Cannes 68, pronti, via. Edizione che si regge su una contraddizione il cui equilibrio sarà tutto da verificare. C'è un nuovo presidente, Pierre Lescure, dopo il lungo regno di Gilles Jacob: un manager, un uomo, si dice, più attento a far crescere i bilanci che a sfogliare i Cahiers du Cinema.
Il risultato di questo cambio al vertice è per certi versi l'edizione più pop degli ultimi anni, che – anche grazie a qualche soldo in più – appare patinata e luccicante come non mai. Ecco allora parate di star ogni sera, party, griffe di sponsor (pardon, partner) che si sono moltiplicate rispetto agli anni scorsi e un brulicare di trattative ancora più intenso nei sotterranei del Marchè du Film.
Se scorriamo gli autori, però, non possiamo non notare che qui, invece, dopo anni di sbornie hollywoodiane e di vacche autoriali decisamente grasse, questa edizione presenta, nelle sezioni maggiori, una decisa penuria di nomi da urlo. Ovviamente questa osservazione non ha necessariamente un rapporto con la qualità della selezione, anzi, il délégué général Thierry Frémaux, da quando è in carica, non ha mai sbagliato un colpo. Quindi, dato che il sipario si è alzato, veniamo a ciò che, nonostante tutto, conta di più, cioè i film che abbiamo visto in questi primi giorni.
Apertura al femminile
Mercoledì la partenza è toccata al bel film di Emmanuelle Bercot, La Tete Haute, prima apertura al femminile nella storia della Croisette. E a testa alta, prima sul red carpet e poi sullo schermo del Gran Theatre Lumiere, è giunta l’immancabile Cathrine Deneuve, bellissima dal vivo, brava sullo schermo nella parte di un giudice minorile che si prende cura di un adolescente difficile. Stile secco, molto vicino al documentario per un film molto politicamente corretto, giusto ma di certo non indimenticabile.
La sfida di Garrone
Giovedì 14, il primo giorno del concorso è stato soprattutto il giorno di Matteo Garrone, rispetto al quale vi rimandiamo alla nostra recensione su queste pagine. Oltre ad anticiparvi che ci è piaciuto, e molto, rileviamo con piacere la reazione veramente entusiastica degli addetti ai lavori alla prima proiezione de Il racconto dei racconti (Tale of Tales), fantasy ambiziosissimo e rischiosissimo, scommessa sostanzialmente vinta alla grande. I media italiani al solito paiono aver visto due film diversi: chi urla al miracolo e narra di decine di minuti di applausi, chi invece, riferendosi alla stessa proiezione parla di facce perplesse e di dubbi macroscopici dei critici presenti in sala. Noi l’abbiamo visto in un’altra proiezione e la reazione ci è sembrata giustamente ed equilibratamente positiva.
Il ritorno di Mad Max
L'altra hit della giornata è stato indubbiamente Mad Max – Fury Road di George Miller, il quarto capitolo della saga che lanciò Mel Gibson, presentato fuori concorso in anteprima mondiale. A trent'anni dal mediocre Mad Max – Beyond Thunderdome (Oltre la sferra del tuono in italiano) e a 36 dal primo, immortale e stupendo capolavoro, George Miller riprende il suo iconico personaggio, l'ex poliziotto nichilista ed errante nella desolazione di un Medioevo prossimo venturo post apocalittico, e lo affida questa volta ad uno straordinario Tom Hardy. Il risultato è davvero sopra ad ogni aspettativa, semplicemente il miglior action movie degli ultimi trent’anni e forse di più. Una scarica continua di adrenalina, ma rispetto ad altri action degli ultimi decenni, si aggiunge una potenza visiva che forse solo lo stesso Miller era stato in grado di mostrare con i capitoli iniziali della saga di Max Rockatansky e una lucida intelligenza simbolica. Il mondo distopico postapocalisse Fury Road è un contrappasso luciferino e disperato della nostra società attuale, con i nostri peggiori incubi di catastrofi energetiche che si prendono corpo in una wasteland che entra di diritto nella top 5 dei mondi possibili più inquietanti e allucinati che siano mai stati creati.
Un tocco di glamour
Il "secondo concorso" della Croisette, che spesso ha ben poco da invidiare a quello ufficiale, Un Certain Regard, ha riempito di glamour e di cinema la restante parte della giornata. Il debutto del concorso che vede, quest’anno, Isabella Rossellini come presidente di giuria, ha visto ancora protagonista un regista donna, la giapponese Naomi Kawase, con Sweet Red Bean Paste. Il titolo si riferisce al dorayaki, un dolce tradizionale giapponese e vede protagonista la settantenne Tokue, la quale conosce una ricetta segreta che rende il dolce specialmente prelibato e deve convincere il pasticcere Sentaro ad assumerla nonostante l’età. Un film composto e misurato, che con leggerezza riscatta il mezzo passo falso che la regista giapponese aveva fatto lo scorso anno con il mediocre Still in the Water.
Siamo solo all’inizio di questa full immersion di cinema, le sezioni sono appena partite e quello che vi abbiamo presentato è solo un piccolo antipasto di ciò che vedremo nei prossimi giorni, a partire dall’atteso nuovo film di Gus Van Sant con Matthew McConaughey, The Sea of Trees, dal passaggio in croisette di Mia madre di Nanni Moretti e dal debutto della Seimaine de la Critique e della Quinzaine des Realisateurs, solitamente ricche di piccole perle.