Contro le aspettative, Death Metal Angola, presentato durante il festival DOC NYC, è un film commovente. Ci racconta la storia di Sonia e Wilker, due sopravissuti alla guerra civile angolana, un conflitto che ha seguito la guerra di liberazione dal colonialismo e che si è protratto per decadi, straziando il paese e lasciando decine di migliaia di orfani in una terra distrutta, incattivita e povera oltre ogni immaginazione.
Ma le cose cambiano, il tempo lenisce i dolori (parzialmente, ché i traumi e le cicatrici restano), e in un paese che oggi attrae lavoratori dal proprio ex-colonizzatore, quel Portogallo alle prese con una crisi che pare essere senza fine, c’é spazio per un barlume di speranza e qualche lampo di gioia in mezzo a tanto dolore e a un presente ancora complicato, critico e corrotto.
Death Metal Angola ha così i contorni di una favola contemporanea, cruda e verace, che si svolge (come è giusto che sia in una favola), in una angolo di mondo sperduto e inacessibile. Huambo, la terza città dell’Angola, durante la guerra civile ha subìto le perdite più strazianti nel paese, soffrendo di una devastazione ancora maggiore di quella che sulla costa ha prostrato pesantemente la capitale Luanda e il principale porto commerciale angolano, Benguela.
Più precisamente, Jeremy Xido, il regista del film, ambienta la storia a Okutiuka, comunità orfanotrofio che ospita oltre 50 ragazzi, dai sei ai vent’anni, che da quasi due decenni è gestita con coraggio da Silvia Ferreira. Dal 1996, epoca dello stato d’assedio nel paese, questa isola di pace rappresenta l’unico rifugio per le decine di orfani della regione. E con fatica, ma con grande umanità, questa enclave autogovernata dall’ascolto e dal rispetto reciproco, riesce a resistere. Oltre ogni difficoltà e privazione.
In questo luogo unico incontriamo un altro essere eccezionale, Wilker Flores, rocker (ma sarebbe forse più opportuno definirlo poeta) death metal che con inesauribile energia (e attitudine punk) porta avanti la propria missione: diffondere il rock nel paese. Come fare? È semplice: soprattutto e principalmente attraverso un festival. Ma immaginarlo in un paese nel cuore dell’Africa, dopo decenni di odio, guerra, miseria e fame sembra davvero un proposito visionario.
Eppure il film ci accompagna in questo viaggio della speranza, un viaggio che ci porta anche nei centri metropolitani del paese (Luanda e Benguela, appunto) a conoscere i principali – ma è più corretto dire i primi – gruppi death metal del paese: dai Before Crush agli Istinto Primario, dai Neblina ai Dor Fantasma. Perché voler diffondere il rock in Angola? Perché la musica e i testi di queste band parlano dei traumi della guerra, che in molti dei componenti di questi gruppi hanno vissuto da bambini, e ne parlano in maniera diretta, cruda, immediata. Il rock sembra essere così lo strumento ideale per attraversare le coscienze di una generazione reduce da conflitti che agli occhi di un bambino devono essere sembrati senza fine.
Il film insegue questo sogno, ed è efficace strumento di indagine nel descriverci un ambiente remoto e affascinante allo stesso tempo, con tutte le sue contraddizioni. Il pregio maggiore di Death Metal Angola è la potenza visiva che sprigiona, capace – letteralmente – di far parlare i muri.
Infine, gli sguardi e le parole di questi reduci da un massacro, difficilmente – ne siamo convinti – abbandoneranno lo spettatore. Il chitarrista dei Dor Fantasma – un ragazzo – spiega così il proprio rapporto con la musica: con il rock “eu limpo o meu coração”, pulisco il mio cuore. Viva il rock, lunga vita al rock.
La crew di Death Metal Angola, raccontava Jeremy Xido, il regista del film presente allo proiezione, sta cercando di promuovere un tour negli US per alcune delle band del film. Si può sostenere il progetto attraverso la piattaforma rockethub.com.