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May 2, 2011
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Ci voleva Obama per far fuori Osama

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

Accanto Osama bin Laden; sotto il presidente Barack Obama domenica annuncia l’uccisione del capo di Al Qaeda

 "Justice has been done". Giustizia é stata fatta, ha detto il Presidente Barack Obama alle 11:35 di domenica sera agli americani e al resto del mondo. Osama Bin Laden é stato ucciso e a trovarlo, a dare l’ordine di fare finalmente giustizia a quasi dieci anni dall’11 settembre é stato lui, Barack Hussein Obama. Lo ha sottolineato subito all’inizio del suo discorso lui stesso, ricordando che appena entrato alla Casa Bianca aveva ordinato al suo direttore della Cia, Leon Panetta, di porre come assoluta prioritá, al di sopra di qualunque altra, l’individuazione e cattura, vivo o morto, del capo di Al Qaeda Osama Bin Laden.

  Dal 4 marzo a venerdí scorso, il presidente Obama ha presieduto cinque riunioni del National Security dedicate alla cattura di Bin Laden. Giá lo scorso agosto una traccia era stata individuata. Poi a marzo il cerchio ha cominciato a chiudersi, e venerdí Obama ha dato l’ok all’operazione che é stata portata a termine da un commando di "Navy Seals", che con degli elicotteri sono penetrati dentro una villa di Abbotabad, una cittá a circa 100 chilometri dalla capitale del Pakistan Islamabad.

 Nel suo discorso alla nazione, il presidente Obama ha detto che, durante uno scontro a fuoco, Osama é stato ucciso e il suo corpo recuperato. Nessun militare americano é stato ferito, ha detto il presidente. Poi si é venuto a sapere, che anche un figlio di Osama bin Laden é stato ucciso durante il conflitto a fuoco.

  Quindi il capo di Al Qaeda, l’uomo piú ricercato del mondo che la piú grande potenza militare della terra non riusciva a catturare da quasi dieci anni, non se ne stava rintanato in una caverna, ma viveva in una comoda villa di una cittá a poche miglia dalla capitale del Pakistan. Il presidente George W. Bush aveva detto "dead or alive", ma pur invadendo prima l’Afghanistan e poi l’Iraq, aveva miseramente fallito: gli americani hanno dovuto convivere, ad ogni anniversario dell’11 settembre, con la rabbia di sapere che l’uomo che aveva pianificato e ordinato l’attacco terroristico piú spettacolare e sanguinario della storia, rimaneva libero di vivere – comodamente tra i suoi familiari, ora sappiamo – e pianificare altri attacchi.

  Come giá sottolineato, il presidente Obama nel suo discorso ha ricordato che lui, appena entrato alla Casa Bianca, ha ordinato che la cattura di Osama bin Laden doveva avere la precedenza su ogni altra operazione. A questo punto, nel condividere la grande soddisfazione di tutti i cittadini americani per questa "mission accomplished", ci torna anche l’amarezza nel constatare che questo giorno di giustizia per le vittime di 9-11, sarebbe potuto arrivare prima, se solo gli Stati Uniti avessero potuto concentrare tutte le loro risorse di intelligence e militari nella cattura del capo di Al Qaeda invece che disperderle altrove, come nella tragica guerra in Iraq.

Durante la sua campagna elettorale per la presidenza, Barack Obama disse: "We will kill Osama Bin Laden". Complimenti all’America che anche riguardo alla sua sicurezza, due anni fa ha visto giusto nello scegliersi il suo nuovo "Commander in Chief": ci voleva Obama per farla finita con Osama.

 

 

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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