È La grande bellezza che nasconde la grande bruttezza. È la grande leggerezza che nasconde la grande pesantezza. È la grande ricchezza che nasconde la grande povertà umana. È il chiacchiericcio vuoto che nasconde il vuoto stesso. È la notte nella quale ci si nasconde dal giorno. È il nascosto che l’ultimo film di Paolo Sorrentino racconta, appunto ne La grande bellezza. Perché ogni volta che tale nascosto si ripresenta alla coscienza lo si scaccia: con trenini danzanti, le vanità spicciole, gli incontri di un attimo, le parole inutili, le chiacchiere senza scopo.
È la narrazione, seppur grottesca, di un mondo, di un’identità, quella contemporanea, postmoderna, in logica, ma quanto mai distante, continuazione con il mondo che Fellini aveva cominciato a descrivere con La Dolce Vita. Quello era un mondo che stava cambiando. Ognuno sembrava conoscere il suo posto ma al tempo stesso ambiva ad un altro, come se la propria condizione fosse meno desiderabile di quella altrui. E’ di questo che discutono Marcello Rubini (Marcello Mastroianni) e Steiner in una celebre scena:
Marcello: “Dovrei cambiare ambiente, dovrei cambiare tante cose. La tua casa è un vero rifugio, i tuoi figli, tua moglie, i tuoi libri, i tuoi amici straordinari. Io sto perdendo i miei giorni. Non combinerò più niente. Una volta avevo delle ambizioni ma forse sto perdendo tutto. Dimenticando tutto”.
Steiner: “Non credere che la salvezza sia chiudersi in casa. Non fare come me Marcello. E’ meglio la vita più miserabile che un’esistenza protetta da una società organizzata in cui tutto sia previsto. Tutto sia perfetto…. – e continua – Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato…Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori dal tempo, distaccati…distaccati”.
Sono due mondi che si raccontano, che si cercano, che si guardano sapendo che non potranno essere niente dell’altro: quello dell’ideale borghese dove tutto sembra essere nel giusto, e l’altro confuso, caotico, che non è né carne né pesce. Che non sa dove guardare perché forse non sa di avere occhi. Il mondo del giusto e quello dell’incerto, dove la stessa libertà non pare preferire l’uno all’altro: Marcello sembra invidiare la libertà dell’altro e viceversa. E’ solo una condizione da vivere, nel bene e nel male.
Ne La grande bellezza il confronto nasce dalla consapevolezza di una rassegnazione ammantata di nichilismo. Non ci sono ambizioni. Esse sono scomparse con tutti gli ideali che la società ha creato e distrutto. Solo individui. Soli con se stessi. Essi nascondono i loro vuoti, poiché immersi ne “L’ére du vide” o ne “L’Empire de l’éphémère”, per usare le parole del sociologo Gilles Lipovetsky. Perché alla fine: "È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura… Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile …Sull'orlo della disperazione, non ci resta che farci compagnia, prenderci un po' in giro". Così racconta Jep Gambardella, protagonista interpretato dallo straordinario Tony Servillo.
La Dolce Vita, invece, è divenuta un sogno. E’ il sogno che molti stranieri hanno attribuito all’Italian way of life, seppur il film segua una narrazione tragica, inquietante, nella ricerca che Marcello fa di se stesso. La grande bellezza non ha sogni, piuttosto rammarico e rassegnazione. Si vive il momento che deve essere il più eccitante possibile: musica forte, corpi in movimento senza sosta, alcol. Inebriarsi del tutto e del niente, fino a quando tutto finisce e nulla resta. La grande bellezza racconta un Bel Paese che non è più così, ma che si maschera in abiti kitsch perché altro, sbagliando, sembra non avere.
La grande bellezza difficilmente potrà raggiungere la celebrità del capolavoro di Fellini, in ogni caso è sicuramente il racconto di un Italian way of life che a noi non piace ma che è sempre più diffuso, anche nella percezione generale che media e persone comuni hanno.
Tuttavia, tra i due film c’è un filo conduttore. Le conseguenze delle nostre scelte ricadono su di noi. Perche siamo tutti homo eligens, come sostiene il grande sociologo Zygmunt Bauman. Siamo esseri umani costretti alla scelta e alle sue conseguenze.
E’ la scelta estrema di Steiner perché i sogni e le illusioni sono rimasti tali. E’ l’amarezza di Jep e di Marcello perché ciò che hanno scelto li ha fatti diventare altro. E’ il rammarico del non scelto, dell’occasione mancata.
E così le parole che sembrano sottintendere lo sguardo della ragazza rivolto verso lo spettatore che chiude La Dolce vita risuonano come un finale unico anche per il film di Sorrentino:
"E voi? Che scelta fate nella vostra vita?".