Se pensiamo alla parola “film”, immaginiamo una pellicola, una trama, degli attori che interpretano personaggi, il più delle volte frutto della fantasia di un regista e messi nero su bianco da uno sceneggiatore. Poi immaginiamo una morale, intrinseca nella storia e u finale, con o senza colpo di scena. Ecco, questo è ciò che comunemente associamo alla parola “film”. E poi ci sono quei film che vanno al di là di tutto ciò. Come accade con “Ho amici in paradiso” di Fabrizio Maria Cortese, presentato e proiettato alla 12esima edizione del Los Angeles Italia – Film, Fashion and Art Fest. La manifestazione, promossa col sostegno di Mibact, Anica, Ice, Siae, in collaborazione con Ambi Media Group, Mediaset e Rai Cinema, che si è tenuta al Teatro Cinese di Hollywood dal 19 al 25 febbraio. Il Los Angeles Italia – Film è l’evento che nella settimana precedente alla assegnazione degli Oscar accende i riflettori sul cinema italiano con omaggi, incontri rassegne e anteprime. “Ho amici in paradiso” racconta, attraverso una trama brillante, una bellissima storia di inclusione. Il cast composto da attori professionisti e da attori diversamente abili, ospiti dell’Opera Don Guanella di Roma, sono il vero valore aggiunto del film che offre una nuova prospettiva di osservazione della disabilità. Noi abbiamo incontrato il regista, Fabrizio Cortese.
“Ho amici in paradiso”. Ma in questa pellicola gli amici si trovano in un centro di sostegno ai disabili… In un posto improbabile, forse per chiunque, sicuramente per il protagonista. Qual è messaggio che trasmette il film? Il Paradiso può essere in terra?
“Il film racconta la storia del cambiamento di un uomo superficiale che si è arricchito illegalmente e viene mandato ai servizi sociali. E’ chiaro che all’inizio non è semplice confrontarsi con un mondo come quello di un centro di riabilitazione per persone con disabilità intellettiva ma poi piano piano ci si rende conto che queste persone possono arricchire chiunque. Questa cosa è successa a me frequentando il centro Don Guanella, dove ho imparato a sdrammatizzare qualsiasi cosa. Ho scritto Ho amici in Paradiso pensando soprattutto al mio cambiamento, consapevole di aver trovato proprio lì il mio Paradiso, fatto di sane amicizie, di amore, di giochi e tanta voglia di vivere. Tutto questo ovviamente è vissuto nella storia del film da Felice Castriota, il protagonista. Gli attori diversamente abili sono protagonisti nella vita perché interpretano un ruolo e interagiscono con attori professionisti, sono protagonisti nella storia perché sono vincenti. E’ un messaggio positivo di inclusione sociale”.
C’è un protagonista inizialmente negativo, che poi cambia radicalmente e realizza che le cose importanti della vita sono ben altre. Un messaggio di speranza. Ma che stona, ahinoi, con la società moderna… o no?
“Io credo che sia possibile cambiare. A me è accaduto proprio come a Felice Castriota nel film e sono sicuro che succede a tante persone che ma, nella maggior parte dei casi, hanno difficoltà ad ammetterlo a se stessi. Ognuno di noi dovrebbe frequentare centri come l’Opera Don Guanella: stando a contatto con queste persone si può solo migliorare se stessi”.
Da Roma a Los Angeles… come si arriva e cosa significa “svegliarsi” nel mondo del cinema internazionale? Per un debuttante soprattutto.
“E’ vero io ancora non ci credo. Sono a Los Angeles con il mio primo film. Mi sembra così impossibile e invece… Ma la cosa più bella ed emozionante sono Stefano Scarfini e Michele Iannaccone, due ragazzi diversamente abili che fanno parte del cast e che sono venuti a Los Angeles con me e vivono questa emozione come la cosa più importante della loro vita. Stiamo vivendo tutti un grande sogno e dopo due anni e mezzo di duro lavoro ce lo godiamo tutto”.
L’Italia e il Cinema. L’America e il Cinema. Cosa c’è in comune e cosa è profondamente diverso?
“Non sono io che devo giudicare questo. Credo che si possa fare buon cinema ovunque. In Italia si fa buon cinema ma è chiaro che le risorse economiche sono fondamentali e l’ America può investire quanto vuole. L’industria del cinema americano è al primo posto. Registi attori e produttori Italiani hanno fatto la storia del cinema internazionale e credo che nello spirito creativo siamo molto simili agli americani”.
Gli attori professionisti e i veri disabili. Cosa ha significato lavorare con chi è realmente disabile? Per chi ha recitato e per chi ha diretto un film che possiamo definire di “valenza sociale”.
“Lavorare con i ragazzi diversamente abili nella fase della preparazione è stato veramente emozionante: abbiamo giocato improvvisato ci siamo divertiti e abbiamo lavorato sulla respirazione e sul silenzio. Non era facile fare stare in silenzio ma poi tutto è andato liscio come l’olio. Abbiamo studiato la sceneggiatura insieme ed anche per gli attori professionisti è stata un’emozione unica e costruttiva. Non ci sono parole per descrivere quanto sia stato importante ed emozionante per gli 8 attori del Don Guanella lavorare con noi. Si sentono attori professionisti del cinema italiano. Anzi, lo sono!”
Infine, Los Angeles non è stato solo la soddisfazione di esserci, ma è stata forse soprattutto l’emozione del dopo proiezione… Ce la racconta?
“Dopo la proiezione al Chinese Theatre di Los Angeles abbiamo avuto una standing ovation applausi continui, gente di diverse etnie commossa. Hanno aspettato fino all’ultimo titolo di coda per parlare con noi, per trasmetterci la loro emozione dopo aver visto il film. Alcune persone mi hanno chiesto la mail personale perché vogliono inviarmi per iscritto le loro emozioni. Molti hanno fatto domande ai due attori diversamente abili hanno chiesto loro autografi: ho visto Michele e Stefano firmare autografi a Hollywood proprio come le star internazionali. Una serata emozionante e indimenticabile.
E ora… Che farà?
“Ora sto scrivendo un’ altra storia per un film che questa volta parla di anziani. Un’altra commedia, sull’ inclusione sociale, neanche a dirlo”.