“NOW is the winter of our discontent” queste poche parole, fra le più conosciute di Shakespeare, aprono il dramma storico «King Richard III», scritto dal Bardo nel lontano 1591 e ora in scena all’Harvey Theatre del BAM fino al 4 marzo 2012. Nonostante i secoli, bisogna proprio dire che quest’opera è incredibilmente attuale. Un dittatore che continua a combattere, anche se lasciato solo da tutti i suoi alleati, e che finisce ammazzato e lasciato pendere dai piedi nella piazza pubblica.
Uomini che si vendono per l’illusione di una qualche forma di retribuzione che puntualmente non arriva. Sam Mendes, regista dello spettacolo e uno dei fautori del Bridge Project, dice nel programma di sala: “E’ incredibile come la storia ha provato che Shakespeare ci avesse visto giusto, visto che sono passati 400 anni dal debutto assoluto del testo. Mentre provavamo e andavamo in scena, la primavera araba ha avuto luogo, e con essa la caduta di Mubarak in Egitto e di Gaddafi in Libia. Posso solo ribadire che Shakespeare è un nostro contemporaneo”. Un contemporaneo che ha nel suo maggior interprete un altro contemporaneo Kevin Spacey che primeggia in un ruolo che fa gola a qualsiasi grande attore.
Lo spettacolo è l’ultimo del citato “The Bridge Project” creato, voluto, organizzato, prodotto dal BAM insieme al teatro Old Vic di Londra – il cui direttore artistico è Spacey – e a Neal Street, la produzione di Sam Mendes. Il progetto, in breve, ha avuto tre stagioni nell’arco di cinque anni e gli spettacoli prodotti hanno visto la partecipazione di attori americani e inglesi. L’idea era quella di rivisitare classici creando un dialogo fra artisti dei due paesi coinvolti.
Il dialogo c’è stato, a giudicare dal risultato, e anche il pubblico ne ha goduto. Nella regia di Sam Mendes c’è il video, c’è la musica dal vivo, percussioni da una parte e musica elettronica dall’altra, c’è una sola scenografia che si dimezza, si piega, chiude e apre gli spazi, mantenendo la sempre la stessa faccia, vale a dire una serie di porte che portano a luoghi, che fanno entrare persone, ma che simbolizzano anche i personaggi che via via scompaiono per volere del maligno e mediocre Richard.
I personaggi sono un punto importante della storia di Mendes: ciascuno ha un suo momento, una sua storia, dubbi, sbandamenti, fermezze, rivelazioni. Ogni personaggio, nella visione di Mendes, ha un suo quadro che ha come titolo, proiettato sulle pareti, il proprio nome. Il regista sembra seguire il ritmo del testo.
Inizia dandoci Richard fra bottiglie di vino, rimasugli di una festa, solo, in una stanza a vedere nello schermo il fratello. Continua con pochi elementi scenici e grandi attori che si muovono piano, come vuole l’opera stessa, fra gli intrigati delitti di palazzo e raggiunge l’apice con il momento della richiesta a Richard di diventare “King”. Il pubblico era stato preparato, Richard aveva spiegato il suo piano, nei dettagli, eppure Mendes coglie tutti di sorpresa e utilizza la tecnologia per rendere più vivo e attuale una scena che lo sarebbe già di suo, ma con questa idea acquista forza e significato. La scena è un dialogo fra Richard, dietro le quinte, ripreso da una telecamera, e gli attori in scena. Indimenticabile.
Infine, è evidente che il testo sia stato tagliato in modo da dare risalto a Richard, ma è anche vero che questo è l’ultima produzione del Bridge Project e vede la partecipazione diretta dei due grandi nomi, dunque tale prospettiva è più che giustificata. «Richard III» è in scena fino al 4 marzo all’Harvey Theatre (651 Fulton Street). Per i biglietti chiamare 718-636 4100 oppure visitare il sito bam.org.
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