“Una rivoluzione a pance vuote”: è così che l'ha chiamata Elio Altare, uno dei protagonisti dell'impresa che ha reso noto il Barolo in tutto il mondo, durante la presentazione, il 6 novembre, alla Casa Italiana Zerilli-Marimò NYU, del documentario Barolo Boys. Storia di una rivoluzione.
L'avventura comincia nell'estate piemontese del 1986. In quegli anni, le cose non andavano bene per i vignaioli delle Langhe: lo scandalo del metanolo aveva sconvolto il mondo del vino e l'annata era andata male a causa di una disastrosa grandinata. Cosa si poteva fare per risollevare un settore così provato, con pochi mezzi a disposizione e poca competitività sul mercato internazionale?
Succede che un gruppo di giovani – i Barolo Boys, li chiamerà il New York Times più tardi – Elio Altare, Chiara Boschis, Marco de Grazia, Giorgio Rivetti, Roberto Voerzio provano a trovare una soluzione. Il cambiamento implica coraggio, innovazione, rischio: "Volevamo fare il vino più buono del mondo" racconta Chiara Boschis, nel documentario Barolo Boys. Storia di una rivoluzione.
Il film, di Paolo Casalis e Tiziano Gaia, con la produzione di Stuffilm Creativeye, ambientato in alcuni dei territori riconosciuti Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO – paesaggi bellissimi frutto di un'armoniosa interazione tra natura e umano – racconta la storia di questo gruppo di giovani rivoluzionari che decisero di rompere con la tradizione dei loro padri e di scommettere in prima persona: intuzione, tanta ricerca, tanto lavoro e un pizzico di fortuna li hanno premiati e i loro vini, “bombe di frutta” – come li ha denominati Chiara Boschi, unica donna del gruppo – divennero conosciuti ed esportati in tutto il mondo, cambiando l'immagine delle Langhe.
Seguono anni di successi e prosperità: i vini delle Langhe ottengono vari riconoscimenti prestigiosi – come i Tre bicchieri – fino a quando, negli anni Duemila, una serie di questioni ambientali, etiche, stilistiche compromette l'unione del gruppo.
Il documentario, che non è soltanto il racconto di una storia di una rivoluzione – ma è sopratutto il racconto di un territorio e di un paese – si chiude con uno sguardo al futuro: una nuova generazione di produttori è in grado di mantenere e incrementare il successo dei padri, e con questi anche il futuro delle Langhe.
Dopo la proiezione del film alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, Elio Altare e i registi ospiti in sala, hanno risposto alle domande del pubblico.
Ecco cosa hanno raccontato in un'intervista a La VOCE:
Se dovesse utilizzare alcune parole chiave per descrivere il segreto del vostro successo, quali sarebbero?
Elio Altare: Ho avuto la fortuna di non emigrare, rimanendo in azienda e sognando un futuro migliore.
In 40 anni ho visto rivoluzioni radicali. Ma rimango sempre contadino, questo è il mio mestiere. E nel mondo contadino c'è una regola: difendere, proteggere per lasciare alle nuove generazioni un terreno integro. Questo è il motivo del successo delle Langhe: la conduzione familiare, che permette ai padri di poter trasmettere l'esperienza e il know-how acquisito negli anni e ai figli di raccogliere un'eredità preziosa ma al tempo stesso, trovare il coraggio di rompere con la tradizione se necessario. Inoltre, prima di tutto, io cerco di fare il vino che piace a me, non al grande pubblico. E questa è identità: il vino quindi non solo come piacere del palato, ma come pezzo di storia di un territorio.
Una parola per raccontare invece quegli anni di sperimentazione dai quali sono nati i Barolo Boys?
Elio Altare: La condivisione. Non si fa niente da soli e da soli non si va da nessuna parte. Fare squadra, è questo il nostro successo. La domanda fondamentale da porsi è: “Quale emozione vuoi avere da un vino?”
Una volta trovata la risposta, bisogna quindi saper fare per poi permettere agli altri di fare in futuro. E ovviamente è fondamentale saper comunicare e far conoscere i prodotti.
Quali sono le prospettive per il futuro del vostro territorio?
Elio Altare: Credo anche che sia importante permettere ai figli e ai giovani di sognare. I nostri figli stanno smettendo di sognare. E questo perchè hanno tutto. Noi che non avevamo niente, sognavamo in grande! Io ho subito l'arroganza di un retaggio culturale come quello del patriarcato, ma insieme ad altri come me, sono fiero di essere riuscito a realizzare un grande sogno. Non mi adatto allo stile di vita moderno, dove i figli hanno tutto. I figli devono meritarsi i beni del padre e quindi mi auguro che mia figlia sappia fare altrettanto.
Qual era il background in comune con la storia che avete raccontato?
Paolo Casalis: In un certo senso, quando sei dello stesso posto, ti capisci subito. Noi proveniamo dalla stessa zona e personalmente, pur non avendo un'esperienza diretta con il mondo del vino – a differenza del mio collega Tiziano Gaia, co-autore e co-regista del film – mi sono trovato subito a mio agio nel raccontare la storia. Non volevamo fare un film commerciale, volevamo raccontare il nostro punto di vista, cercando di evitare facili sensazionalismi, senza esaltare il successo dei Barolo Boys, mettendo invece in luce i vari momenti della storia, dagli esordi fino ad oggi.
Raccontaci quei momenti in tre parole.
Paolo Casalis: Per quanto riguarda gli esordi, povertà, non tanto economica, ma povertà di mezzi, di possibilità di fare. Poi c'è stato l'entusiasmo, legato al periodo della sperimentazione e i grandi successi conseguiti. Oggi invece potremmo dire orgoglio: la parabola dei Barolo Boys ha toccato il massimo un decennio fa, anche se tutt'ora i loro vini vendono bene e sono molto apprezzati.
Nel finale del film c'è un cambio di scenario: vediamo Elio Altare in Liguria, alla ricerca di nuove possibilità. È l'inizio di una nuova sfida?
Paolo Casalis: Elio è un idealista e un sognatore, ed è sempre alla ricerca di nuove esperienze e nuove sfide, come quella di fare vino nelle Cinque Terre, un territorio non semplice. Ed è questo che Elio cerca di fare: esportare altrove la rivoluzione di cui è stato protagonista, espandere l'entusiamo e contagiare gli altri.
Sempre con la stessa attenzione verso l'ambiente e con lo stesso obiettivo: lavorare bene nelle vigne.