Pianista, compositore e solo in seguito filosofo, Nietzsche ha composto musica ispirata ed intrigante, da ascoltare e interpretare ciclicamente, così come se ne frequenta la letteratura filosofica. La sua produzione resta infatti attuale e stimolante sotto il profilo intellettuale – esortando a smascherare false certezze e fuorvianti convenzioni – come del resto dal punto di vista artistico, esponendoci a composizioni dal carattere nitido, fresche e non troppo accademiche, che invitano a coltivarne la bellezza senza smarrire l’entusiasmo del neofita; rinnovando ogni giorno, come faceva lui stesso improvvisando al pianoforte, il rapporto intrattenuto con la musica.
Il lascito musicale di Nietzsche consiste di 74 composizioni, tra le quali risplendono di luce adamantina i 17 Leder per voce e pianoforte composti dall’autore quasi tutti tra il 1861 e 1l 1865, vale a dire tra i diciassette e i vent’anni.
Come apprendiamo dal fondamentale volume di Bruno Dal Bon “La Gioia Sovrana” (Mimesis, 2020), il primo autografo musicale di Nietzsche risale addirittura al 1854, quando Friedrich aveva solo dieci anni.
La musica è stata dunque la prima forma espressiva della personalità dell’autore, il quale affidò solo in seguito alla poesia e alla letteratura l’espressione del proprio mondo interiore e la comunicazione del complesso messaggio filosofico. I Lieder di Nietzsche videro la luce una decina di anni prima della sua affermazione come pensatore originale, caratterizzandosi quali composizioni il cui stile si colloca nell’alveo della corrente principale del linguaggio romantico, e tuttavia non prive di audaci soluzioni compositive e complesse progressioni armoniche. La sua strategia compositiva prevede infatti accordi conclusivi differenti dalla tonica iniziale, così come il transito a tonalità differenti, adottando talvolta una sorta di scrittura musicale fluttuante, in cui non è chiaramente stabilito un centro tonale. Tali soluzioni stilistiche vennero percepite dai critici contemporanei – intorno al 1860/1865 – quali indicatori di una preparazione musicale dilettantistica e in quanto tale inadeguata. Al contrario, come il nostro orecchio di ascoltatori appassionati avrà agio di provare, il Nietzsche semi-autodidatta travalica gli schemi compositivi del suo tempo senza lasciar percepire alcuna asperità, accompagnandoci fluidamente nel suo originale mondo espressivo.
La centralità della musica nel pensiero di Nietzsche è evidente sin dalla prima opera: La nascita della tragedia dallo spirito della musica, ovvero grecità e pessimismo (1872). Nell’intento di individuare nella civiltà ellenica un tipo di pessimismo ‘costruttivo’, dal carattere non decadente, l’autore introduce due forze contrapposte, due pulsioni costitutive del teatro greco tendenti a equilibrarsi nella nota polarità: Apollineo/Dionisiaco.
L’aspetto dionisiaco, connesso alla musica in quanto arte non figurativa, all’ebrezza e al sentimento incontrollato, nella tragedia attica è rappresentato dalla diade attore/coro. L’attore rappresenta Dioniso stesso, nel suo terribile agire sulla scena, mentre il coro, che simboleggia i satiri, modera la dirompente impetuosità del messaggio mitico rivolto agli spettatori.
La componente dionisiaca ha la funzione di portare il pubblico a prendere contatto con la dolorosa irrazionalità dell’esistenza e i limiti che essa impone, al fine di accettare tale pessimistica constatazione senza venirne fatalmente travolto. Si tratta dunque di un pessimismo vigoroso, che si oppone alla decadenza del teatro e della civiltà ellenica, sostenendo l’umanità nel suo difficile percorso di riconciliazione con la vita.
L’aspetto apollineo è invece connesso alle arti figurative, al sogno, e all’immagine ideale delle divinità olimpiche. Tale componente, secondo Nietzsche, tende con Euripide a prendere progressivamente il sopravvento, sino a condurre al declino il teatro greco, ormai adagiato, svirilizzato, privato della sua funzione catartica dal razionalismo della filosofia morale di Socrate, cui Euripide avrebbe conformato eccessivamente i propri testi, sbilanciando in senso apollineo il delicato equilibrio estetico della tragedia classica.
Si veda questo proposito la formidabile lettura di Nietzsche della Trasfigurazione di Raffaello Sanzio, presa a modello ideale dell’equilibrio tra Apollineo e Dionisiaco. Nel dipinto a tempera grassa del maestro urbinate, le due pulsioni sono raffigurate rispettivamente nella parte superiore e inferiore dell’opera:
” Nella sua Trasfigurazione la metà inferiore col ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione che lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostra il rispecchiamento dell’eterno dolore originario, dell’unico fondamento del mondo: l’ “illusione” è qui un riflesso dell’eterno contrasto, del padre delle cose. Da questa illusione si leva poi, come un vapore d’ambrosia, un nuovo mondo illusorio, simile a una visione, di cui quelli dominati dalla prima illusione non vedono niente – un luminoso fluttuare in purissima delizia e in un’intuizione priva di dolore, raggiante da occhi lontani. Qui abbiamo davanti ai nostri occhi, per un altissimo simbolismo artistico, quel mondo di bellezza apollinea e il suo sfondo, la terribile saggezza di Sileno, e comprendiamo, per intuizione, la loro reciproca necessità “. (La nascita della tragedia, cap. IV, trad. it. di Sossio Giametta, Adelphi, 1972 – 1977)
Anche la civiltà europea sarebbe stata corrosa da un eccesso di razionalismo, con effetti nocivi sulla capacità umana di conoscere, innovare, ed evolversi in piena salute, dicendo finalmente: “si alla vita“. Appariva dunque auspicabile la rinascita dello spirito dionisiaco per restituire all’umanità il vigore necessario a liberarsi dal peso paralizzante della storia. Nietzsche conclude la riflessione intravedendo proprio nella musica il luogo della rinascenza del dionisiaco nell’arte, rivolgendo indirettamente a Richard Wagner, dedicatario dell’opera, l’accorato appello per una rifondazione del mito tragico nella cultura tedesca:
“O amici, voi che avete fede nella musica dionisiaca, sapete anche ciò che significhi per noi la tragedia. In essa riabbiamo, risuscitato alla vita dalla musica, il mito tragico, e dal mito vi è lecito sperare tutto e dimenticare il dolore più angoscioso! Per noi tutti il dolore più angoscioso è la lunga abiezione in cui il genio tedesco, straniato dal focolare e dalla patria, visse in servitù dei maligni nani. Voi comprendete ciò che voglio dire: comprenderete anche, in fine, le mie speranze”. (La nascita della tragedia, cap. XXIV, 1872. Trad it. di Enrico Ruta, Laterza, 1919)
Nelle opere successive, e nel vasto epistolario, i riferimenti alla musica come aspetto preponderante della vita e della riflessione del filosofo sono costantemente presenti. Se l’opinione di Nietzsche riguardo alle questioni filosofiche ha conosciuto notevoli ripensamenti, la fiducia nella musica è rimasta sempre inalterata. Alla musica è attribuita piena efficacia formativa con particolare riguardo all’intelligenza emotiva, capacità che non è possibile educare ricorrendo esclusivamente al linguaggio verbale.
[…] si è schiavi delle parole; sotto questa costrizione nessuno più può mostrare se stesso, parlare ingenuamente, e pochi in genere possono preservare la propria individualità, nella lotta contro una cultura che crede di dimostrare il suo successo non andando incontro in modo formativo a sentimenti e bisogni chiari, bensì irretendo l’individuo nei lacci dei ‘concetti distinti’ e insegnandogli a pensare correttamente: come se avesse valore il fare di qualcuno un essere che pensa e ragiona correttamente se prima non si è riusciti a far di lui un essere che sente correttamente. Se dunque la musica dei nostri maestri tedeschi risuona in mezzo a questa umanità piegata, che cosa propriamente si esprime in essa? Nient’altro appunto che il sentimento giusto, nemico di ogni convenzione, di ogni artificiale estraniazione e incomprensività fra uomo e uomo […] (Richard Wagner a Bayreut, 1876. Trad. it. di Sossio Giametta, Adelphi, 1979)
Nietzsche anticipa in tal modo l’attenzione che psicologi e psicoterapeuti, educatori e docenti, e purtroppo magistrati e criminologi, riserveranno nel secolo XX alla capacità del soggetto di riconoscere i propri sentimenti, le proprie emozioni e i propri stati d’animo.
Il riconoscimento del potenziale formativo della musica si rapporta inoltre agli sviluppi della musicoterapia – consolidatasi a partire dagli anni ’60 del Novecento in una pluralità di approcci e modelli – pratica che Nietzsche a suo modo precorre, rivolgendola a sé stesso, principalmente attraverso l’improvvisazione pianistica e la quotidianità del rapporto fisico con lo strumento; oltre a intuire, con sorprendente preveggenza, alcuni fondamentali aspetti della futura disciplina.
A questo proposito è interessante notare che nella prassi clinica della musicoterapia le tecniche di interazione musicale che coinvolgono terapeuta e destinatario in duetti basati sull’improvvisazione, rivelano con acustica trasparenza le caratteristiche dell’atteggiamento nei confronti della vita e del carattere del soggetto, il quale manifesta in termini di intensità, ritmica, scelte timbriche ed altri parametri acustici, la propria musicalità individuale: sorta di ‘impronta sonora‘ che ne distingue e conferma l’irripetibile unicità.
Va inoltre premesso che l’interazione nel setting musicoterapico prescinde totalmente dai prerequisiti musicali del destinatario, il quale manifesta la propria personalità musicale utilizzando spontaneamente i propri mezzi vocali, il proprio corpo in funzione di strumento, e lo strumentario disponibile nello studio. Nel testo che segue, tratto da una lettera inviata a Malwida von Meysenburg nel 1875, l’anticipazione da parte di Nietzsche dei fondamenti della musicoterapia appare del tutto evidente:
[… ] “per me resta sempre un fatto straordinario come nella musica si riveli l’immutabilità del carattere; ciò che vi esprime un fanciullo è così chiaramente il linguaggio essenziale della sua intera natura, che anche l’adulto non ritrova nulla da cambiare – a prescindere naturalmente dall’imperfezione della tecnica ecc” (Epistolario, vol. III, 414. Trad It. di Federico Gerratana, Adelphi, 1995).
La concezione della musica come fenomeno fisico, coinvolgente ad esempio l’articolazione motoria della prassi esecutiva, o l’esperienza di ascolto come esposizione alle onde di pressione prodotte dalla vibrazione di un corpo elastico, sono vissuti psicofisici concreti ed appaganti, che si connettono intimamente, nella loro corporeità, alla concezione vitalistica dell’essere umano, che il filosofo espanse progressivamente, sino alla prefigurazione dell’idea di Oltreuomo.
Nietzsche considerava svilita e depressa la condizione umana dell’epoca decadente del Diciottesimo secolo, impigrita e compromessa da valori metafisici con pretesa di assolutezza, dalla falsa coscienza del cristianesimo, e dall’ottusità delle convenzioni sociali.
Deluso da Wagner, che avrebbe ricercato l’effetto e l’applauso asservendo la musica alle esigenze del teatro – adeguandosi al conformismo decadente della temperie musicale tedesca – nell’ultima stagione della sua vita, prima del decennale silenzio nella follia, il filosofo sentì nella solarità mediterranea della Carmen di Bizet, nella vivacità musicale dell’operetta di Offenbach, e nella sensualità ritmica e coreutica espressa dalla zarzuela spagnola, la forza vitale in grado di promuovere sé stesso, e l’umanità intera, Al di là del bene e del male.