A cinque anni dall’ormai leggendario Aldo Raine di Inglorious Bastards (Bastardi senza gloria), Bradi Pitt è tornato a vestire i panni di un militare nella Seconda Guerra Mondiale. Come nell’altro film, anche in questo nuovo Fury è a capo di un “wild bunch” di soldati che ha un solo e unico obiettivo: eliminare i nazisti.
Le analogie con il cult movie targato Quentin Tarantino finiscono però qui, dal momento che a ben vedere, sia per quanto riguarda il tono che la retorica della storia, il film di David Ayer ha come referente un altro storico war-movie, Saving Private Ryan (Salvate il soldato Ryan) di Steven Spielberg. Nell’idea di messa in scena infatti Ayer mostra fin dalle primissime scene che il conflitto è orrore, sangue, devastazione. Non soltanto fisica o materiale, ma anche spirituale. Il tentativo di tratteggiare figure in chiaroscuro, dilaniate e ormai impossibilitate a distinguere secondo un’etica comune, viene purtroppo limitato da una scrittura che in più di una scena si rivela piuttosto rozza. Le psicologie dei personaggi di supporto sono infatti eccessivamente caratterizzate, fino a diventare meccaniche. Peccato, perché in questo modo viene sprecata la prova più che decente di attori come Logan Lerman, Michael Pena, John Bernthal e un redivivo Shia LaBeouf.
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Dal punto di vista squisitamente visivo Fury, rimane poi un film a metà: quando cerca il realismo colpisce allo stomaco, salvo poi perdersi in momenti di lirismo inutili se non addirittura dannosi. Il talento discontinuo di David Ayer – quasi impossibile pensare che siano entrambi suoi il riuscito End of Watch e il pessimo Sabotage – si rivela troppo votato a cercare l’effetto drammatico invece di lasciare che sia lo spettatore a trovare l’empatia con storia e visione.
Diventato col passare degli anni una delle star hollywoodiane più lungimiranti nello scegliersi parti perfette per il proprio talento, Brad Pitt questa volta pare proprio aver “steccato”. Fury gli viene cucito addosso e lui lo riempie con la solita presenza scenica, senza però fornire un’interpretazione originale o che comunque aggiunga qualcosa a quanto l’attore ci ha mostrato in precedenza.
Il lungometraggio non è ovviamente tutto da buttare ma rimane allo stesso tempo esplicitamente incompiuto e smaccatamente retorico. Il cinema di guerra ce ne ha mostrato l’orrore con capolavori di ben altra portata. Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola, il già citato Spielberg e molti altri grandi possono dormire tranquilli: Fury non aggiunge niente a quanto abbiamo già visto.