Ascoltiamo Les Pleurs, dai Concerts a deux violes esgales, di Monsieur de Sainte Colombe, nell’interpretazione di Susie Napper e Margaret Little.
L’esecuzione rispecchia limpidamente il processo di intensa comunicazione interpersonale in cui sono coinvolte le voci impegnate nel dialogo. Le viole conversano tra loro scambiandosi frasi che lasciano un margine di interpretazione, simili a ipotesi e proposte di pensiero che il partner riprende e completa. La composizione è concepita per uno spazio circoscritto, tra interlocutori propensi alla relazione, in ambiente familiare e raccolto. Siamo dalle parti del genere musicale cui ci riferiamo con il termine Musica da camera.
In senso tecnico, la musica da camera prevede parti vocali e strumentali affidate a un solo esecutore, in un luogo interno, o comunque delimitato, e tuttavia non necessariamente domestico. In prospettiva storica si tratta di un repertorio praticato per un pubblico ristretto nelle sale dei palazzi nobiliari, delle autorità locali, e delle corti regali. Il numero degli esecutori è contenuto, non sono previsti raddoppi di parti, e le distanze tra musicisti e ascoltatori sono brevi. Elementi spaziali, questi ultimi, che determinano la qualità acustica degli ambienti in cui si svolge l’evento, e di conseguenza la natura dell’esperienza musicale dei partecipanti. Esistono sale da concerto di concezione moderna concepite espressamente per questo tipo di musica.
Tuttavia, la dimensione che vogliamo esplorare con Monsieur de Sainte Colombe, coglie il lato più intimo e originario della musica per pochi strumenti, in cui è possibile prendere contatto con gli elementi fondativi del fenomeno della comunicazione umana nella sua forma più pura, ovvero a monte del linguaggio verbale: prima che lo stesso ponga, con le sue definizioni intenzionalmente disambiguanti, i presupposti sociali del fraintendimento e dell’incomprensione. La musica da camera, nell’accezione intimista restituita dalle viole di Sainte Colombe, esprime in musica la commozione per l’intuizione del sentimento dell’altro, manifestata somaticamente dal sorriso che emerge dal pianto: Les Pleurs.
Il regista Alain Corneau, nel film Tous les matins du monde, tratto dall’omonimo romanzo di Pascal Quignard, rende con plastica efficacia il trascolorare delle emozioni generate dell’intesa musicale sul volto espressivo di Gerard Depardieu.
La ricostruzione del profilo di Monsieur de Sainte Colombe (1640 circa – 1700 circa) risente ampiamente dell’immaginazione del regista, basata sui pochi fatti a noi noti di colui che nella seconda metà del Seicento fu considerato il più grande specialista della viola da gamba, strumento di cui estese le possibilità aggiungendo al basso la settima corda. La stessa relazione didattica che Sainte Colombe intrattenne nel ruolo di insegnante con l’altro grande violista Marin Marais, ordinario di musica presso la corte di Luigi XIV e pertanto più incline, dell’esoterico maestro, alla concezione professionale e mondana della musica, si basa su supposizioni, per quanto plausibili, ricavate dal contesto storico. Grande pregio del film sta proprio nel porre in dialogo i due protagonisti, caratterizzati da opposta struttura personale ma entrambi profondamente coinvolti nell’esperienza sonora, intorno al significato ultimo della musica e della funzione comunicativa che la stessa svolge indipendentemente dal linguaggio.
Ciò che preme evidenziare qui è il registro intimo e introspettivo delle composizioni di Sainte Colombe, immaginate per essere eseguite a due, o spesso in solitudine, in ambiente domestico. Fonti coeve riportano che il compositore suonasse la sua musica insieme alle figlie, nell’appartamento che condivideva con loro, e che avesse lasciato cadere il prestigioso invito di esibirsi a corte.
Frutto di una ricerca interiore, guidata dalla creatività compositiva esercitata in privato, a casa propria, il “vedere oltre” delle intuizioni musicali di Sainte Colombe ci porta dritti alle decisive conquiste scientifiche di Blaise Pascal, parimenti maturate tra domestiche mura, negli stessi anni e sullo stesso suolo francese. A Blaise Pascal, che vedeva il problema principale dell’essere umano nella sua incapacità di starsene a riposo in una stanza, dobbiamo infatti tutto quello che sappiamo sulla pressione dell’aria, il mezzo fisico alle cui leggi deve sottostare la musica del compositore, e l’ascolto che ne facciamo oggi qui, confinati in soggiorno.
Confrontando i dati biografici di Pascal – cui dobbiamo oltre alle acquisizioni scientifiche i preziosi strumenti di indagine interiore raccolti nei Pensieri – con gli indizi provenienti da fonti indirette sulla vita di Sainte Colombe – che ha sondato per noi le profondità dell’animo umano con l’archetto della viola – è plausibile che i due abbiano percorso le stesse strade, forse nell’area parigina del quartiere di Saint Germaine, dove visse un Sainte Colombe di nome Jean; o che più in generale abbiano respirato la stessa aria dell’Ile de France, nel cui raggio è probabile sia vissuto il Sainte Colombe compositore. Quindi la loro vita si svolse non lontano da Versailles, dalla quale si tennero tuttavia entrambi distanti: Pascal per la sua adesione alla concezione agostiniana della grazia divina riproposta dal Giansenismo, dottrina avversa alla Corte, e Saint Colombe per la natura non incline all’esibizione sociale, e la personale propensione a praticare in privato. Quello che sappiamo con certezza è che entrambi scelsero una via interiore per sondare l’insondabile, e che negli stessi luoghi, più o meno negli stessi anni, misero a punto strumenti di riflessione in grado di incidere positivamente sulla nostra vita. Strumenti di cui possiamo usare a casa nostra, per noi stessi e per chi ci è vicino, traendone conforto, sostegno, e conseguente possibilità di rilassarci.
Possiamo infatti assaporare in poltrona uno dei Pensieri di Pascal, nella nostra mente, o leggerlo ad alta voce a qualcuno. Come ad esempio il brano n. 139, in cui l’autore spiega che l’essere umano deve impegnarsi in azioni e imprese distraenti per non restare inerme di fronte alla sua natura, finita e incerta, cosa che gli procurerebbe dolorosa inquietudine.
Leggiamone l’incipit.
“Quando qualche volta mi sono messo a considerare le diverse agitazioni degli uomini e i pericoli e le pene cui si espongono alla corte, alla guerra, donde nascono tante contese […] ho scoperto che tutta l’infelicità degli uomini viene da una cosa sola: non saper stare in riposo in una stanza”.
Intuizione che suona particolarmente attuale, cui si può accostare il verso di Leopardi tratto dal Canto notturno del pastore errante dell’Asia, dove il poeta chiede alla luna perché mai, a differenza degli animali, l’essere umano non trovi pace nel riposo:
Dimmi: perché giacendo
A bell’agio, ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
Oppure possiamo lasciarci accarezzare, rilassandoci, dai Concerti a due viole uguali di Monsieur de Sainte Colombe. Tra le interpretazioni disponibili sembra particolarmente coinvolgente quella del duo canadese Les Voix Humaines, per il calore interpretativo che trasmette la maratona compiuta in studio di registrazione da Susie Napper e Margaret Little. Le due gambiste propongono infatti senza cali di tensione l’intero repertorio del misterioso compositore, il quale non volle mai dare alle stampe le sue opere, preferendo affidarle all’esecuzione delle figlie, Françoise e Brigitte. Dobbiamo infatti al ritrovamento avvenuto a Ginevra nel 1966 del manoscritto dei sessantacinque Concerti, e di altri due manoscritti rinvenuti a Edimburgo, la tardiva riscoperta dell’autore, riemerso improvvisamente dall’oblio in cui si era lasciato volontariamente scivolare.
Ma perché mettere insieme due figure così diverse? Che cos’hanno in comune un matematico filosofo e un violista compositore? Si tratta di domande alle quali è possibile rispondere con lo stesso spirito di azzardo che anima l’intento di entrambi i pensatori. Assumendo dunque a nostra volta una prospettiva rischiosa, possiamo vedere come Pascal e Sainte Colombe abbiano tutti e due trasceso i limiti della ragione, nel tentativo di conoscerne dall’interno la vera natura, elevando il balzo l’uno dal linguaggio e l’altro dalla musica.
Sui binari del linguaggio, vediamo come Pascal tenda a sgonfiare le certezze del razionalismo contrapponendosi dialetticamente al metodo di René Descartes. Facciamolo con gli occhi del grande regista Roberto Rossellini, il quale riporta con l’asciutto realismo che gli è proprio, vale a dire senza effetti cinematografici – e tuttavia nel sogno anticipatore di una biblioteca multimediale a disposizione dell’umanità – il confronto tra i due filosofi, svolto attraverso i dialoghi dello sceneggiatore francese Jean-Dominique de La Rochefoucauld. L’eleganza di Rossellini non lascia sul campo né vincitori né vinti, conformandosi in questo al sogno di Socrate, quello della tolleranza reciproca nello spirito del confronto dialettico.
Affidandosi alle corde della viola da gamba, dal canto suo, Sainte Colombe scavalca le insidiose pastoie del linguaggio verbale, affrancandosi musicalmente dai potenziali fraintendimenti della proposizione e del testo in cui la si scrive. Con i suoi concerti a due viole uguali, il compositore francese destruttura l’insieme di certezze cui perviene l’intelletto, dando quest’ultimo per dimostrata la realtà della natura e del genere umano, il cui senso resta invece fluido, come il progresso scientifico costantemente testimonia. Al posto delle definizioni scolpite sulla pietra, il testo musicale di Sainte Colombe – che in quanto musicale nessuna indagine scientifica può validare o falsificare – offre un’idea precisissima della restituzione empatica dei contenuti emotivi: lo scambio del vissuto interiore tra i dialoganti in musica.
La possibilità di comunicare autenticamente emozioni e stati d’animo è prerogativa della musica, potenzialità largamente utilizzata nella relazione musicale nel contesto della musicoterapia. Secondo il terapeuta Kenneth Bruscia, la musicoterapia “in quanto fusione di musica e terapia è a un tempo un’arte, una scienza e un processo interpersonale. In quanto arte è legata alla soggettività, alla creatività e alla bellezza. In quanto scienza è legata all’obbiettività, alla riproducibilità e alla verità. Come processo interpersonale si collega all’empatia, all’intimità, alla comunicazione e all’influenza reciproca” […] “In quanto arte, la musicoterapia è organizzata scientificamente e sviluppata in un processo interpersonale. Come scienza, essa è rapportata all’arte e umanizzata dal rapporto terapeuta-paziente. Come processo interpersonale, è facilitata dall’arte e guidata dalla scienza”.
Kenneth Bruscia propone questi argomenti con la circolarità narrativa della forma musicale del rondò, nel suo testo del 1989 intitolato “Defining Music Therapy”, tornando in seguito più volte, in qualità di professore emerito presso la Temple University di Philadelphia, sulla definizione del termine musicoterapia, in un processo di progressiva approssimazione a un concetto reso d’altronde con grande immediatezza, in termini musicali, dal serrato dialogo tra le viole dei concerti di Sainte Colombe.
Ma che cosa ci donano, specificamente, questi concerti?
Certamente la possibilità di viverli da protagonisti in qualità di ascoltatori. Si tratta infatti di musica fatta per essere recepita, soggettivamente, e perciò ascoltata. Sotto questo rapporto, la musica da camera di Sainte Colombe si pone agli antipodi rispetto alla musica d’ambiente di Brian Eno, concepita per arredare fonicamente gli spazi. Le composizioni del maestro francese mettono in primo piano il destinatario, facendo dell’ascolto, dimensione cui gli stessi esecutori devono attenersi, il vero centro dell’esperienza.
Protagonisti di questa musica siamo dunque noi ascoltatori, terminali diretti del messaggio sonoro. Lo sono gli organi interni e i tessuti osteoarticolari, più o meno infiammati, arrugginiti o in piena salute, che ne ricevono l’onda di pressione aerea, il massaggio, o semplicemente la carezza rassicurante. Una conferma empatica dell’omeostasi, la gradevole sensazione che dobbiamo semplicemente all’esser vivi.