Il New York Times fino a pochi giorni prima dell’apertura si domandava se Milano effettivamente fosse pronta ad accogliere milioni di visitatori, in una città in pieno cantiere, nulla di pronto, e un sindaco che giustificava i ritardi dicendo che “nessuna fiera è mai cominciata con tutti i lavori completati”. Gli occhi del mondo erano puntati sull’apertura di EXPO 2015, così si è tentato di coprire con paillettes e lustrini i disastrosi malfunzionamenti.
Quindi il glamour portato dai festeggiamenti per i 40 anni di attività di Giorgio Armani, con una forte rappresentanza di Hollywood, nel tentativo di distrarre l’attenzione dall’impreparazione della città. Mentre, Andrea Bocelli e il suo pianoforte di marmo hanno trionfato al concerto di pre-apertura di EXPO, il 30 aprile, trasmesso in prima serata su RAI1 e in mondovisione, con il supporto del coro e l’orchestra del teatro alla Scala. Ma le premesse per accedere all’effettiva Esposizione Universale sono state sconfortanti. Tante difficoltà e complicazioni anche solo nell’ottenere i pass di accesso, per sponsor, addetti ai lavori e la stampa.
Come tanti colleghi giornalisti in attesa di risposte sul proprio accredito, sono stata travolta da un vortice dantesco, mandando e-mail a indirizzi che rispondevano saltuariamente e numeri di telefono che suonavano liberi o staccati. Nel raro caso in cui qualcuno alzava la cornetta rispondeva Babele: ognuno forniva informazioni discordanti. Chi come me è riuscito ad aver l’accredito in tempo per l’inaugurazione, si è dovuto presentare agli uffici di Rho, senza alcuna certezza, tentando la propria fortuna. Non è andata meglio a chi attendeva il pass del proprio reparto – come gli architetti del padiglione della Francia – che hanno dovuto attendere fino a poco prima dell’apertura che l’organizzazione provvedesse a farglieli recapitare.
Con il pass alla mano, il mio viaggio per l’inaugurazione di Expo parte dal centro di Milano il 1 maggio alle 9.30 del mattino. Prendo la metropolitana da meneghina orgogliosa, convinta che la mia città avrà modo di provare il proprio valore con un rush finale. Dopo un paio di stazioni il treno si ferma per una mancanza di tensione. Il mio entusiasmo viene messo a dura prova. Per fortuna il tutto si risolve, arrivo a destinazione e passo tutti i controlli, metal detector e QR code, che sembrano garantire la sicurezza attesa. Intanto una piccola manifestazione di NoExpo si svolge fuori dalla fiera, ma sono rassicurata dal numero esiguo di manifestanti, alquanto flosci nella loro protesta. Nulla che faccia presagire quello in cui mi imbatterò durante il pomeriggio, lungo Corso Magenta a Milano.
Il primo impatto con EXPO 2015 è glorioso: nel Pavilion Zero le Nazioni Unite si fanno portavoce del messaggio della sostenibilità con uno scenario perdifiato, che incornicia in un contesto maestoso il tema cardine dell’intera manifestazione. Mi metto a chiacchierare con un rappresentante dell’ONU, venuto all’EXPO per valutare come i diversi paesi si rapportino al tema della fame zero nel mondo. A suo avviso i paesi che meglio hanno affrontato la tematica sono l’Austria, l’Inghilterra, la Santa Sede, e parzialmente l’Italia. Ma aggiunge che la maggior parte dei padiglioni si sono concentrati eccessivamente sui sapori e le gastronomie autoctone piuttosto che sul tema dell’esposizione.
Uscendo dal Padiglione Zero e proseguendo la mia visita, riscontro proprio questa lacuna da parte di EXPO Milano 2015. Mentre esploro gli altri padiglioni, riecheggia nella mia mente la frase strillata da uno dei manifestanti, poco prima: “baguette surgelate, consegnate a visitatori ignoranti”. E in effetti la sagra della salamella sarebbe stata più gioiosa ed efficace nel raccontare come nutrire il pianeta in maniera sostenibile. Vagando nei vari spazi, mi imbatto nei rappresentanti dei padiglioni, che anziché spiegare come il proprio paese abbia interpretato il tema Nutrire il pianeta, Energia per la vita, spingono i visitatori ad acquistare prodotti gastronomici e gadget ricordo. Quello che colpisce maggiormente la mia attenzione sono i padiglioni che rappresentano gli sponsor come, Algida, Perugina, e McDonald. Sono curiosa di capire come il più grande franchise di junk food al mondo possa essere sostenibile. Metto da parte lo scetticismo, incoraggiata dal fatto che è il padiglione più frequentato di tutta l’esposizione, e cerco di guardare il menu per valutare se il cibo sia a emissioni zero. Dopo un’attenta lettura mi rendo conto che semmai è a "sostenibilità zero".
Proseguo la mia visita tra una parata disneyana e l’altra, dove vengono rappresentate le danze di ciascun paese, ormai globalizzate secondo canoni occidentali. Dopo le lunghe ore di passeggiate tra un padiglione e l’altro decido di affacciarmi ai servizi ma rinuncio immediatamente, non solo per l’assenza di carta igienica ma per la scarsa attenzione alla pulizia.
Continuo il mio giro e rifletto su come l’enorme decumano abbia le sembianze di un immenso centro commerciale alla moda, privo della distintiva impronta italiana. Decido di confrontarmi con i colleghi stranieri, per potermi ricredere. I giornalisti cinesi, entusiasti esprimono la loro ammirazione su come “un paese così piccolo abbia realizzato uno spazio così grande”, mentre la stampa del Turkmenistan, per la prima volta in Italia, mi chiede come fare per avere il passaporto italiano. I colleghi connazionali, nutrono le mie stesse perplessità, ma il momento in cui all’unisono proviamo tripudiante emozione patriottica, è quando le frecce tricolore svettano nell’aria ricreando i colori del nostro stendardo. Fumi ben più lieti di quelli che arriveranno in centro a Milano poche ore a seguire.
Conclusa la mia gita all’inaugurazione dell’Esposizione Universale, opto per la zona in cuor mio più distante dal trambusto di EXPO, per godermi il giorno di festa. Finisco così nell’occhio del ciclone: Corso Magenta. Non faccio a tempo a vedere le macchine bruciate, ma vedo i fumogeni e bastano a farmi cambiare frettolosamente itinerario. Vengo aggiornata telefonicamente sul pandemonio incendiario quando sono ormai distante e realizzo che EXPO 2015, per quanto sembri infelice dirlo, ha inaugurato con il botto. Ma non quello sperato.
La glaciale fashion show per foodies è stata poco frequentata. I lavoratori hanno preferito dedicare il loro giorno festivo per fare una gita fuori porta, o dedicarsi allo shopping in Piazza del Duomo (in proporzione molto più gremita di EXPO). Con le reminiscenze della recente condanna da parte della Corte Europea dei diritti umani nei confronti del G8, per l’irruzione alla Diaz, sorge l’inquietudine che l’Esposizione Universale venga ricordata solo per gli atti vandalici, ben più incisivi dell’organizzazione disastrosa o dell’algida messa in scena. Il tempo sarà il miglior giudice e valuterà se la promozione dell’evento è stata tanto rumore per nulla o se effettivamente possa fungere da volano, e vetrina mondiale per dare una svolta all’economia dell’Italia.