Trascorrere del tempo con gli Irlandesi, nella loro terra, significa imbattersi nella narrazione di eventi sempre in bilico tra favola, mito e storia. Il tutto condito dalla capacità della gente di sghignazzarsi addosso ironizzando sulle proprie disgrazie, ad iniziare da quella più grossa: l’aver avuto come vicino, nel corso dei secoli, l’ingombrante e aggressiva corona d’Inghilterra.
Esemplare il modo con cui è offerto ai visitatori il Castello di Dunluce. Il Castle, in territorio britannico nord-irlandese, occupa un intero sperone di roccia nera a picco sull’oceano, lungo la North Antrim Coast. Le rovine sono imponenti, e impressionano per come si fondono con la ruvida bellezza dell’ambiente circostante. Dalla storia si sa che il maniero fu dapprima proprietà dei McQuillan che controllarono Route e costa Nord di Antrim dal XIV secolo, per poi passare ai MacDonnel provenienti dalla dirimpettaia Scozia. Nel 1635 il figlio del conte di Antrim sposò la vedova del duca di Buckingham, Catherine Manners, star dei fasti londinesi. La rocca era stata teatro di cospirazioni, tradimenti e omicidi, ma una brutta sera del 1639 accadde l’impossibile: una sua zolla scivolò in mare trascinando cucina e servitù. Catherine, già stranita dal passato del castello e ossessionata dal rumore delle onde, avrebbe cercato pace in una residenza dell’entroterra, abbandonando il luogo al suo destino. Nella realtà, il castello fu condannato dalla tragica fine del protettore dei MacDonnel, re Giacomo, e dalla spoliazione degli agenti di Cromwell. Alla restaurazione, il recupero del diritto proprietario non poté riportare Dunluce agli antichi splendori.
Spesso le leggende irlandesi nascondono accadimenti geologici grandiosi, nel tentativo di umanizzare fenomeni altrimenti spaventevoli. E’ il caso del Giant’s Causeway, nell’estremo nord est, a tre chilometri dalla cittadina di Bushmills. Il sito è nell’elenco Unesco dei World Heritage, visitato quotidianamente da torme di grandi e piccini. Le guide raccontano che i circa 40.000 blocchi di basalto affastellati tra oceano e montagna, alti sino a 12 metri (quelli poggiati sulla scogliera arrivano a 28), costituivano il selciato che il gigante Fionn mac Cumhail aveva edificato per recarsi in Scozia a sgrugnare il gigante Benandonner. Questi, insospettito, avrebbe controllato l’avversario nel sonno, lasciandosi però convincere che a riposare sotto la coperta fosse il di lui figlio. Vista la mole del bambino, fatti due conti su quella che ragionevolmente avrebbe dovuto essere la stazza paterna, lo scozzese sarebbe rientrato a gambe levate non senza distruggere il selciato per evitarsi l’inseguimento. Una delle grandi rocce depositate sulla costa mostrerebbe ancora lo stivalone abbandonato da Benandonner in fuga. Una gran bella ballad da accompagnare con l’arpa bevendoci su un buon wiskey: peccato che il basalto stia lì a testimoniare l’intensissima attività vulcanica della zona, avvenuta secondo i geologi intorno a 60 milioni di anni fa.
Leggende più attuali e… veritiere riguardano celebrità e artisti. Visitare a Dublino i sette piani della Guinness Storehouse, al centro di Saint James’s Gate sede di produzione dal 1759 della più amata dagli irlandesi, è entrare nella vita del fondatore Arthur e degli epigoni. Una storia intrisa del sudore dei tanti che lavorarono tra caldaie e fornaci, in un percorso che oggi i visitatori compiono agevolmente sino al Gravity Bar, 360° di vista sulla capitale dell’Eire. A otto miglia a sud in linea d’aria, la torretta di Sandycove sta sul bordo del mare, tronca e tarchiata: oggi museo letterario, un tempo rifugio per lo spirito inquieto di James Joyce, che vi ambientò l’incipit di Ulysses.