Costretta dalla madre a trasferirsi dall’Inghilterra al Sudafrica, con il più giovane fratello, Mick, per seguire il lavoro del padre John, zoologo, Mia è una bambina undicenne insofferente e ribelle. Qualcosa però cambia in lei quando, durante il primo Natale trascorso lontana da Londra, nell’allevamento del padre nasce Charlie, un raro esemplare di leone bianco. Tra Mia e Charlie nasce infatti subito una forte e tenerissima amicizia che causa non poche preoccupazioni ai genitori della ragazza, convinti che il leone, una volta adulto, non saprà controllare i propri istinti predatori. Le cose si complicano ulteriormente quando Mia, insieme al fratello, scopre la crudele decisione del padre di voler vendere Charlie ai cacciatori di trofei.
Questa la trama del molto coinvolgente ed emozionante “Mia e il leone bianco“, film drammatico diretto dal regista e sceneggiatore francese Gilles de Maistre, vincitore nel 2017 del premio César per la sceneggiatura di “I Am Not Your Negro” di Raoul Peck.
Girato in tre anni, nella riserva sudafricana Welgedacht, vicino Pretoria, e sotto l’attenta ed efficace presenza e supervisione del noto zoologo Kevin Richardson, soprannominato in patria come “l’uomo che sussurra ai leoni” – sua la responsabilità dei sei esemplari che circolavano sul set, e sua soprattutto la responsabilità dell’incolumità di tutto il cast, ragazzini in primis – “Mia e il leone bianco” è un film per adulti e bambini privo di sorprendenti trovate narrative ma dal ritmo fluido e dalla tenerezza straripante.
A renderlo un lavoro davvero degno di nota è anche il fatto che non sono state usate controfigure o “croma key” (effetti speciali) e quindi il legame tra la ragazza e il leone – in simbiosi per 3 anni – è autentico, reale, filmato attraverso gli occhi di veri amanti, e difensori, della natura e degli animali. Fa trasparire una gioia quasi “voyeuristica” nel riprendere il leone ancora cucciolo che gioca con Mia (la sorprendente rivelazione Daniah De Villiers) come qualunque gioioso poppante farebbe con la propria sorellina o mentre succhia il latte dal biberon e cerca le carezze, come un piccolo, dolce gattone.
È un film da apprezzare per il suo realismo, l’intensità delle emozioni che i meravigliosi scenari africani -di natura e animali – sanno sucitare, per il coraggio dimostrato nel credere in un progetto he quasi tutti avrebbero ritenuto “folle” e per aver accettato il lungissimo tempo di realizzazione. Ma lo è anche per il messaggio che lascia dietro di sè a chi ama il mondo – tutto, e non solo quello piccolo circostante: l’umanità ha un disperato bisogno di ricostruire un rapporto corretto con la natura e con gli animali, un rapporto più rispettoso del loro habitat ma anche interpersonale, con l’aggiunta di un’attenzione maggiore alla “saggia pulizia intellettuale” dei bambini.
Ci stupiamo troppo di ciò che vediamo raramente e non abbastanza di ciò che viviamo ogni giorno”, diceva la scrittrice francese Madame de Genlis, in uno dei suoi libri sul come educare i giovani. Una massima che calza benissimo per il messaggio del film.
“La genesi di “Mia e il leone bianco” risale a molti anni fa – ha spiegato il regista -. Per la televisione francese, ho girato un documentario su una serie di relazioni che i bambini intrattengono con gli animali selvatici. Sono per tale ragione andato in Africa e ho potuto seguire da vicino la storia di un bambino i cui genitori avevano un allevamento di leoni, destinati alla vendita (ai giardini zoologici o ai parchi) o a essere rimessi in libertà. Il bimbo, che aveva dieci anni, amava profondamente ogni esemplare. Dopo le riprese, ho lasciato il posto e sono andato altrove, scoprendo però una realtà inaspettata: l’allevamento, di nascosto dal ragazzino, vendeva anche leoni per la caccia: gente da tutto il mondo andava lì, pagava i proprietari per far rimettere in libertà l’animale e dargli la caccia, uccidendolo e portandoselo via come trofeo. So che sembra pazzesco ma, oltre a essere reale, è anche legale da quelle parti. Sono rimasto sconvolto ma ancora di più mi sconvolgeva come la famiglia mentiva al bambino, ignaro di ciò che realmente avveniva. Mi sono allora chiesto cosa sarebbe accaduto se il piccolo avesse scoperto la verità e come avrebbe reagito. Da lì, a poco a poco, è nata l’idea e la sceneggiatura del film. Non è stato facile realizzarlo, siamo andati avanti per 3 anni, vedendo così diventare grandi i bambini e il leone al centro della storia”.