Ad Hyde Park, nella contea di Dutchess, nello stato di New York, c’è un gruppo di eleganti edifici immersi nei boschi che affacciano sul placido Hudson River. È la sede della CIA, sigla che in questo caso non evoca storie di spionaggio, ma ben più dolci avventure gastronomiche. É il Culinary Institute of America, considerato l’Harvard della cucina: un campus dall’atmosfera d’altri tempi dove 2.800 studenti hanno a disposizione le più moderne tecnologie e attrezzature per imparare a preparare manicaretti di ogni tipo.
Qui c’è anche un pezzo d’Italia. Il Bel Paese non si trova soltanto in molte delle ricette con cui gli studenti si cimentano, ma anche nel Caterina de’ Medici, uno dei tre ristoranti del Campus dove gli alunni completano il proprio percorso di studi alternandosi tra cucina e servizio ai tavoli. L’edificio che ospita il ristorante è stato sponsorizzato dall’azienda dell’olio Colavita che ha realizzato il palazzetto e il ristorante utilizzando solo materiali italiani e che ha anche istituito una borsa di studio, intitolata a John Profaci, partner storico della società negli USA. Con i suoi 75 anni di storia di cui 30 con un piede negli Stati Uniti, il produttore di olio d’oliva arrivato da Sant’Elia a Pianisi (provincia di Campobasso) si è guadagnato un posto nel panorama gastronomico americano. Un’azienda famigliare che si è trasformata in un colosso con un export che arriva in 70 nazioni e nuovi prodotti in arrivo sul mercato mondiale.
Nel ristorante Caterina de’ Medici l’azienda ha organizzato i festeggiamenti per celebrare i suoi 75 anni di attività e lanciare una nuova linea di oli e vini a marchio Colavita. Prodotti che l’azienda ha voluto presentare ai suoi esportatori invitandoli a New York dove rappresentati di società di import-export di tutto il mondo hanno avuto modo di conoscere più da vicino l’azienda e la sua nuova linea. Giovanni Colavita, CEO per il Nord America e nipote del fondatore di un’azienda che, giunta alla sua terza generazione, non ha mai perso il legame con la famiglia d’origine, ha accolto gli ospiti per un pranzo a base di Italia: ricette dal sopore di casa e vini della nuova linea Colavita, realizzata in collaborazione con l’azienda Turano.
Arrivato in America nel 2008, Giovanni Colavita è affiancato dalla famiglia Profaci che è parte del business fin dai primi passi del marchio molisano negli States. Oggi Colavita, oltre a portare da questa parte dell’Atlantico i suoi oli, importa diversi marchi italiani tra cui Perugina, San Benedetto, Scotti, Cirio e altri grossi nomi della gastronomia di casa nostra. E l’ultima novità è la decisione di entrare sul mercato con oli non soltanto italiani. “La nostra filosofia è quella dell’assoluta trasparenza – spiega a La VOCE Giovanni Colavita – Attraverso i nostri prodotti vogliamo anche riuscire a educare i consumatori a una cucina di qualità. In questa prospettiva si inserisce anche la nuova linea di oli World Selection che, pur se non provenienti dall’Italia, sono comunque oli di ottima qualità. Vogliamo abituare anche quei consumatori che non possono spendere per comprare italiano, al giusto gusto dell’olio. Una volta che si crea quella familiarità e il consumatore apprezza quel sapore, appena potrà permetterselo, comprerà l’olio della linea Premium”. E quale sia la differenza tra un olio italiano e uno spagnolo o greco e perché quello made in Italy costi di più, Giovanni Colavita ce lo spiega con semplicità: “In Italia abbiamo più di 500 varietà di olive sulle 1.800 disponibili a livello mondiale. Paesi come la California ne hanno tre ed è più difficile fare un olio strutturato e di qualità con una minore varietà. I nostri blend sono unici”.
D’altra parte l’azienda non è nuova alla missione di educare il palato dei consumatori: “Colavita ha avuto un ruolo cruciale nel far conoscere e apprezzare l’olio d’oliva in America – ci dice Robert Profaci la cui famiglia fu vitale all’ingresso dei Colavita negli USA – quando siamo entrati nel mercato, l’olio d’oliva qui era praticamente sconosciuto. Abbiamo iniziato facendolo conoscere agli chef che un po’ alla volta hanno cominciato a utilizzarlo e a mettere la bottiglia d’olio sui tavoli. Poi sono seguiti alcuni articoli del New York Times e di altri giornali che esaltavano i valori nutritivi della cucina mediterranea e dell’olio d’oliva. Su un articolo del New York Times c’era in foto proprio l’olio Colavita”.
E se di educare si tratta, non sorprende che Colavita abbia voluto donare un edificio a quello che è il tempio dell’educazione culinaria americana. Fondato nel 1946 il Culinary Institute of America, che aveva inizialmente sede in Connecticut da dove fu trasferito ad Hyde Park nel 1972, è il sogno di chiunque da queste parti aspiri a un futuro nella gastronomia. Con una retta da 40.000 dollari l’anno (che, ci fa notare Emily, studentessa di pasticceria originaria della Florida, non è poi tanto per gli standard universitari americani, se si considera che la cifra copre tutto il materiale didattico, le divise, le attrezzature, l’alloggio e il – presumibilmente ottimo – vitto), la scuola offre il meglio dell’educazione nella cucina.
Con sedi anche in California, Texas e Singapore, la scuola ha un programma in arti culinarie e uno in arte bianca, e un corpo insegnante di 170 membri tra chef, pasticcieri, manager di sala, enologi ed esperti dell’industria. Rappresentate le più diverse culture e cucine. Nel campus di Hyde Park, immerso in un paesaggio da favola nordica, vive l’80 per cento degli studenti che hanno a disposizione un centro ricreativo, palestre, campi da tennis, una grande sala mensa, un centro nutrizionale, una sala per la degustazione del vino (questa è tra l’altro l’unica scuola del paese che consente anche agli studenti minori di 21 anni di partecipare ai corsi di enologia), un auditorium, un teatro e un centro ricreativo. Nella biblioteca della scuola ci sono 48.000 libri e una collezione di 30.000 menu: la più grande raccolta di testi di cucina del paese dopo quella della Library of Congress. I corsi coprono lo studio di cucine di diversi paesi e prendono in considerazione anche esigenze alimentari specifiche come la dieta senza glutine, la cucina kosher e quella vegan. Oltre alla cucina, sui banchi si studiano matematica, scrittura e tutte quelle materie che contribuiscono a costruire la cultura del cibo e dell’alimentazione. Se il cibo è vita, come ricorda il motto della scuola, questo campus è un vivaio. Da qui sono usciti e usciranno tanti degli chef dei ristoranti stellati in giro per il mondo. Non possiamo che augurarci che stiano ben attenti in classe e che imparino tutti i segreti dell’arte del gusto.