa fanno molto riflettere, dal punto di vista gestionale e giudiziario, due vicende: il controllo degli ospiti della comunità e i 150 milioni dati a Muccioli a Walter Delogu (piccolo malfattore della criminalità milanese, poi entrato in comunità a causa di una partita di droga tagliata male) dopo che questi aveva chiesto a Muccioli di potersene andare e di avere la casa promessagli, pena la consegna alle autorità giudiziarie di una cassetta in cui parlava della necessità di uccidere, facendola sembrare una morte per overdose, Franco Grizzardi perché testimone dell’omicidio di Maranzano. Quella cassetta fu poi consegnata ai magistrati.
Nella testimonianza resa al processo, Assirelli uscito a quel tempo da poco dalla comunità “perché testimone di cose strane e che non giustificava” (afferma nella docu-serie) rivelò che nell’ ufficio di Muccioli c’era un apparecchio, dietro i libri sulla scrivania, che lui accendeva quando voleva per registrare ogni colloquio degli ospiti: chilometri e chilometri di registrazioni poi trasferite in cassette audio. “E’ una sua mania – disse in aula Assirelli -. Sta di fatto che nel ‘ 93 tutte le cassette sono sparite, o fatte sparire. Venne la polizia a chiederle per l’inchiesta sulla morte di Maranzano, ma non c’ erano più”. M a non basta. Sulla vicenda Grizzardi, per la quale Muccioli aveva da poco detto ai giudici “era solo una provocazione per mettere Walter Delogu alla prova”, Assirelli disse ai magistrati che lo interrogavano: “E Muccioli paga a Walter 150 milioni per una provocazione che aveva fatto lui? Che necessità c’era? Muccioli accusa Walter di essere un ricattatore? E allora perché non lo denuncia per estorsione?”.
L’uscita di Sanpa-Luce e tenebre di San Patrignano sta comunque suscitando accesi dibattiti tra favorevoli e contrari alla comunità e ai metodi adottati da Muccioli.
“Non accettiamo la docu-serie – è stato il commento seccato di Alessandro Rondino Dal Pozzo, presidente della comunità dal settembre 2019 ed entrato da ragazzo a San Patrignano, nel 1985 –. Si tratta di un racconto sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori. Un racconto sbilanciato, che si ferma al 1995 e che ha voluto spettacolarizzare alcuni episodi drammatici che non raccontano la nostra storia. Ed è dannoso riassumerla così, dimenticando di raccontare cosa ha significato questa esperienza che se non fosse stata così fondamentale per l’Italia, non sarebbe in piedi ancora oggi”.
A testimoniare il continuo, straordinario impegno ancora oggi nonostante quei fatti presentati nella docu-serie e i detrattori, sono i dati: 26mila ragazzi raccolti per la strada e rimessi in piedi al ritmo di oltre 1.200 ogni anno, con una percentuale di recupero pari al 72% fra coloro che portano a termine il percorso.
Nella discussione si è inserito anche il presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca), Riccardo De Facci: “In primo luogo ci preme sottolineare – ha detto in un comunicato – che anche nella cura delle dipendenze il fine non giustifica i mezzi, ancor più quando i mezzi utilizzati ledono i diritti basilari della persona e sono addirittura di tipo gravemente coercitivo e violento. San Patrignano è solo una delle storie delle molte organizzazioni che oggi in Italia sono impegnate sul fronte dipendenze. Molte altre meriterebbero di essere raccontate: Ceis, Gruppo Abele, Don Riboldi, Saman”.
“Ci addolora il giudizio dato dalla Comunità – hanno fatto sapere gli autori –. Comunque, se San Patrignano ci avesse riempito di lodi dicendoci “grazie, avete realizzato uno splendido spot per le nostre convention”, ci saremmo preoccupati”.
E’ un vero peccato che Letizia Moratti (con il marito Giammarco ha contribuito al sostegno della comunità di San Patrignano con 286 milioni di lire!) ed altri importanti personaggi di quel periodo, non abbiano voluto, a potuto, dire la loro nella realizzazione del documentario.
Resta il fatto, anche dopo la visione della docu-serie, che la comunità di San Patrignano anni’80 era una comunità in cui il confine tra bene e male, tra vita e morte, era labile e malleabile, tanto che oggi come allora ben pochi si sentono di esprimere un giudizio netto, definitivo, sulla sua attività e su quella del padre-padrone-tiranno-salvatore Vincenzo Muccioli.
La lotta alla droga in Italia è ancora oggi, purtroppo, un grave problema irrisolto, come sottolinea la Relazione Annuale della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga 2020 che afferma: “Continua, per il terzo anno consecutivo, il trend crescente delle morti per overdose che, con un ulteriore incremento pari a 37 unità raggiunge quota 373, con un aumento dell’11,01%. In oltre la metà dei casi, la causa del decesso è da attribuire al consumo di oppiacei (169 casi all’eroina, 16 al metadone, 1 al fentanil, e 1 alla morfina). Dal 1973, anno in cui hanno avuto inizio le rilevazioni in Italia sugli esiti fatali per abuso di droga, sono complessivamente 25.780 i morti causati dal consumo di stupefacenti”.