Andare all’opera al Circo Massimo è già assistere ad uno spettacolo prima che la rappresentazione cominci, circondati come si è dalle rovine romane del Palatino da una parte e dall’Aventino dall’altra, con la sagoma inconfondibile dei pini mediterranei che impreziosiscono ancora di più la cornice. L’acustica non è delle migliori, non è un’arena e, appena i lavori di ristrutturazione lo consentiranno, per la stagione estiva dell’Opera di Roma si tornerà alle Terme di Caracalla. Nel frattempo da non perdere quindi, se si è a Roma, questa location straordinaria.
Grande evento della stagione è stato quest’anno il ritorno di una produzione di grande successo di Madama Butterfly, quella firmata dal catalano Ales Ollé del collettivo La Fura dels Baus, appuntamento reso ancora più speciale per il debutto nel ruolo di Cio-cio-san del giovane soprano Corinne Winters, originaria di Frederick nel Maryland, già acclamata dal New York Times come “una cantante di straordinaria grazia e finezza” e “un’attrice eccezionale”. Un allestimento creato proprio dall’Opera di Roma, in collaborazione con la Sydney Opera House, nel 2015 alle Terme di Caracalla e poi nuovamente, a grande richiesta, riproposto l’anno successivo e adesso adattato per gli spazi del Circo Massimo.
Una rilettura moderna dell’opera di Puccini con la vicenda ambientata ai giorni nostri, Pinkerton non è più un ufficiale della marina americana, ma un uomo d’affari e la vicenda acquista toni anche di critica al colonialismo senza scrupoli che usa le persone come oggetti e di un liberalismo palazzinaro che travolge i delicati equilibri di una civiltà millenaria. Assai significativo e suggestivo, da questo punto di vista, il secondo tempo dello spettacolo che mostra la modesta casa in stile tradizionale di Butterfly sempre più circondata da palazzoni in costruzione, intorno senza casa con i loro fuochi improvvisati ed il famoso coro “a bocca chiusa”, che esprime tutto il dolore della protagonista che non ha più nemmeno la forza di cercare sollievo nella parola, è infine visivamente tradotto in una diaspora degli abitanti costretti mestamente a trasferirsi altrove dal dilagare della speculazione edilizia.
E’ uno dei momenti più belli, con lo struggente accompagnamento della viola d’amore. Lo sfruttamento è totale e senza cuore, come si sa con gli americani che arriveranno a portare via anche il figlio a Ci-cio-san costringendola ad un onorevole suicidio, che il regista ha scelto di non mostrare in scena ma affidare a luci rosse che ricoprono la casa da cui uscirà infine Pinkerton, tardivamente pentito, con la povera ragazza ormai morta tra le sue braccia. Cio-Cio-san è proprio come una qualsiasi ragazza giapponese d’oggi, romantica e al tempo stesso dura, attratta dalla cultura americana ma con ancora forti valori tradizionali, in bilico pericoloso tra due mondi, che veste nel primo atto del matrimonio abiti tradizionali ma poi nella vita quotidiana si presenta in scarpe da ginnastica, pantaloncini corti, calze a rete e maglietta con impressa una bandiera a stelle e strisce, come veste una qualsiasi giovane americana oggi. Corinne Winters incarna con grande naturalezza e credibilità il personaggio, sapendone ben rendere, le diverse sfaccettature con una intensità interpretativa che, sopratutto negli ultimi drammatici momenti, ricorda quello della Callas, anche per il timbro di voce un po’ scuro che pure richiama quello della Divina. Applausi calorosi per il suo dolcissimo “Un bel di vedremo” e vera e propria ovazione finale da parte del pubblico conquistato dal suo talento e dalla sua tecnica.
Nei panni di Pinkerton il tenore albanese Saimir Pirgu che, malgrado abbia cantato già diverse volte il ruolo, è sembrato invece, sopratutto all’inizio, meno a suo agio e la sua bella voce particolarmente penalizzata dal microfono, comunque con prestazione in crescendo, molto ben riuscito ed intenso il suo duetto d’amore con Butterfly alla fine del primo atto. Si alternerà nel ruolo con Angelo Villari. Soddisfacente in pieno invece il baritono polacco Andrzej Filończyk dal timbro assai piacevole e che, malgrado la giovane età, ha ben disegnato la figura del più saggio console americano Sharpless e buone anche le prestazioni dei due palermitani, la mezzosoprano Adriana Di Paola nel ruolo della cameriera Suzuki e il tenore Pietro Picone in quello del sensale Goro, quest’ultimo con il non facile compito di rendere la sgradevolezza del personaggio. Un cast complessivamente di alto livello che annovera anche, tra gli altri, Raffaele Feo nel ruolo del Principe Yamadori e Luciano Leoni in quello dello zio Bonzo.
Altro punto forte della serata la direzione chiara, sicura, misurata, perfetta del maestro Donato Renzetti e l’ottima prestazione sia dell’Orchestra che del Coro dell’Opera di Roma, coro diretto dal maestro Roberto Gabbiani ben compatto e capace di grande finezza. Le scene sono di Alfons Flores, come detto particolarmente innovative quelle per il secondo e terzo atto, il primo invece mostra un classico matrimonio “all’americana” in giardino con catering; bellissimi poi i costumi di Lluc Castells, in particolare quello “bozzolo” di Madama Butterfly sposa; suggestive infine le luci di Marco Filibeck e i video di Franc Aleu che segnano poeticamente il passaggio delle ore e delle stagioni. In replica sino al 6 agosto.