- Francesco Guccini – Folk Beat n. 1
- Massimo Bubola – Tre Rose
- Francesco De Gregori – Buffalo Bill
- Fabrizio De Andrè – Rimini
- Andrea Parodi Zabala – Andrea Parodi Zabala
- Edoardo Bennato – La Torre di Babele
- Mattia Donna – Sul fianco della Strada
- Mimmo Locasciulli – Uomini
- Modena City Ramblers – Riportando tutto a casa
- Pier Angelo Bertoli – Eppure Soffia

Le sue iconiche canzoni come Hurricane o Like a Rolling Stone ci hanno fanno realizzare l’infinità di cose che è possibile dire su di una melodia. Un affascinante enigma quello di Bob Dylan che con il suo 39° album Rough and Rowdy Waysuscito nel 2020 ci ha dimostrato che la vena non si è esaurita e non ha nemmeno l’aria di farlo, nonostante il 24 Maggio abbia compiuto 80 anni, celebratissimi dal mondo della cultura e della musica. Senza ombra di smentita possiamo ritenerci fortunati di coesistere su questo pianeta assieme a lui e per unirci ai protratti festeggiamenti, abbiamo scelto per voi i dieci album a nostro avviso più “dylaniani” prodotti in Italia dagli anni ’60 ad oggi, a dimostrazione che il cordone ombelicale che lega il nostro paese al Menestrello per antonomasia è ancora forte e lungo nel tempo.
Folk Beat è il primo disco di Francesco Guccini del 1967 che con Auschwitz realizza la sua Blowin’ in the Wind.
Tre Rose di Massimo Bubola, uno degli artisti da sempre più influenzato da Dylan, da cui la ballata Senza una Famiglia, ripresa anche dai Tempi Duri la band di Cristiano De Andrè e Carlo Facchini.
Tutta la discografia di Francesco De Gregori è figlia di Dylan, scegliamo Buffalo Bill per canzoni come Atlantide, inarrivabili, indecifrabile, eterne.

Rimini, con L’Indiano, è il disco più dylaniano di Fabrizio De Andrè e ne contiene persino una versione di Romance in Durango tratta dall’album Desire e tradotta in italiano da Fabrizio assieme a Massimo Bubola. Violini, fisarmoniche, chitarre elettriche: un disco tra americana e tex-mex.
Desire pubblicato dalla Columbia Records il 5 gennaio 1976, lo ricordiamo soprattutto per il violino di Scarlet Rivera (la Regina di Spade del docufilm Rolling Thunder Review di Scorsese) che ritroviamo 45 anni dopo nel disco di un cantautore comasco Andrea Parodi Zabala registrato in Texas quest’anno. E insieme a lei altri musicisti di Dylan come Larry Campbell e il premio Oscar Ryan Bingham, per il disco più americano di un cantautore italiano.
Era proprio il 1976 quando Edoardo Bennato usciva con il suo La Torre di Babele l’album più complesso del musicista partenopeo intriso del suo fine spirito sarcastico e di rara eleganza come nella ballata folk Venderò.
Mattia Donna, una bellissima meteora. Il suo Sul fianco della Strada è disco di rara bellezza che contiene la traduzione di One More Cup of Coffee e altre grandi canzoni elettro elettroacustiche.

Il Futuro di Mimmo Locasciulli è un bellissimo disco di traduzioni dall’inglese compresa Series of Dreams di Dylan ma è con Uomini che il cantautore abruzzese incontra la poetica del premio nobel statunitense nella sua massima espressione con canzoni originali taglienti che sembrano uscite da Street Legal e con la partecipazione di Francesco De Gregori.
Bringing it All Back Home è il nome del quinto album di Dylan. Il titolo è richiamato in italiano da da Riportando tutto a Casa dei Modena City Ramblers, mentre la copertina di quest’ultimo evoca quella del leggendario The Basement Tapesdel 1975. In questo disco ci sono tutti i riferimenti di una giovane band che scalpitava per imporsi sul panorama italiano: i Pogues, i Waterboys, i Gang e naturalmente Bob Dylan. Dulcis in fundo ricordiamo Eppure Soffia di Pier Angelo Bertoli.
Il cantautore di Sassuolo di cui non è stato mai pienamente riconosciuto il valore artistico in vita, era un artista di nicchia che con tenacia ha fatto del suo linguaggio musicale uno strumento di battaglia per l’emancipazione sociale e che assieme ai cantautori italiani come Sergio Endrigo, Gino Paoli e Luigi Tenco soleva tanto ascoltare anche Bob Dylan.