“Lei ha una qualche ambizione?
Ma… Non…
E Allora vada via… Se ne vada dall'Italia. Lasci l'Italia finché è in tempo. Cosa vuole fare, il chirurgo?
Non lo so, non ho ancora deciso…
Qualsiasi cosa decida, vada a studiare a Londra, a Parigi… Vada in America, se ha le possibilità, ma lasci questo Paese. L'Italia è un Paese da distruggere: un posto bello e inutile, destinato a morire.
Cioè, secondo lei tra poco ci sarà un'apocalisse?
E magari ci fosse, almeno saremmo tutti costretti a ricostruire… Invece qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri. Dia retta, vada via…
E lei, allora, professore, perché rimane?
Come perché?!? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere!”
Sono passati dieci anni da quando vidi per la prima volta La Meglio Gioventù, film di Marco Tullio Giordana. Dieci anni da quando vidi e sentii per la prima volta questo dialogo.
In quel periodo vivevo proprio a Parigi. Mi portai nella testa le parole citate, nella mente i personaggi, le loro storie per lungo tempo. Mi portai dentro un pezzo d’Italia tra amore e disincanto, tra desiderio e rassegnazione, ancora per lungo tempo.
Il film, sorretto da critiche entusiaste del pubblico e della critica, stava riscuotendo un grande successo. La versione cinematografica (ne è stata fatta anche una televisiva più lunga, di sei ore) si doveva fruire in due diversi momenti di due ore ciascuno. Il film, non a caso, ottenne anche il premio Un certain regard a Cannes nel 2003. In quei giorni, ricordo, l’Italia, cinematograficamente parlando, si proiettava in Francia con grande slancio. Ovunque locandine, interviste al regista, elogi agli attori. Tanti i momenti struggenti ed esaltanti, i dialoghi intensi, i personaggi affascinanti, ma quello che più incantava era l’incarnare una storia di storie italiane. Come se la storia del protagonista, una famiglia italiana lungo quarantatre anni di storia reale italiana dal 1960 al 2003, potesse raccontare, paradigmaticamente, la storia di ognuno.
Non vogliamo fare una critica cinematografica, quanto, piuttosto, prendere atto di un successo mondiale, successivamente anche negli Stati Uniti (con il titolo di The Best of Youth), che a noi viene da definire italico, perché capace di attraversare i confini e di proporsi, seppure nel suo forte legame con l’Italia, come universale. Come se ancora una volta si potesse insegnare qualcosa valido per tutti, malgrado il forte ancoraggio a modi di essere, stili di vita, avvenimenti che chiaramente definiscono un’identità come italiana.
Certo, un dialogo come quello citato, incanta nel suo bruto realismo, ci fa sorridere del vero ma con le spalle al muro. Ma è proprio da una consapevolezza come questa che nasce una storia, quella dei protagonisti, sullo sfondo di un’Italia che cambia ma che non vuole essere cambiata. Una storia che è quella di ognuno, della responsabilità della scelta, di un destino che può essere beffardamente raggirato se solo s’impara a guardarlo ad una certa distanza.
Quando guardai il film, proprio da un luogo non italiano, compresi quanto una bella storia italiana potesse donarci la meraviglia di un abbraccio quasi “totalizzante”, seppur agrodolce, della vita stessa.
E’ un film, allora, che consiglio di vedere e rivedere in chiave italica a chi legge la mia rubrica. Magari proprio in questi giorni di feste.
Ho scelto di parlare de La Meglio Gioventù perché per me è stato un film, nel momento in cui l’ho visto, molto importante. Di film che raccontano l’identità italiana ce ne sono un’infinità dal dopo guerra in poi e non solo. Scrivo solo i nomi, in ordine sparso, di alcuni registi che l’hanno raccontata: Roberto Rossellini, Federico Fellini, Vittorio De Sica, Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti, Dino Risi, Giuseppe De Santis, Pietro Germi, Ettore Scola, Mario Monicelli, i fratelli Taviani, Elio Petri, Gillo Pontecorvo, Sergio Leone (come non definire quasi tutto il suo cinema come italico per eccellenza, a partire da C’era una volta in America) o ancora Giuseppe Tornatore e Bernardo Bertolucci.
ÔÇïTuttavia, potrei consigliare altri film che, per brevità, preferisco scegliere tra quelli italiani (di origine) usciti dal 2000 in poi, indipendentemente dal successo e dalle critiche che hanno avuto, ma che, a mio avviso, ci raccontano meglio l’Italia, gli italiani, l’Italicità: La Stanza del figlio, Il Caimano e Habemus Papam di Nanni Moretti, Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, Nuovomondo e Terraferma di Emanuele Crialese dove, in entrambi, è protagonista il tema della migrazione e dell’incontro tra culture. Aggiungerei Il Divo e La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino di cui abbiamo già parlato, Romanzo Criminale (in particolar modo la serie) di Stefano Sollima, Noi credevamo di Mario Martone, Mio fratello è figlio unico di Daniele Lucchetti, Gomorra di Matteo Garrone, I Vicerè di Roberto Faenza, L’Uomo che verrà di Giorgio Diritti, I Cento Passi sempre di Marco Tullio Giordana.
In questi film molti sono i temi affrontati, e in un modo o nell’altro c’è tanta italicità. Ognuno la colga secondo il proprio vissuto, la propria sensibilità, la propria interpretazione. Chissà magari, poco alla volta, riusciremo, a partire dalle parole di uno dei personaggi de La Meglio Gioventù, Nicola Carati (Luigi Lo Cascio): “…lo sai che conservo ancora una cartolina che mi hai spedito da Capo Nord nel '66 in norvegese, credo avesse una scritta. E sotto la traduzione diceva ‘tutto quello che esiste è bello’ con tre punti esclamativi, ma tu ci credi ancora? – Ai punti esclamativi no, non ci credo più!"; a rimettere quei punti esclamativi. A noi ne basterebbe uno!
Buon anno nuovo e buona visione.