Si è conclusa la 14ª edizione del Tribeca Film Festival, con un grande successo di pubblico (quasi tutte le proiezioni erano infatti sold out), una selezione di film varia e piuttosto interessante per stili, visioni e soggetti trattati, un’ottima selezione di documentari, e con buon risultato per i film italiani presentati al festival.
Partendo proprio da questi ultimi, Vergine giurata (Sworn Virgin) di Laura Bispuri ha vinto il Nora Ephron Prize, premio tutto al femminile, sia perché dedicato a film e autrici che affrontano tematiche femminili, sia per la composizione della giuria, che naturalmente perché istituito nel nome della grande scrittrice, sceneggiatrice e regista americana scomparsa due anni fa. Film italiano che racconta una storia potente di sessualità e di identità negata, girato per buona parte in Albania, Vergine Giurata è una co-produzione fra Italia, Albania, Germania, Kosovo e Svizzera, premiato dalla giuria per “l'originalità della storia che tocca le questioni di identità, di genere e di oppressione in maniera raramente vista prima”, perché si pone e ci pone delle domande, e per “la visione bella e ricca di sfumature che dimostra grande rispetto per il pubblico”. Se è vero che la storia è forte e intensa è anche vero che è proprio questo “rispetto per il pubblico” il problema, che può andare bene per il pubblico americano che ha più di qualche pruderia, e in particolare per il pubblico che definiremmo generalista del Tribeca Film Festival, ma un po' meno per la sensibilità più consapevole e smaliziata europea; il film infatti non va quasi mai in profondità, non osa nel racconto di un tema che non può essere raccontato senza “disturbare”, utilizza poco i luoghi e i bei personaggi che ha a disposizione così come anche il confronto tra il mondo geograficamente e moralmente remoto delle montagne albanesi con una troppo generica provincia italiana.
Un premio è comunque importante, Vergine giurata sta andando piuttosto bene nelle sale italiane e questo è un bene per il cinema italiano, considerata anche la difficoltà di fare un film oggi in Italia e il piccolo budget e le poche settimane di ripresa che Laura Bispuri aveva a disposizione. Ma proprio considerato lo straordinario soggetto del film, è stata purtroppo un'occasione mancata.
Alba Rohrwacher, protagonista di Vergine giurata, è anche la protagonista di un altro film italiano presentato al Tribeca nella sezione Spotlight, Hungry Hearts di Saverio Costanzo, film con cui ha vinto la Coppa Volpi, insieme al co-protagonista Adam Driver, al Festival di Venezia 2014. Hungry Hearts (girato a New York) indaga la fragilità emotiva e della coppia di fronte alla nascita di un bambino, una fragilità che nella madre diventa ossessione, e precipita poco a poco nella cupezza del noir e della mente umana.
Il film ha avuto una certa attenzione da parte del pubblico e della critica, non tanta quanto ci si aspettava da un regista di talento come Saverio Costanzo, e forse (non me ne voglia la giuria di Venezia) è proprio l'interpretazione di Alba Rohrwacher il punto debole.
L'altro film italiano premiato è Palio, il documentario di Cosima Spender che ha ricevuto il premio per il miglior montaggio. Se il Palio di Siena e la Toscana sono soggetti con cui il pubblico americano va a nozze, è vero che quello della Spender è uno sguardo esterno, originale e attento, su una delle tradizioni più note e antiche di casa nostra, “trasformando la vita in arte”, come ha sottolineato la giuria, e Valerio Bonelli ha montato il film con sapienza e vigore, “con una generale eccellenza tecnica”. Anche qui, come sempre più spesso accade nel cinema europeo, si tratta di una co-produzione, in questo caso tra Italia e Inghilterra.
Il quarto tra i film italiani presenti al Tribeca, anche questo nella sezione Spotlight, è Meraviglioso Boccaccio (Wondrous Boccaccio), di Paolo e Vittorio Taviani, maestri assoluti del cinema italiano. Presente al festival solo Paolo Taviani (qui il video della presentazione), ha catalizzato l'attenzione della stampa americana sia per l'interesse verso il tema del film (il Decameron di Boccaccio, con la messa in scena della peste e di cinque delle novelle narrate) sia soprattutto per il ruolo dei Taviani nel cinema e nella cultura del nostro paese in quasi cinquant'anni di storia complessa, scomoda e quanto mai affascinante per l'opinione pubblica americana.
Il cinema italiano ha quindi avuto una buona presenza al Tribeca Film Festival 2015, e il pubblico americano conferma di amare il nostro cinema. Al tempo stesso, attori e registi italiani negli ultimi anni frequentano sempre più spesso gli Stati Uniti e New York in particolare, quanto a festival, produzioni e riprese. Paolo Sorrentino, per esempio, dopo aver già girato negli Stati Uniti This Must Be the Place, è in città in questi giorni per i sopralluoghi per il suo prossimo film. E da qualche tempo (dopo la lontana epoca d'oro di Hollywood sul Tevere) attori e registi americani ricambiano, anche se occasionalmente, come nel caso del newyorchesissimo, ma anche italiano, John Turturro che recita in Mia madre, film di Nanni Moretti che tra pochi giorni sarà presentato a Cannes.
Ecco infine i premi principali assegnati quest'anno al Tribeca Film Festival, che si è concluso il 25 aprile con la serata dedicata a quel meraviglioso e terribile affresco newyorchese che è The Goodfellas (Quei bravi ragazzi) di Martin Scorsese.
Più che meritatamente vincitore come miglior film, miglior sceneggiatura e miglior attore protagonista (Gunnar Jonsson) è l'islandese Virgin Mountain, già notato alla scorsa edizione del Festival di Berlino: commedia dolceamara, un piccolo film ben scritto e ben diretto, con un grande (in tutti i sensi!) protagonista, che ha giustamente fatto incetta al Tribeca dei premi principali.
Un po' a sorpresa (e con qualche dubbio), l'altro film che ha ottenuto importanti riconoscimenti è il danese Bridgend di Jeppe Ronde: interamente girato nell'omonima cittadina del Galles, ha vinto per il miglior montaggio, migliore fotografia, e per la miglior attrice protagonista (Sara Murray). Una piccola nota: Bridgend è stata per anni una povera cittadina mineraria in cui molti italiani sono emigrati nel dopoguerra e negli anni successivi. È stata spesso nelle cronache negli ultimi anni per l'altissimo tasso di suicidi tra adolescenti, tema di cui tratta anche il film.
Democrats di Camilla Nielsson (Danimarca), sulla difficile transizione politica nello Zimbabwe di questi ultimi anni, ha vinto come miglior documentario, mentre la menzione della giuria è andata a In Transit di Albert Maysles, Nelson Walker, Lynn True, David Usui, Ben Wu.
Miglior regista esordiente è stato riconosciuto l'americano Zachary Treitz per Men Go to Battle, mentre il premio per il miglior cortometraggio di finzione è andato a Listen di Hamy Ramezan e Rungano Nyoni (Finlandia, Danimarca) e quello al miglior documentario corto è andato al liberiano Body Team 12 di David Darg.
Il pubblico ha premiato King Jack di Felix Thompson tra i film di finzione e tra i documentari Transfatty Lives di Patrick O'Brien.
Istituito quest'anno l'Albert Maysles New Documentary Director Award, premio al miglior regista di documentari esordiente e dedicato al grande documentarista recentemente scomparso, che è andato al bellissimo Uncertain di Ewan McNicol e Anna Sandilands.
Per vedere l'elenco di tutti i premi, con ulteriori informazioni, e immagini, si può consultare il sito internet del Tribeca Film Festival.
Per concludere, qualche numero sul festival: 101 i film presentati quest'anno, provenienti da 38 paesi, statisticamente sono stati gli scandinavi i più premiati, ma questo non deve sorprendere, soprattutto se si guarda ai riconoscimenti ai festival internazionali degli ultimi anni. Sono stati 11 i progetti supportati dal Tribeca Film Institute, si sono tenuti 780 meeting individuali al TFI Network Market e sono stati 20 i progetti interattivi presentati.
Ci informano che sono stati 1.350 gli studenti delle scuole pubbliche che hanno assistito alle proiezioni, francamente un po' pochini se si considerano gli abitanti di New York, e se si paragonano (ma non si deve fare!) agli studenti di ogni ordine e grado che ogni anno frequentano la Berlinale. Si può fare di meglio.
Piccola nota finale: il Tribeca Film Festival, fondato nel 2002 da Robert De Niro e Jane Rosenthal, è tanto amato dal pubblico quanto odiato dai produttori e dai filmmaker newyorchesi: la speculazione edilizia selvaggia che ha accompagnato il festival buttando fuori dal quartiere filmmaker e artisti, una politica solo di facciata e lo scarso livello dei film selezionati (eccezion fatta per i documentari) sono le accuse principali. Questo è uno spunto che vale senz'altro la pena approfondire. Ne riparleremo.