È come mettersi l’eyeliner per evidenziare gli occhi se sei strabica. È come pulire casa per una festa e mettere tutti i panni sporchi in una camera, chiusa. A chiave. A doppia mandata.
Una contraddizione, qualcosa che fa storcere il naso.
Basta fare un giro in auto per la città di Tel Aviv, che ieri ha dato il via all’edizione 2019 dell’Eurovision, per leggere i tanti cartelloni della Polizia israeliana che recitano: “Voi siete qui per sognare, noi siamo qui per proteggervi”. Una delle prime frasi pronunciate in diretta durante la prima delle due semifinali che condurranno alla finale in diretta su Rai1 sabato, dice “Here there’s no place for hate”.
Vero, non qui.
Ma a 74 chilometri esatti dall’Expo di Tel Aviv, il padiglione internazionale che ospita stampa, fan e delegazioni di 41 Paesi che partecipano all’evento non-sportivo più seguito del mondo non è affatto così. Il tema onirico che caratterizza tutto l’Eurovision, dai jingle durante lo show al claim “Osa sognare” diventa polvere a Gaza, e non certo di stelle.
Google maps dice che è “impossibile trovare un percorso” per andare sulla striscia di Gaza, non un bus, non un orario stimato di percorrenza in auto, quasi come quel luogo non esistesse. Qui all’Eurovision di Tel Aviv infatti non esiste. Nessuno ne parla, non si vedono proteste, che invece prendono luogo in altre parti del mondo, come il video “Madonna don’t go” che esorta la pop star per eccellenza, super ospite attesa per sabato, a boicottare la manifestazione. Un invito lanciato dalla pagine del Guardian anche da Brian Eno che ha dichiarato: “un festival come Eurovision che incarna i valori di tolleranza, uguaglianza e apoliticità, non dovrebbe tenersi in un Paese “che pratica una sorta di apartheid” nei confronti del palestinesi.”
Ma Tel Aviv chude a doppia mandata le bombe e spiega, tramite i portavoce della kermesse, come la politica debba per forza di cose restare fuori. “Da sempre alle conferenze stampa dell’Eurovision si parla principalmente di musica, a prescindere dal Paese ospitante”. Il regolamento infatti non è stato violato: l’anno scorso a vincere l’Eurovision era stata la israeliana Netta, con la canzone “Toy” ed ecco perché si è deciso di portare l’Eurovision a Israele, nessuna volontà di pubblicizzare nulla, dicono.
Le clip video che annunciano ogni cantante, e danno il permesso di fare velocissimi cambi di palco, sono state girate in diversi punti del territorio Israeliano.

L’atmosfera di festa si respira nell’organizzazione: ragazze emozionate a consegnare i badge stampa, tour turistici in giro per il Paese offerti gratuitamente alla stampa, biglietti settimanali per i mezzi forniti dall’organizzazione, possibilità di incontrare chi vive qui con cene organizzate ad hoc. Si parla di un’organizzazione da 120 milioni di shekel, circa 24 milioni di euro che punta ad accogliere anche i turisti che però non sono così numerosi come nelle precedenti edizioni dell’Eurovision.
Poi certo, l’orgoglio italiano parla Mahmoodese: Mahmood, vincitore dell’ultima edizione di Sanremo e porta-voce, è proprio il caso di dirlo, dell’Italia in questa edizione 2019 sta conquistando la città. Giornalisti di altri Stati, autisti di autobus e gente comune in città dichiara, senza che serva nemmeno chiederlo, che “Soldi” è la loro canzone preferita. I bookmakers mettono Mahmood settimo in classifica, ma i quattro giorni che portano alla finale potrebbero persino sbalzarlo più in alto in classifica. Si esibirà con tre ballerini alle sue spalle in una coreografia accompagnata dal testo del brano in gara tradotto sul maxischermo sullo sfondo. Il messaggio finale metterà tutti d’accordo: “Money can’t buy your love”, i soldi non comprano l’amore.

Ma un’organizzazione perfetta e una città che mostra accoglienza e libertà per tutti, ad appena 74 chilometri dalle bombe, nell’opinione pubblica, cosa potrà invece comprare?