Nella foto, il prof. Joseph Buttigiegp { margin-bottom: 0.08in; }
Esce per i tipi della Columbia University Press di New York l’edizione in brossura dei primi tre volumi della traduzione in lingua inglese dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci a cura di Joseph Buttigieg (CUP 2011, 60,00 dollari). Iniziata negli anni Novanta, l’edizione Buttigieg è stata senza dubbio una pietra miliare per gli studiosi di tutto il mondo. Nel 1992 la Columbia pubblicò il primo volume, contenente i quaderni 1 e 2; nel 1996 uscì il secondo, con i quaderni 3, 4 e 5; nel 2007 il terzo, con i quaderni 6, 7 e 8. Il nuovo cofanetto in paperback, fresco di stampa, presenta una veste rinnovata e un prezzo più abbordabile.
Incontriamo il professor Buttigieg alla Columbia University. Lo studioso, difatti, è stato ospite della conferenza “Negotianting the Enlightenment. Kant, Gramsci, Education and Woman”, organizzata dall’Italian Academy.
Professore, quanto tempo è occorso e quanto ancora ne servirà per completare la traduzione dei Quaderni?
“Ci lavoro da tempo. Per il momento abbiamo pubblicato tre volumi che comprendono i primi otto quaderni; due ulteriori tomi completeranno l’opera. Intanto la storia di questa edizione è piuttosto complessa. Negli anni Ottanta avevo intenzione di curare un’antologia degli scritti. Proposi questa idea alla Columbia che interpellò a riguardo alcuni docenti. Tra di essi vi era Edward Said, mio amico. Fu proprio lui ad opporsi, poiché riteneva fondamentale non un’antologia ma una traduzione integrale dei Quaderni. Opinione condivisa da Valentino Gerratana”.
Un delicato lavoro di traduzione reso ancora più prezioso da un denso apparato critico.
“Gran parte dell’apparato sarà valida anche per le successive pubblicazioni. Si tratta di un’enorme mole di materiale bibliografico, di note esplicative, di analisi comparate. Abbiamo ampliato notevolmente il già ricco apparato critico di Gerratana. Nel nostro caso occorreva tener presente l’estrazione culturale del lettore anglofono. Dunque vi sono chiose che, ad esempio, inquadrano gli scritti dal punto di vista storico; altre in cui diamo notizie biografiche degli autori citati; altre ancora in cui menzioniamo nel dettaglio le fonti utilizzate da Gramsci. Molte delle note, in ogni caso, credo siano utili non solo per i lettori americani”.
Su quali edizioni ha lavorato per la sua traduzione?
“Ho utilizzato l’edizione Gerratana e i manoscritti di Gramsci. Ho, difatti, una copia di ogni pagina dei Quaderni. Queste riproduzioni furono fatte probabilmente negli anni Settanta. Lo stesso Gerratana ha lavorato su queste copie degli originali”.
Lo scorso gennaio a Roma, per la prima volta dopo il 1948, i quaderni sono stati esposti in pubblico in una mostra. Scrittura minuta, sottile, ordinatissima. È stato complesso leggere e interpretare la grafia di Gramsci?
“Il tratto grafico è molto limpido, facilmente decifrabile. Non ho riscontrato grosse difficoltà. In sporadici casi non ho acquisito l’interpretazione di Gerratana, ma si tratta di pochissime parole”.
Quale crede sia la peculiarità del suo lavoro?
“Credo che il maggior pregio di questa edizione sia quella che potremmo definire ‘materialità del testo’; è difatti possibile evincere chiaramente la metodologia di lavoro di Gramsci. Non vi è stato alcun tentativo di ristrutturare il testo, di renderlo meno frammentario”.
Qualche settimana fa Giorgio Napolitano, ospite della New York University, stupì gli astanti confessando che il suo livre de chevet sono le Lettere dal carcere, pubblicate nel ‘47, quando il presidente della Repubblica aveva ventidue anni. Qui negli Stati Uniti c’è una traduzione completa delle Lettere?
“Certo. C’è un’ottima traduzione in due volumi di Frank Rosengarten. Tra l’altro è curioso sapere che fu questo studioso a scovare due o tre lettere inedite, incluse nella sua edizione e successivamente in quella del 1996 di Sellerio, curata da Antonio Santucci”.