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April 12, 2010
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Italianisti ribelli

Liliana RosanobyLiliana Rosano
Time: 6 mins read

 A sinistra il Prof. Pellegrino D’Acierno e a destra il Prof. Stanislao Pugliese

New York – Ripensare la cultura italiana e quella italo-americana in chiave auto-critica e radicale, attraverso nuovi strumenti di lettura e nuove interpretazioni, è un’operazione necessaria oltre che innovativa.
Ma soprattutto, generare un nuovo “Manifesto” degli studi italiani che sia rappresentativo del XXI secolo e non più ancorato ai vecchi stereotipi, risulta essere un obiettivo immediato che non si può piu’posticipare. E’ questo lo scopo principale della conferenza “ For a Dangerous Pedagogy: A Manifesto for Italian and Italian American Studies”, una quattro giorni di dibattiti (dal 14 al 17 Aprile a Long Island presso la Hofstra University , alla Columbia e alla New York University), seminari e riflessioni, organizzata dalla Hofstra University insieme all’Accademia Italiana per gli Studi Avanzati in America, Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, Hofstra Cultural Centre.
Riduttivo definirla una semplice conferenza, perché ad essere affrontati sono molteplici aspetti che riguardano gli studi della cultura italiana e di quella che viene definita “italianistica”: dalla storia della vecchia e nuova immigrazione, la mafia, la politica, la letteratura, l’arte, la cultura italo-americana, fino ad arrivare ai giorni nostri con Berlusconi e il nuovo volto della politica italiana.
Un dialogo multiculturale e multidisciplinare dove il fil rouge è la vitale ridefinizione dell’italianistica come nuova disciplina di studi.
Un contenitore globale che si basa su quattro linee tematiche principali: un dialogo necessario per far riavvicinare la cultura italiana e quella italo-americana, una pedagogia critica e autocritica per lo studio italo-americano, la cultura italiana secondo un approccio filosofico e teoretico, il pensiero di Gramsci dopo il post-modernismo. Ne abbiamo parlato insieme a Pellegrino D’Acierno, professore di Lingua e Letteratura Comparata alla Hofstra University, che è anche il direttore della conferenza e a Stanislao Pugliese, professore di Storia (sempre alla Hofstra University), che della conferenza è invece consulente speciale. In un ristorante italiano di Manhatthan, tra un bicchiere di vino e pietanze da nouvelle cuisine italiana, la discussione ha affrontato diversi aspetti legati alla conferenza e non solo: il loro essere italo-americani, il loro rapporto con l’Italia e con gli Stati Uniti. Osservatori acuti di quanto succede nel nostro paese, D’Acierno e Pugliese, hanno lavorato due anni per preparare questa conferenza. Dicono loro con amore e passione, e con orgoglio italo-americano. “Perché l’amore per l’Italia, dicono i due non è solo una questione accademica. E’ nel sangue”. Dimenticatevi la pizza italo-americana o gli spaghetti con meat balls, D’Acierno e Pellegrino, si sono emancipati da un certo stereotipo culinario italo-americano. Intenditori raffinati di cibo e di pietanze italiane, mostrano tutta la loro conoscenza frutto di numerosi viaggi in Italia e di studi accademici.
Professore D’Acierno, come e in che modo è possibile un radicale ripensamento di quella che lei definisce “italianistica”?
“Innanzitutto, bisogna che la cultura italiana sia più autocritica e multidisciplinare, aperta ad ogni contaminazione e ad un approccio più globale. Va bene lo studio di Dante, va benissimo il Rinascimento, ma l’approccio umanistico non può essere l’unico e quello esclusivo nell’insegnamento delle discipline legate all’italiano”.
D’Acierno definisce la cultura italiana oggi una Buffalo soup culture: una cultura che manca di politicizzazione e di ogni forma di intellettualizzazione a livello politico, sociale ed accademico.
“A dominare oggi, continua D’Acierno, sono il caos, l’essere approssimativi e l’eccessiva identificazione tra il modello politico dettato da Berlusconi e la cultura di massa.
Lei parla, in riferimento allo stato attuale della cultura italiana di “Coma Culture” e di “Global Culture”, ma qual è la percezione della cultura italiana oggi in America a seguito dei processi di globalizzazione?
“La cultura italiana, come le altre del resto, non è esente da ogni processo di globalizzazione. Questo però implica una trasformazione verso una cultura più vicina a quella americana ma nel senso peggiorativo. Per questo la percezione è quella che la cultura italiana sia una cultura di massa e consumistica, lontana da quell’ideale che da sempre hanno caratterizzato il genius italiano. “Coma culture”, è un’espressione che meglio di ogni altra spiega quella che si potrebbe definire stagnazione dell’ humus culturale italiano: mancanza di ogni fermento vitale”.
 
La conferenza parte da un concetto che è anche un distinguo inevitabile quando si parla di studi italiani in America: cultura italiana e cultura italo-americana, come due culture differenti che necessitano però di un riavvicinamento.
Di come gli stereotipi legati alla cultura italo-americana sopravvivono ancora oggi, ci parla il professore Pugliese.
“Dalla vecchia migrazione italiana del primo dopoguerra fino all’attualissimo Jersey Shore, afferma Pugliese, la cultura italo-americana è nata da una vera e propria diaspora da quella italiana.
Anche se non mancano alcuni elementi in comune, riconducibili ad un certo modo di essere barocco, all’autocelebrazione, quella italo-americana non si è riuscita a liberare da un clichè che la emargina, per certi versi, ad una cultura di serie B che fa fatica ad entrare nei ranghi accademici. A fare eccezione, sono alcuni esempi importanti di esponenti italo- americani, dal cinema, alla letteratura, alla politica: De Lillo, Scorsese, Mario Cuomo. Ma per il resto, complice una certa letteratura televisiva che dai Sopranos al Jersey Shore, non ha aiutato sicuramente a riscattare l’immagine, l’italo americano richiama troppi luoghi comuni e accezioni negative.
Spesso gli italo americani, continua Pugliese, sono sospesi tra due tradizioni linguistiche e culturali diverse: quella italiana non più attuale e quella americana che si richiama a quella WASP di chiara tradizione anglosassone”.
Parlare di Cultura italiana e cultura ialo-americana significa anche parlare di vecchia e nuova emigrazione verso gli stati Uniti d’america in termini sociali e politici.
“L’analisi è ovvia afferma D’Acierno, la vecchia emigrazione nasceva da un’esigenza economica forte e chiara. Oggi i giovani vengono negli Stati Uniti per una scelta personale: per migliorare il proprio bagaglio culturale e confrontarsi con un’esperienza multiculturale utile soprattutto a livello umano. La nuova migrazione dall’Italia verso gli Usa, sebbene diversa nelle ragioni e nei numeri, contribuisce oggi sicuramente a modificare lo scenario sociale e il panorama culturale americano.
 
“In questa fase di rethinking degli studi italiani, secondo D’Acierno,  è necessario l’apporto della filosofia italiana che fa capo agli studi di Antonio Gramsci, politico e filosofo illuminato, che per D’Acierno ha contribuito a definire la sua personale appartenenza alla cultura italiana e a formare la coscienza culturale. “La lezione di Gramsci è sempre attuale – afferma D’Acierno-  ed è uno strumento necessario per rivitalizzare la società. Come Gramsci ci insegna – sottolinea D’Acierno –dobbiamo ripensare il nostro stato intellettuale e rivoluzionario in maniera organica.
Va bene Gramsci e la sua visione organica, ma cosa c’entra questo con gli studi italiani e con la cultura americana?
“L’elemento intellettuale e rivoluzionario in Gramsci offre uno spazio per rivedere questa società odierna e salvarla dalla deriva verso cui il post modernismo l’ha portata- afferma con convinzione D’Acierno.
Gramsci cosi come altri filosofi italiani sono stati spesso ignorati nei programmi accademici americani. Dalla mia passione per questo filosofo  è nata anche la volontà di inserirlo tanti anni addietro tra i primi nella programmazione didattica alla Columbia university. Per questo a Gramsci e alle sue teorie ho voluto dedicare una serie di incontri all’interno della conferenza dal titolo: “The Spectres of Gramsci: Italian culture after Postmodernism- Global Culture or Coma Culture”.
E’ questo secondo D’Acierno, uno di quegli incontri destinato a suscitare un vivo dibattito e alcune reazioni. Parlare di cultura italiana in coma può trovare molti non d’accordo. Ma se pensiamo che l’Italia deve essere di più di un concetto legato alla moda, al cibo e alle bellezze, dobbiamo davvero fare qualcosa per cambiare lo stato delle cose.
La conferenza non trascura anche alcuni interessanti aspetti legati al mondo del cinema e della letteratura italiana.
“Rethinking Dante” è infatti il titolo di uno degli incontri e “Il nuovo cinema italiano” affronta invece come la cinematografia italiana è cambiata dal neo realismo ad oggi.
Infine, chiediamo a D’Acierno a chi è destinata principalmente questa conferenza
“Non solo a studenti e al mondo accademico ma ad un pubblico vasto, interessato e curioso della cultura italiana a 360 gradi. Ci aspettiamo molte reazioni ma anche un dibattito vivo e d acceso.
Una discussione aperta a tutti. A tutti quelli che come noi vogliono difendere la sopravvivenza degli studi italiani”. E a guardarli parlare, con passione e sentimento vivo degli studi italiani, possiamo senz’altro dire che ci pensano i nostri cugini americani a tenere alto il nome della cultura italiana.


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Liliana Rosano

Liliana Rosano

Sono nata a Catania, dove sono sempre tornata dalle mie peregrinazioni che mi hanno portato prima in Grecia, poi a Parigi. Con la mia laurea in Scienze Politiche, sognavo di lavorare nella cooperazione internazionale, ma sono finita a fare la giornalista, prima nella redazione di Telecolor poi del Quotidiano di Sicilia. ll mio ponte con l’America è iniziato grazie a un tirocinio per le Nazioni Unite a New York. Sono una freelance e collaboro con diverse testate e magazine nazionali. Vivo a Fairfield, nelle praterie sperdute dell’Iowa, in una comunità alternativa ed eco friendly e sono sempre alla ricerca di storie di italiani all’estero da raccontare.

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