“Salve, sono qui per ritirare il mio accredito”, dico in inglese a Rotterdam alle 12 di giovedì mattina alla signora olandese dall’altra parte del doppio plexiglass.
“Eh ma la stampante non va”, mi risponde scrollando le spalle “Quindi adesso ti metti là in fila e appena facciamo ripartire il tutto ti chiamo”.
Mi chiamerà con un cenno della testa 10 minuti più tardi, che qui ti devi guardare forte sempre negli occhi, senza perdere la concentrazione, perché le mascherine (“non puoi usare le chirurgiche, sono ammesse solo le Ffp2”) ti ammutinano le parole.

A prima vista, con una stampante bislacca che rallenta il processo, non l’avrei mai detto. E invece l’Eurovision targato 2021, il primo dopo il Covid, cancellato in presenza l’anno scorso quando il nostro povero Diodato ha potuto partecipare solo con un contributo video dall’Arena di Verona, è una macchina a ciclo continuo e perfetto. E questa era l’unica strada percorribile non solo per renderlo possibile e per farlo funzionare, ma anche per poter permettersi una finale con un pubblico di 3500 persone, rigorosamente tutte con un esito di tampone negativo in mano.

E i tamponi, in questa edizione olandese, sono i protagonisti principali: te ne fai due prima di prendere il volo verso Amsterdam, un molecolare 72 ore prima della partenza, un rapido 24 ore prima. Quando arrivi al centro congressi Rotterdam Ahoy e ritiri il tuo accredito, sappi che quel cartoncino non varrà nulla fino a quando non lo attiverai.
Per attivarlo ti devi recare in un grande padiglione con più di 30 postazioni, ricevi un numeretto, bevi obbligatoriamente un bicchiere d’acqua per fare il test del respiro, che sembra un alcol test ma per il Covid.
“Respira cinque volte normale, poi fai un respiro lungo, trattieni il fiato, espira”, mi dice l’infermiera di origini surinamesi. “Ci dispiace ma il test è fallito”.
Se il test è fallito, fallisce tutto: voli, interviste, prove generali che si terranno tra poche ore. Se non sei sempre negativo al Covid per te l’Eurovision finisce qui.

Mi fanno il test rapido, normale nel naso. “Ora vai in una waiting room. Tra 20 minuti ti arriva l’esito”.
Quando la mail dice che sono negativa sembro appena uscita dagli arresti domiciliari.

Scorrazzo libera, così libera che sbaglio l’ingresso e circumnavigo tutta l’arena gigante.

Quando arrivo all’ingresso principale mi sembra di assistere alle Olimpiadi della musica: bambini si fanno prendere in braccio per spiare meglio cosa succede vicino agli ingressi, curiosi e tanta gente si fa selfie di fronte ai tanti videowall con il logo dell’Eurovision.
Una volta in sala stampa ti viene affidato anche qui un numeretto, sarà la tua postazione e la tua scrivania per tutto il giorno. Sono lontane le sedie disposte attaccate dell’Eurovision 2019 di Tel Aviv, quando si cantava “Soldi” di Mahmood abbracciandosi. Qui si può ballare, ma seduti sulla propria sedia e ben distanziati.

I giornalisti, quest’anno in 500 contro i 1500 delle precedenti edizioni, vengono ricoperti di gadget. Quello che mi colpisce di più è la borsa in stoffa. Erano già tutte pronte per il 2020. Ma il 2020 non fa nulla quindi un designer di Rotterdam, Marteen Bel, le rilavora a mano una per una, attaccandoci una toppa riciclata con su scritto 2021.
Metterci una toppa su una pandemia mondiale si può, serve non solo tantissima organizzazione ma soprattutto un implicito rispetto delle regole da parte di tutti. Serve pazienza, creatività. Si viene ripagati in sorrisi, da parte di tutti, tutti scampati dagli arresti domiciliari, contagiati però di una felicità quasi come non si vedesse un concerto da più di un anno. I sorrisi quelli si vedono. Anche se la bocca no.