Una sconfinata provincia della Pianura Padana post-industriale, profondamente colpita dalla crisi economica, priva di prospettive lavorative e nella quale la globalizzazione galoppante ha lasciato solo capannoni ormai dismessi e frammenti del mito della classe operaia e della solidarietà sociale (persino la vecchia insegna del Pci non si accende più!): è questo l’universo in cui si muovono Pietro, Cosmic e Ivan, i tre giovani al centro di Gli asteroidi, opera prima di Germano Maccioni.

“Gli asteroidi – afferma il regista – sono fatti della stessa maniera dei pianeti a cui gravitano intorno, senza trovare una propria collocazione: si perdono per traiettorie imprevedibili, spesso rischiando collisioni violente”. Un film su una generazione persa, sul disagio, per certi versi particolare, del mondo giovanile di provincia e su come la crisi economica non abbia risparmiato neppure le famiglie, rendendo precari affetti e legami. Il presente sono ormai solo giorni vuoti e ripetitivi: scuola, lavoretti precari, qualche piccolo furto, incontri al vecchio circolo ricreativo o sul ponte dell’autostrada per condividere sogni di evasione. Il loro unico rifugio è un capannone abbandonato. “Come asteroidi, i tre giovani vagano attraverso un cosmo che li respinge, che non possono o non vogliono riconoscere”, sottolinea Maccioni.
Una provincia alienante e nella quale la dicotomia tra passato e presente segna anche la dinamica sociale: i padri veneravano il posto di lavoro, anche se questo era pesante e li rendeva “schiavi” di ritmi di vita cadenzati, i figli invece non sanno cosa farsene, vista l’assenza di prospettive future. Prodotto da Articolture e Ocean Productions con RAI Cinema, il film, spiega il regista, “Racconta una terra bizzarra dove hanno convissuto per anni amministrazione comunista, chiesa cattolica e un’economia florida. Una terra in cui ci sono oggi tanti capannoni fantasmi, tanti suicidi e dove tutto quello a cui ti aggrappi si sgretola”.
Gli asteroidi è servito al regista anche per rendere omaggio a due colonne storiche del cinema: Michelangelo Antonioni (il luogo della Stazione Radioastronomica di Medicina – a circa 30 km da Bologna- è lo stesso in cui si aggirava Monica Vitti in una scena di “Deserto Rosso”); John Ford (l’inizio del film, in cui il prete – come John Wayne in “Sentieri Selvaggi” – esce di corsa dalla chiesa dopo il furto di candelabri); Pier Paolo Pasolini (“I figli sono costretti a pagare le colpe dei padri disse una volta Pasolini – spiega il regista – e questa frase mi ha sempre colpito molto, tant’è che è alla base del mio film: un mondo maschile fatto di figli che fanno i conti con le azioni di padri inadeguati”. Ugo (Pippo Delbono), pizzaiolo criminale, diventa il padre putativo di Ivan (Nicolas Balotti), visto che il vero padre, sindacalista in crisi, è assente nei suoi compiti educativi; il padre di Pietro (Riccardo Frascari) si è suicidato lasciando in un mare di debiti la famiglia, con la moglie Teresa (Chiara Caselli) costretta a dedicare più tempo a risanare i debiti dell’azienda che non ai problemi del figlio, il cui unico “referente pensante” è la giovane Chiara (Adriana Barbieri).
Un ruolo a parte è quello di Cosmic (Alessandro Tarabelloni): è un orfano “un po’ strambo”, fissato con questioni astronomiche e filosofiche, assiduo frequentatore della Stazione Radioastronomica di Medicina: predirà ai due amici la fine del mondo a causa di un grande asteroide in procinto di passare molto vicino alla Terra o di colpirla. Rappresenta per Maccioni la carta che deve scombinare lo script e piani del destino, purtroppo però le sue citazioni – soprattutto di Kant – non funzionano molto come grimaldello scardinante della sceneggiatura, che finisce così per non fornire la sperata grossa sorpresa finale.
Gli asteroidi resta comunque un film coinvolgente per la sua tematica e che cerca di elevarsi dai cliché di molta produzione italiana. Le pecche riguardano semmai il poco amalgama tra crudezza e voli pindarici e le due inutili alla storia scene di sesso (senza falso moralismo, è ormai purtroppo quasi “una moda” un pizzico di sesso, magari spinto, per attirare lo spettatore).