Dodici quadri – come le dodici stelle della bandiera europea – per raccontare la costituzione culturale e politica di un territorio variegato e contraddittorio, carico di potenzialità ma dove l’integrazione umana e sociale sembra sempre più un’utopia impossibile da realizzare. È questo l’ambizioso testo di Davide Carnevali, nomen omen: Sweet home Europa – Una genesi. Un esodo. Generazioni, andato in scena al Teatro India di Roma ad aprile e ora in replica a Parigi al Theatre de la Ville – Paris per poi toccare altre città europee.
Tre i personaggi: un Uomo, un Altro uomo, una Donna. A turno incarnano ruoli familiari e personaggi diversi, in un loop che li porta in paesi e situazioni fisicamente lontani fra loro, dove però si ripropongono gli stessi racconti, brandelli di storie diverse, ma in qualche modo anche sempre uguali. Storie private e sociali che si sovrappongono, si confondono e franano fra le macerie di un Occidente che appare decisamente poco accogliente: un territorio arido da cui il mare si ritira sempre più, sconfitto dall’avanzamento di un deserto.
Questa Sweet home Europa firmata da Fabrizio Arcuri è in effetti un quadro poco rassicurante, dove tutti si trovano davanti a un confine, che è semplicemente un limite, poco cambia se visto da dentro o da fuori. L’incontro è sempre uno scontro o quantomeno l’impossibilità di comprendere e dialogare su uno stesso piano, una sconfitta continua, che di fatto è contro sé stessi.
C’è sempre una guerra, che incombe o che lascia sangue e macerie al suolo. Dodici storie che sono le facce di un unico prisma, un’Europa in cui un paese in qualche modo vale l’altro, astratto dal tempo e dal luogo. Si raccontano tradizioni arcaiche, violente e incomprensibili, valori in crisi senza essere soppiantati, vite alla deriva e strade che non sembrano portare in nessun dove. Una multifattorialità di eventi, tutti inevitabilmente segnati da esplosioni, scoppi, crolli e distruzione. Ciclicamente ma anche inaspettatamente, così da inibire un possibile senso di pace o silenzio con l’ansia della prossima violenta interruzione.
In 130 minuti ininterrotti lo spettacolo traccia la mappa di un’Europa metaforica ma anche molto reale e definita. La sua sagoma appare su mappamondi e tessuti, mentre la scena costruita su pedane azionate meccanicamente viene fisicamente sconquassata dalle esplosioni. In scena i Marlene Kuntz (Davide Arneodo e Luca Bergia) e la notevole voce di NicoNote, a commentare musicalmente alcuni passaggi. Mentre i tre attori – Francesca Mazza, Matteo Angius e Michele di Mauro – si muovono con ottima sinergia attraverso un testo complesso, che si reitera caricando gli stessi dialoghi di nuovi significati e le medesime frasi di altre implicazioni. Ad ogni incontro emergono punti di vista, culture, interessi, interdipendenze diversi, ma anche – come detto – fondamentalmente simili.
I macrotemi dello spettacolo sono quelli che l’attualità riporta ogni giorni nelle cronache: economia, modernizzazione, emigrazione, sfruttamento, coscienza collettiva. Ma questa Europa non è affatto una “dolce casa”, non c’è spazio per i sentimenti in tutto questo girotondo. Eppure, paradossalmente, quello che in fondo si rincorre è proprio un abbraccio, come dire che la sola cosa che conta e che sembra davvero perduta è il legame affettivo. Cos’è, dunque l’Europa? Ecco, da questa domanda si dovrebbe partire oggi.