L’uragano Roger Waters si è abbattuto sulla Capitale, lasciando dietro di sé tante… vibrazioni ma anche importanti riflessioni su inquietudini civili. Nessuna nostalgia, nonostante i molti brani degli storici Pink Floyd (di cui è stato il bassista e autore di quasi tutte le liriche per 21 anni, dal 1965 al 1986), ma tante riflessioni sull’attualità, come sapevano e sanno ancora sprigionare quelle canzoni.
È infatti un presente – quello che ci mostra Roger Waters – impregnato di tristezza e solitudine, come suggerisce l’immagine della donna di spalle che osserva il mare, proiettata sul megaschermo-fondale del palco prima del concerto: un’immagine che subito crea domande: è una migrante che osserva l’acqua dove ha visto morire i suoi figli? La bassa marea vuole dirle/dirci che davanti c’è un futuro non certo idilliaco? Insomma, davanti all’invito a non pensare divulgato dalle nuove destre del mondo, davanti ad un mondo musicale sempre più attento a “non impegnarsi pubblicamente”, Waters ci mette subito in guardia e ci mette la faccia.
Attraverso il suo show, “Us and Them”, attacca Trump e il crescente neofascismo, si schiera dalla parte di chi non vede riconosciuti i propri diritti e incanta con la sua musica e video stracolmi di intelligenti e creativi effetti speciali mozzafiato: insomma, Roger Waters si dimostra ancora una volta come un “musicista impegnato, a tutto campo” e capace di usare la tecnologia non per intrattenimento, in modo pacificante, ma per porre invece in evidenza diversi problemi sociali.
Per Confortably numb, pezzo tra i più celebri dei Pink Floyd, rivolto al pubblico parla della dificcile situazione del popolo palestinese e dei migranti, dicendo “Sono persone come noi, con i nostri stessi diritti, e meritano il nostro rispetto, la nostra considerazione”.
E per sottolineare questa necessità di non perdere il valore della solidarietà e di lottare contro chi cerca di distruggerla, durante una lunga performance di Pigs on the Wind/Dogs appare sul fondale la faccia di Trump inserita su un maiale seguita dall’apparizione in aria anche di Algie (il celebre maiale volante di tanti concerti), con la scritta “Restiamo umani”: e mentre continua il sottofondo musicale scorrono le frasi più terribili e stupide pronunciate dal presidente degli Stati Uniti. Ne ha comunque per tanti politici Roger Waters, anche italiani: mentre infatti esegue Money compaiono tra i volti di quelli meno amati anche quelli di Berlusconi e Salvini.
Tanti, dicevo, i momenti di pura gioia musicale ma anche riflessione. Come l’ouverture con Speak To Me/Breathe – poi seguito da altri brani che “riportano in vita” il capolavoro di The Dark Side Of The Moon, del lontano 1973 – o come quando, dopo tre brani tratti dall’ultimo album, tra cui l’attualissima The Last refugee, lo show raggiunge forse l’apice della sua intensità emotiva con un’epica versione di Another brick on the wall, con una ventina di ballerini vestiti come nella prigione di Guantanamo che creano sul palco una specie di muro e con addosso una t-shirt con la scritta Resist, vera parola chiave del concerto: la resistenza contro i potenti della terra; contro chi trasforma il mondo in un posto di dolore; contro chi ha portato il padre di Waters, per combattere il fascismo, a morire su una spiaggia italiana durante la Seconda Guerra Mondiale; contro i nuovi fascismi e tutti i “muri”, mentre carri armati e aerei “precipitano” sugli spettatori.
Concerto importante, quello di Waters. Non solo perché dà la possibilità di riascoltare dal vivo alcuni dei capitoli più belli della saga Pink Floyd (da Wish you were here a The great gig in the sky, da Dogs a Comfortably numb), ma perché inchioda lo spettatore alle sue responsabilità, sbattendogli in faccia un presente politicamente sfatto, per certi versi grottesco: nella speranza che ne prenda coscienza. Anche per questo il tour di Waters (l’ultimo – pare, ma speriamo di no – della sua carriera) è necessario, in senso artistico e civile.