Giunto alla sua sesta nomination all’Oscar, Ennio Morricone potrebbe finalmente vincere la statuetta per The Hateful Eight, e ciò sarebbe decisamente meritato perché la partitura composta per l’ultimo film di Tarantino è davvero stupenda. La statuetta alla carriera, omaggio che l’Academy gli ha tributato nel 2007, a essere sinceri non conta: non è come quando qualche star legge il tuo nome appena uscito dalla busta dei vincitori…
C’è una curiosità che va sottolineata: quella per The Hateful Eight è la prima candidatura che l’ottantasettenne maestro romano ha ricevuto per un western, seppur “sui generis” come il film di Tarantino. Già, perché se Morricone si è imposto all’attenzione internazionale con i film di Sergio Leone degli anni ’60, grazie alla sua arte poi è riuscito a distaccarsi dal cineasta e dal suo genere preferito per diventare musicista a tutto tondo, di quelli capaci di “sentire” il film e conseguentemente esprimerne l’anima attraverso le proprie note. Le musiche di Per un pugno di dollari, de Il buono, il brutto e il cattivo o C’era una volta il West, per quanto innovative e dirompenti, erano un accompagnamento viscerale e funambolico dello stile sincopato del regista. Morricone in seguito ha saputo dosare la sua irruenza, trovare sintonie e note più soffici, capaci di accompagnare toni e lungometraggi tra loro radicalmente differenti. Ecco allora la grande collaborazione con Terrence Malick per Days of Heaven, che gli fruttò la sua prima nomination.
Se dovessimo scegliere il momento più alto della carriera di Ennio Morricone, quindi, a sorpresa non sceglieremmo gli anni ’60 che lo hanno lanciato, bensì la metà degli anni ’80, quando ci ha regalato due colonne sonore diversissime tra loro e capaci di testimoniare in pieno la sua grande duttilità d’artista. La prima – e secondo noi la migliore della sua intera carriera, è quella composta per Mission di Roland Joffe, la cui lirica impareggiabile basta da sola a innalzare la qualità di un film buono ma non memorabile. A restare invece nella memoria cinematografica collettiva sono le sinfonie elaborate da Morricone, in cui i fiati giocano un ruolo che esula dalla semplice musica per diventare poesia acustica. L’anno successivo tocca invece a The Untouchables di Brian De Palma regalarci un Morricone che ritorna agli echi del giallo classico con delle musiche vibranti, poderose ed elegantissime insieme, perfette nell’accompagnarsi alla ricostruzione d’epoca di quel capolavoro. Se Morricone, come è certo, aveva già meritato un Oscar in passato, la statuetta avrebbe dovuto uscire da uno di questi due titoli, soprattutto il primo.
Oltre ai già citati Tarantino, Malick e De Palma, Ennio Morricone ha collaborato con cineasti che hanno scritto la storia del cinema contemporaneo, e lui con loro: oltre al sodalizio artistico con Giuseppe Tornatore meritano segnalazione anche nomi quali Roman Polanski, Warren Beatty, Adrian Lyne, Barry Levinson, Wolfgang Petersen, Franco Zeffirelli, Francesco Rosi.
Per chiudere questa carrellata breve sulla carriera di Morricone però vogliamo tornare all’inizio, a Sergio Leone, e chiudere un cerchio artistico emozionante come pochi. Riascoltate appena potrete allora le note malinconiche ed eterne di Once Upon a Time in America, e (ri)scoprirete la grandezza di un maestro che ha oltrepassato i confini del genere, e forse anche del cinema stesso, per creare la sua arte.