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October 17, 2018
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U2, quei ragazzi di Dublino che ancora emozionano i ragazzi di Milano

Da sotto il palco di Assago i fans raccontano perché il quartetto irlandese continua a riempire i palazzetti nel mondo

Manuela CaracciolobyManuela Caracciolo
u2
Time: 4 mins read

Pioggerellina sottile, cielo cupo a Milano. Ma in queste notti, dall’ 11 al 15 ottobre, una luce ha illuminato i volti degli spettatori dell’ eXPERIENCE and INNOCENCE tour che ha portato gli U2 a esibirsi al forum di Assago per le uniche date italiane. Con incassi da capogiro, la band irlandese continua a calcare la scena con tournée mondiali, l’ultima nel 2017 per festeggiare i 30 anni dell’album The Joshua tree.
40 sono invece gli anni di attività della band che continua a riempire, stadi, palazzetti, con sold out dei biglietti in un lampo, nonostante i prezzi non proprio economici.

Fans
I fans a Milano

Ma perché la gente ascolta ancora gli U2 e si reca ancora ai loro concerti?
Non si può parlare di generazioni né di razza né di origine. Alle quattro date milanesi c’ erano inglesi, tedeschi, australiani; ragazzi sui vent’ anni, coppie con figli piccoli e gente matura.
Abbiamo parlato con alcuni di loro, mentre attendevano compostamente di accedere al forum.

“La prima volta li vidi con i miei genitori, – spiega Sara, giunta al forum da Torino – allo stadio delle Alpi durante lo Zoo tv tour, nel 1993. Avevo 13 anni e un amico ci aveva ceduto i biglietti in tribuna stampa. Quel concerto fu un pugno nello stomaco, le immagini bombardati dei maxi schermo dove scorrevano parole e slogan velocissime, i volumi altissimi, il basso che arrivava a rimbombare nello stomaco. Iniziarono lo spettacolo uscendo da casse di legno con grandi maschere carnevalesche che ritraevano ognuno di loro, quasi una caricatura di loro stessi. Come per dire: “Ecco i vostri giullari, siamo qui per divertirvi!”. Non importava che lingua parlassi e che età avessi, loro stavano parlando a te e di te, con un pizzico di ironia!”.
Tra il pubblico anche persone over 50 che di performance dal vivo del quartetto irlandese ne hanno visti a decine. “Ricordo il primissimo live a Milano – ci dice Stefano, venuto alla performance con il figlio di 22 anni – al Palatenda una struttura che ora non esiste più, nel febbraio 1985. Il concerto avrebbe dovuto svolgersi al Palasport ma una nevicata colossale ne aveva fatto crollare una parte. Bono eseguì quasi tutto il concerto, poi perse la voce e si scusò in un italiano zoppicante: “Questo nostro primo concerto in Italia, speriamo non ultimo…”.

Cosa aiuta oggi gli U2 a sopravvivere al circo mediatico fatto di mille canali digitali, social, contest e musica di ogni genere diffusa in grande quantità?
“La loro innovazione – spiega Elena, 44 anni da Napoli – è stato da sempre trasmettere messaggi sociali, prendere posizione su quello che accadeva nel mondo, non restare sul piedistallo come le altre star. Hanno valori solidi ma sanno comunicarli con i nuovi mezzi tecnologici. Questo li rende umani, vicino ad ogni persona. E soprattutto non hanno mai avuto atteggiamenti da capi del mondo, da presuntuosi, non hanno venduto la loro immagine. In più vengono da un paese problematico, che fino a poco tempo fa ha visto la guerra, la fame…e da sempre il loro è un grido di rabbia e protesta. Ci si sente meno soli condividendo questo messaggio”.

Forum
Il forum di Assago durante il concerto

Sono d’accordo anche un gruppo di 4 ragazzi venuti da Firenze: “Li abbiamo seguiti a Berlino per il tour precedente, nel 2017. Sotto la pioggia battente all’ Olympia stadium hanno intonato Heroes di Bowie in tedesco. In quel momento tutto lo stadio cantava con loro. Hanno reso la musica magica, gli effetti di luci e le trovate tecnologiche degli schermi hanno proiettato tutti in un mondo multimediale ma vicino al reale, mostrando volti di di guerra, di abusi, di bombardamenti, di ingiustizie. Ma quel canto è stato come un inno di pace. Loro sono fanno ogni paese il proprio Paese”.
Tutto ciò senza risparmiare qualche ammonimento ai capi di governo. Anche in Italia Bono ha ricordato:”Voi siete gente di cuore, come noi irlandesi, siete generosi. E l’Europa vi ha lasciato soli nell’accogliere i migranti. Questo è vergognoso!”.

Bono firma gli autografi ai fans – pic by A. Macinante

Patrizia e Silvia sono due amiche che si riparano sotto lo stesso ombrello fuori dal gate. Tra di loro c’è un bimbo di appena 3 anni. Patrizia è incita di 6 mesi: “Non ho avuto nessun problema a venire qui per partecipare al concerto, anzi, ci tenevo che il bambino potesse sentire dal vivo la loro musica…poi dicono che questo porti fortuna!”.
Silvia conferma sorridendo. “Nel 2015 io e un gruppo di amici attendemmo Bono all’entrata secondaria dello stadio Olimpico di Torino. Il giorno prima, dal fan club ci erano giunte voci che il gruppo si sarebbe concesso ai fan per firmare gli autografi. Alle tre arrivò Bono che strinse mani, fece foto con tutti. Io gli dissi che ero in gravidanza e subito mi rispose “Non ci credo!” poi notò la mia pancia e mi sorrise. “Dio benedica te e e la vita che porti dentro“. Insomma, una vera benedizione!” ride indicando il figlio che tiene per mano.
Che sia idolatria, fanatismo o pura fede alla band irlandese i numeri parlano chiaro, lo dimostrano le quattro date tutte sold out a Milan e il tour american cominciato questa primavera con 27 date, 420mila biglietti venduti e 70 milioni di dollari incassati.

U2
U2 al forum di Assago

Ma si smette di pensare alle cifre quando la folla li acclama appena cominciano a suonare le note di people have the power di Patti Smith che annuncia il loro ingresso.
I tre grandi schermi si illuminano, ronzano i 12 gruppi di diffusori audio posizionati sul soffitto perché il suono possa raggiungere ogni ascoltarore all’interno del palazzetto.
E i quattro ragazzi cinquantenni di Dublino non si risparmiano, coinvolgono gli spettatori con ogni mezzo dato dalla tecnologia, ma come quel primo concerto nel 1985 la loro umiltà li fa avvicinare alle persone, rendendoli partecipi e anche protagonisti, condividendo le loro storie personali, le storie dei dimenticati, dei rifugiati, delle vittime. Perché, parafrasando uno dei loro brani più famosi “alla fine, siamo una cosa sola, anche se diversi, insieme possiamo fare la differenza“.

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Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo

Manuela Caracciolo, fin da bambina ha coltivato la passione per tutto ciò che è creazione ed espressione artistica. Dopo avere frequentato l’Istituto Europeo di Design a Torino e si diploma nel 2001 al Corso di Fashion & Textile Design, lavora per alcuni anni come stilista e graphic designer. Amante della creatività anche nel campo letterario, rispolvera la sua antica passione per la scrittura. E’ giornalista e reporter dal 2007 e collabora con il giornale locale Gazzetta d’Asti e altri fogli locali e con i magazines americani America24 del gruppo il Sole24ore e La Voce di New York scrivendo articoli di costume, arte e cultura. Si occupa di comunicazione per varie realtà associative nell’ambito dell’arte, della cultura , dell’enogastronomia. Ha partecipato e vinto numerosi riconoscimenti letterari con racconti e poesie e ha pubblicato nel 2011 una raccolta di racconti “Storie sole” per Carta e Penna edizioni . A gennaio 2017 è stato pubblicato il suo primo romanzo "Quella notte a Merciful street" edito da Trenta Editore.

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