A quasi ventanni dalla morte di Bettino Craxi, leader del Partito Socialista Italiano ed ex Presidente del Consiglio, morto in Tunisia il 19 gennaio del 2000, è arrivato in sala “Hammamet”, il film di Gianni Amelio. Nei panni del leader politico, travolto dall’inchiesta Mani Pulite, c’è il bravo Pierfrancesco Favino, che torna così a confrontarsi con una figura importante della storia italiana dopo il recente “Il traditore” di Marco Bellocchio, in cui vestiva i panni del boss mafioso Tommaso Buscetta (film che rappresenterà l’Italia agli Oscar).
Basato su testimonianze reali, il film di Amelio non vuole essere una cronaca fedele né un “lavoro militante”. Il film si sviluppa su tre caratteri principali: il re caduto, la figlia che lotta per lui, e un terzo personaggio, un ragazzo misterioso, che si introduce nel loro mondo e cerca di scardinarlo dall’interno (raffigurazione metaforica del tormento di Craxi?).
“Volevo, come penso sia compito del cinema, rappresentare comportamenti, stati d’animo, impulsi, giusti o sbagliati che fossero, cercando l’evidenza e l’emozione – ha spiegato il regista. Ho provato ad avvicinarmi ai personaggi quel tanto che permettesse non a me, ma allo spettatore, di giudicarli. Non volevo fare una biografia, né il resoconto esaltante o travagliato di un partito. Meno che mai un film che desse ragione o torto a qualcuno. Se avessi voluto fare un film in gloria di Craxi, magari mi sarei concentrato sulla notte di Sigonella, non sulla sua caduta. Ho scelto di metterlo a confronto, nei suoi ultimi mesi di vita, con una figlia appassionata e decisa, che ho chiamato Anita, come Anita Garibaldi”.
Il Presidente vive da anni in esilio ad Hammamet da latitante per la giustizia – “da esiliato”, per lui – per sfuggire al carcere a seguito di una condanna passata in giudicato per corruzione e finanziamenti illeciti. Provato nel corpo da un diabete trascurato e nello spirito da rancore e solitudine, vive con la moglie (Silvia Cohen) e la figlia (Livia Rossi). Viene a trovarlo Fausto (Luca Filippi), il figlio di Vincenzo, un ex compagno di partito (Giuseppe Cederna) morto suicida dopo essere stato inquisito da un giudice della Procura di Milano. Il giovane viene accolto dal Presidente come uno di famiglia, nonostante i suoi comportamenti ambigui suscitino le preoccupazioni della figlia.
Craxi è assistito amorevolmente dalla figlia Anita che ha con sé il figlio, che gioca con il nonno a fare il giovane garibaldino, dalla moglie Anna che vive con lui, pur sapendo che il marito ha ancora una relazione con l’attrice Patrizia Caselli (Claudia Gerini), che viene spesso a trovarlo; da un politico (Renato Carpentieri) che gli fa spesso visita, di cui, però, non si dice il nome e nemmeno il partito (democristiano). A rompere questo apparente equilibrio arriva Fausto, il giovane Fausto.
La salute del Presidente si fa sempre più precaria, fra problemi cardiaci e la diagnosi di un tumore al rene. L’uomo una volta fiero e potente sa di essere vicino alla fine e affida alla telecamera di Fausto le confessioni più segrete, di cui persino moglie e figlia sono all’oscuro e di cui non si sa niente. All’interno di una narrazione che ha una sua coerenza interna nei toni, nel linguaggio e nel ritmo, questo finale “aperto” suona un po’ una stonatura, provoca un effetto straniante.
A firmare la sceneggiatura, lo stesso Gianni Amelio con Alberto Taraglio; a curare le musiche Nicola Piovani, premio Oscar alla Miglior colonna sonora per “La vita è bella”.
“Hammamet” si stacca dai classici canoni delle biografie cinematografiche e, con un’impronta un po’ noir e un po’ “melodrammatica”, presenta l’agonia dell’uomo non del politico, la fine della persona non del personaggio – per certi versi controverso – a cui molti sono abituati pensare.
In un’intervista a Repubblica, Bobo Craxi, figlio di Bettino (che nel film è chiamato Francesco, e, a mio giudizio, non fa una gran figura) ha così commentato il film: “Inizialmente ho avuto uno scazzo con Amelio e la produzione, perché l’elemento romanzato prevale su quello politico. C’è comunque un elemento di libertà dell’artista che non può essere sindacato da nessuno. Credo che Amelio avesse in mente la stessa operazione che fece Carlo Lizzani sugli ultimi giorni di Mussolini”.