The Pleasures of Being Out of Step – letteralmente: i piaceri di essere fuori fase. O controcorrente. Che gran titolo per un film; tanto più se si tratta di un documentario biografico. Nat Hentoff è stato, tra le altre cose, una delle firme più prestigiose del Village Voice, testata tra le più importanti della New York libera e anticonformista dei mitici Sixties. Ma non solo. Nat Hentoff è stato soprattutto critico musicale, occupandosi da fine anni ’50 di jazz e musica in genere, dal rock al blues al pop. Hentoff è stato – ed è tuttora – un giornalista capace di creare, con la propria scrittura, opinione.
Amico dei più grandi di sempre del jazz, uno di famiglia, come hanno ricordato i numerosi colleghi e artisti intervistati. Miles Davis, Mingus, Coltrane abitualmente hanno avuto la firma di Hentoff sui propri dischi, nelle ormai famose introduzioni all’ascolto che le etichette jazz erano solite porre sul retro dei vinili. Hentoff è stato un maestro di giornalismo e un esempio raro di libertà applicata, incarnando per la propria intera esistenza la logica espressa dal primo emendamento.
Incontrare Hentoff significa entrare in contatto con Bob Dylan come con John Lennon, con Lenny Bruce così come con Eldridge Cleaver, con Malcom X e con Billie Holiday, e poi Coleman Hawkins, Lester Young e tutti i più grandi del jazz. Spirito libertario, sempre e comunque profondamente controcorrente (e, come ricorda lo stesso titolo del film, The Pleasures of Being Out of Step, all’insegna di una particolare soddisfazione nel porsi contro la morale comune, rivendicando la libertà individuale di pensare con la propria testa, e di conseguenza di esprimere opinioni spesso anche controverse: non ultima, quella anti-aborto), Hentoff ancora oggi, continua a scrivere nel suo studio al Greenwich Village, a frequentare l’ambiente musicale, ad essere una voce importante e ascoltata nella cultura di questa città. Il film di David L. Lewis rintraccia i tasselli della biografia di Hentoff, restituendoci il ritratto complesso di un grande giornalista, ma anche fotografando un ideale: quello, appunto, della libertà di espressione.
Rev. Gary Davis è noto al grande pubblico a partire dalla sua apparizione al Newport Folk Festival del 1965. Un festival leggendario, per molti. La sua tecnica del fingerpicking ha fatto letteralmente scuola. A partire da quella data, il Rev. Davis ha completato un percorso che lo ha portato ad essere riconosciuto come uno degli artisti che più hanno innovato le sonorità della chitarra blues. Lungi dal voler ridurre la sua vita a un sogno di affermazione e sicurezza piccolo-borghese, Harlem Street Singer ci racconta di questo talento, e di come questa capacità unica abbia portato Rev. Davis a possedere – grazie alle royalties di alcune sue canzoni interpretate dai più grandi artisti della scena folk americana – una casa nel cuore di Harlem, dedicando l’ultima parte della sua vita all’insegnamento della chitarra così come a concerti, collaborazioni, tournée negli US. La vita di Gary Davis è stata, infatti, tutt’altro che semplice, come racconta il film di Trevor Laurence e Simeon Hutner: nato cieco, alla fine del 1800, nel profondo Sud (South Carolina) da famiglia afroamericana – e ovviamente povera – Davis ha approcciato fin da giovanissimo la musica proibita, diabolica, il blues, per poi dare alla stessa colorazioni folk, ragtime e gospel, trasformando queste melodie cariche di spiritualità e soul in inni a Dio, che Davis era solito interpretare per strada e nelle chiese. In North Carolina, negli anni ’20 e ’30, suonava a offerta nella manifattura tabacco e per le strade. Ordinato reverendo, si trasferisce a New York, continuando a vivere miseramente, in alloggi fatiscenti e mendicando attraverso la propria arte. Poi, con il folk revival movement dei primi anni ’60, avviene la riscoperta e il meritato riconoscimento. Attraverso interviste ad artisti del calibro di Bob Weir (Grateful Dead), Jorma Kaukonen (Jefferson Airplane, Hot Tuna), Peter Yarrow (Peter, Paul and Mary), Harlem Street Singer traccia un percorso biografico che – ancora una volta – rappresenta l’ideale di riscatto individuale, l’inesauribile American dream. Solo in America.