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September 20, 2014
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Vince Staples, hip hop e realismo di una gioventù rubata

Piero MerolabyPiero Merola
Time: 3 mins read

Il nuovo astro dell’hip hop californiano ha solo 21 anni, non ha ancora un LP all’attivo, ma con quattro mixtape in tre anni ha già convinto la potentissima etichetta Def Jam Recordings (Kanye West, Pusha T, Frank Ocean, Rick Ross) che l’ha prontamente messo sotto contratto.  Vince Staples è nato a Long Beach, ma si è fatto le ossa in una delle aree più violente e malfamate di Los Angeles, Compton, resa celebre dal producer guru, Dr. Dre e dal gangsta-rap, di recente tornato sulla cresta dell’onda grazie all’esplosione di artisti come YG e Kendrick Lamar. 

La leggenda narra che nel colloquio di formalizzazione dell’accordo con la Def Jam, Vince abbia spiegato ai discografici che la sua area di provenienza non è proprio un divertimento: “Noi documentiamo quello che viviamo, quello che vediamo coi nostri occhi, ma non si tratta di storie piacevoli, non c’è nulla di figo e divertente”. Facendosi portavoce di un nuovo “realismo” hip hop, Vince mette in chiaro la sua prospettiva, molto comune tra i più recenti rapper di Los Angeles, in discontinuità con l’iconografia West Coast fatta di pistole, gang criminali e sessismo. Non è un caso che, da adolescente, appena sbattuto fuori di casa dai suoi genitori, sia entrato in contatto con uno dei collettivi hip hop più rappresentativi e apprezzati degli ultimi anni, gli Odd Future, dal quale sono venuti fuori autentici fenomeni internazionali quali Frank Ocean, Earl Sweatshirt, Tyler, The Creator, Domo Genesis. In comune con loro ha l’età, l’innata irriverenza, le amicizie inaffidabili e il percorso musicale. Sbattuto fuori dalla scuola superiore per motivi disciplinari, passa del tempo in un’altra area calda della scena, Atlanta, per poi tornare presto dalle parti di Long Beach dove vive in simbiosi coi due Odd Future Earl Sweatshirt e Syd Tha Kid. 

A soli 17 anni produce il suo primo mixtape Shyne Coldchain vol.1 che mette subito in luce il suo talento di narratore della strada, confermato dalla sua opera seconda Winter in Prague realizzata al fianco dell’influente produttore di origine nigeriana Michael Uzowuru. 

Il successo è dietro l’angolo e arriva con il mixtape della consacrazione, distribuito online nell’estate del 2013. Stolen Youth è un concept ispirato all’idea della gioventù rubata di molti suoi colleghi che, a detta di Vince, perdono contatto con la realtà urbana mitizzandola perché iniziano a fare rap “ancora acerbi e immaturi, senza uno sguardo maturo al mondo che li circonda”. Anche lui ha meno di vent’anni, al suo fianco in sala di registrazione c’è un altro giovanissimo talento, il rapper polistrumentista e producer Mac Miller, alias Larry Fisherman, esploso nel 2011 con Blue Slide Park, album che ha esordito in prima posizione nelle classifiche americane. È l’amico Earl Sweatshirt di ritorno dalle Isole Samoa (abbiamo già parlato della sua storia da ragazzo difficile) a presentare Mac Miller a Vince. 

I due entrano subito in sintonia, tanto che, prima ancora di portare a termine il mixtape, MacMiller lo invita a fargli da supporto nel tour nordamericano. Le collaborazioni in Stolen Youth si sprecano, su tutte quelle di altri due campioni del genere, Ab-Soul e Schoolboy Q.  Non ci si stupisce insomma quando Vince annuncia di essere finito nelle grinfie del gigante Def Jam. La critica lo osanna, il suo hip hop a tratti, iperrealista, dalle tinte dark, ma mai privo di sfoghi positivi e solari, raggiunge anche fette di pubblico mainstream.

 Alla sua popolarità contribuiscono tre apparizioni nel primo LP di Earl Sweatshirt, sempre nel 2013. Il singolo di lancio Guns & Roses diventa un manifesto con un testo che parla di violenze e abusi sui minori nei sobborghi malfamati di Los Angeles senza quell’alone edulcorato tra mito e cinematografia tipico di molti suoi predecessori. Nella primavera di quest’anno è arrivato un altro mixtape, in cui Vince si richiude in se stesso rinunciando a featuring e comparsate varie. I testi restano intrisi di storie cupe e dalle tinte drammatiche, la produzione è un po’ più scarna e rappresenta quasi un ritorno agli albori. Con il suo stesso realismo, ci tocca ammettere che difficilmente il ventunenne ragazzaccio di Long Beach sfuggirà all’inevitabile parabola del successo: anche la sua gioventù sembra ormai rubata.

 

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Piero Merola

Piero Merola

Laureato in Relazioni Internazionali, lavoro come consulente di comunicazione, pubbliche relazioni e nuovi media. All'interesse per la storia e la politica americana, ho sempre unito quello per la musica. Dopo uno stage in Ambasciata Italiana a Washington, ho seguito per America 24 le presidenziali del 2012, e oggi scrivo per Rivista - Il Mulino. Editor del magazine online Kalporz, dal 2006 scrivo recensioni, interviste e report da ogni dove. Collaboro come ufficio stampa e copywriter con etichette, agenzie di booking, eventi e festival. In passato ho lavorato per festival estivi come Beaches Brew e Ortigia Sound System, oggi per la comunicazione del Diagonal Loft Club e di Deposito Zero Studios dove sono responsabile della direzione artistica del video format Live Zero. In questa rubrica vi presento nomi emergenti della scena americana, alcuni dei quali, intanto, sono diventati grandi.

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