Eccoci a tu per tu con la verve compositiva di Georg Friedrich Haendel (1685 – 1759). Rappresentata per la prima volta nel 1724 al King’s Theatre di Londra, Giulio Cesare in Egitto rivive nel 1999 a Manhattan, presso la Metropolitan Opera House. Grazie alla radio, bacchetta magica dello spazio/tempo musicale, e alla salvifica registrazione di un audiofilo, la viscerale interpretazione di Jennifer Larmore finisce in condivisione nel web. E così, per graziosa concessione della sinergia mediatica, l’orchestra diretta da René Jacobs fa vibrare anche noi, qui ed ora, prescindendo dal tempo.
A proposito di tempo, veniamo alla nascita di G.F. Haendel, avvenuta nel 1685, anno in cui videro la luce altre due geniali figure musicali dell’epoca: J.S. Bach e Domenico Scarlatti. Siamo dunque di fronte a tre compositori attivi in tre diverse regioni d’Europa, i quali rivolsero la propria arte a tre diversi tipi di pubblico: fedeli luterani nelle chiese germaniche nel caso Bach, aristocrazia nelle corti iberiche in quello di Scarlatti, pubblico pagante nei teatri londinesi per quanto riguarda Haendel.
Il nostro Georg Friedrich nacque ad Halle, in Germania, da agiata famiglia, ma dopo gli esordi ad Amburgo, e dopo avere assimilato la cultura musicale italiana soggiornando con profitto a Venezia, Napoli, Roma e Firenze, stabilì definitivamente la propria residenza a Londra.
Haendel fu uomo del suo tempo, come artista seppe scendere oculatamente a patti con i gusti del pubblico, con le istituzioni e con la committenza in generale. Senza per questo smarrire la propria identità creativa, né opacizzare mai la sua arte. Finì i suoi giorni in agiatezza, e la sua fama di genio della musica, attestata in vita da Haydn, e in seguito da Mozart e Beethoven, gli sopravvisse sino a noi. Suo principale banco di prova fu l’Opera seria: trentasei opere londinesi, composte tra il 1711 e il 1741, tutte quante su libretto italiano.
La partitura dell’aria che ascoltiamo rispecchia pienamente il carattere tragico e bellicoso dell’opera. Sebbene ai nostri giorni possa far sorridere il tono aulico cui la lingua ricorre per esaltare il valore dell’onore e il sentimento di vendetta, la forza dell’Opera del primo Settecento scaturisce dallo sviluppo parallelo, e sempre coeso, tra l’incedere della musica, la trattazione della trama e la vivida esaltazione dei moti dell’animo: sentimenti e passioni espressi con il linguaggio sonoro e roboante dello stile letterario dell’età dell’Arcadia. Nel fluido susseguirsi di arie col da capo e recitativi accompagnati, l’orchestra segue gli eventi facendo eco ad ogni gesto degli artisti, braccandoli sin sulla scena con un organico supplementare ristretto, che vuol rendersi presente e tangibile sul palco.
Arpa, arciliuto e viola da gamba – nel nostro caso – sono infatti visibili nel corso della rappresentazione alle spalle dei cantanti. Le cose cambieranno con il melodramma ottocentesco, in cui alla base del discorso non avremo più l’incalzare del binomio musica-testo, ma sarà la generale situazione drammatica a guidare le scelte compositive ed il ritmo dell’azione. Sta dunque nella compattezza tra composizione, trama ed arte scenica, cui si aggiunge il rilievo dato alla personalità degli strumenti – issati sul palco dal piano basso della platea – il gusto che si ricava dall’ascolto del dramma per musica del barocco maturo. Ne abbiamo un esempio eloquente con il brano che ascoltiamo qui, ‘Al lampo dell’Armi’.
Lumeggiano, le armi in questione, della spinta brillante di un’orchestra dal battito veloce, condotta con attenzione competente da René Jacobs, un maestro bene informato sugli strumenti e le condotte musicali del tempo, e dalla voce dal timbro limpido e pieno di Jennifer Larmore, nel ruolo del contralto che impersona Giulio Cesare. Come sappiamo, nel dramma per musica del Settecento le voci dei protagonisti erano acute, soprano e contralto, affidate all’epoca a controtenori e contraltisti, ovvero artisti maschi che cantavano in falsetto, oppure a cantanti castrati. Tutte queste ambiguità e slittamenti di piano, sorrette da strumenti musicali la cui voce è uscita di scena sul finire del secolo XVIII, quali ad esempio la viola da gamba e l’arciliuto, conferiscono al repertorio un colore altero, sfuggente e fascinoso, che il melodramma del pieno Ottocento, completamente riformato, ha lasciato definitivamente alle sue spalle.
Leggere il libretto è un’esperienza che consiglio, se intrigati dalla curiosità del formato: appartiene ad una fase della letteratura italiana cui raramente si viene esposti dal sistema educativo, come del resto è scarsamente proposta l’opera arcadica del diciottesimo secolo. Riprendendo per sommi capi la trama, ambientata nei dintorni di Alessandria, Giulio Cesare, dopo aver sconfitto Pompeo nella battaglia di Farsalo ed aver varcato il Nilo, è oggetto di intrighi e cospirazioni che stanno per condurlo alla morte per mano di Tolomeo, il quale condivide il trono d’Egitto con la sorella Cleopatra. Cesare, come da copione, riuscirà a spuntarla prendendosi anche Cleopatra, rappresentando entrambi il lato buono dei valori in campo. Tuttavia, reso edotto del tranello in cui rischia di cadere, deve brandire la spada invocando vendetta. Ed è qui che Haendel lo fotografa: nell’istante in cui le emozioni sottese all’imminente attacco rapprendono nei vasi il sangue di Cesare. Lo fa cucendo in musica il vestito armonico del testo a seguire:
Al lampo dell’armi/quest’alma guerriera/vendetta farà.
Non fia che disarmi/la destra guerriera/che forza le dà.
Si avvia con questi versi, il mulinello dell’aria col da capo che ascoltiamo insieme. L’orchestra alza energicamente la voce liberando il potenziale sonoro che l’insieme può esprimere: è il momento di caricare e si carica, grattando le corde a pieno regime. Il contralto, a sua volta, ripercuote la vocale finale con un fuoco di fila che non lascia respiro. Un battimento percussivo che scuote e impressiona. Ci vuole grande tecnica e preparazione, per tenere con la voce una serie così fitta di note, a questa velocità, tutte quante allo stesso volume. La registrazione radiofonica del live non può avere lo smalto dinamico della ripresa in studio, tuttavia è molto ben conservata, e reca la plusvalenza di restituirci la risposta del pubblico in sala, che è un’emozione nell’emozione. La versione in studio dell’opera, pubblicata originariamente da Harmonia Mundi, è disponibile on line sulle piattaforme di condivisione gratuita. Un confronto con altre interpretazioni dello stesso brano aumenterà la familiarità con la composizione e di conseguenza il piacere dell’ascolto. In particolare mettendo sotto la lente la performance vocale di Marie-Nicole Lemieux, contralto canadese di efficacissima presenza scenica, o del mezzosoprano Stephanie Blythe, che offre dell’aria un’interpretazione meno filologica e più vicina alla vocalità ottocentesca. Ma il più interessante contraltare alla versione della Larmore è offerto dal contralto dai bassi profondi Marijana Mijanovic.
Mi piacerebbe sapere che cosa provate, investiti da tanto furore. Scrivetene subito qui, cari amici. L’aria di Handel mi fa sentire sbattuto ritmicamente contro il muro, preso per la collottola da Jennifer Larmore che minaccia vendetta Al lampo dell’Armi, avvinto e soggiogato dal poderoso vibrato dell’amazzone.
Più probabilmente dipende dalla creatività e dall’arte di Haendel, in grado di generare tempeste sonore ad alta intensità emotiva, con la complicità dell’incredibile controllo vocale di Larmore. Sta di fatto che tutta questa selvaggia bellezza, ottenuta con studio e applicazione di cui noi ascoltatori non subiamo i costi – essendo attribuita al nostro ruolo la specifica funzione di patire di piacere con facoltà di applaudire – è quindi connessa a New York, al talento di Haendel e al modello estetico dell’opera italiana. Il libretto di Nicola Francesco Haym, compositore e violoncellista romano stabilitosi anch’egli a Londra nel 1700, è adattato dall’omonimo di Giacomo Francesco Bussani, un librettista attivo a Venezia tra il 1673 e il 1680. L’italiano non è solo la lingua dell’Opera, è la lingua universale delle indicazioni di tempo, intensità ed espressività della musica scritta: Adagio, Allegro, Piano o Mezzo forte; Con sentimento, o Un poco appassionato.