Due corpi che incurvandosi leggermente formano una sorta di icona bizantina: e l’abbraccio si fa musica. Cominciano con un brano a cappella (Ti preu, Maria) Lorenzo ed Enzo (Onofrio) Mancuso, e le loro voci ancestrali riempiono di profondità la Leshowitz Hall della Cali School of Music a Montclair State University, il 17 febbraio scorso, lasciando il centinaio di persone presenti in un magico spazio senza tempo che questi “trovatori”, antichi e moderni al tempo stesso, riescono a creare con tanta sapienza.
Sono venuti per un laboratorio-relazione all’interno di un progetto pensato e realizzato dall’Inserra Chair in Italian and Italian American Studies della Montclair: nel corso delle due ore trascorse con gli studenti, professori e residenti della zona legati alla comunità italo-americana e ai circoli artistici del New Jersey, hanno condiviso un percorso di scoperta e riscoperta. “Trovatori” perché poeti e musicisti insieme, eredi di una tradizione antichissima in cui si intrecciano l’influsso delle civiltà che hanno attraversato la Sicilia (fenici, greci, romani, arabi, bizantini, spagnoli, francesi). Ma “trovatori” anche perché la musica e il canto sono per loro il punto finale di un cammino di ricerca personale.
Nella sala campeggia sullo sfondo, come un arazzo gigante, l’immagine di Sutera, il paesino in provincia di Caltanissetta dove sono nati e dove, malgrado l’assenza di scuole e istituzioni nel campo musicale, hanno appreso a suonare per osmosi, frequentando la sala del barbiere locale, mentore – suo malgrado – di questi due curiosi giovani che assorbivano tecniche e sonorità in silenzio, “rubando sapere”, come confessano con un caldo sorriso autoindulgente i Mancuso stessi. Questa musica, come un fiume carsico, la ritrovano a Londra, dove sono emigrati per lavorare nelle fabbriche negli anni ‘70: il Sud andava nelle industrie del Nord, in quell’epoca e i Mancuso raggiunsero un Nord così freddo e culturalmente spaesante che la musica divennne un’àncora per non andare alla deriva agganciandosi ad un lavoro politico e sociale che li vide impegnati nei gruppi operai. La tradizione siciliana è quindi occasione per ritrovare le radici, e per rincontrare una dignità personale che l’esperienza in fabbrica rende aliena.

Workshop di musica siciliana a Montclair University. Foto: Giuseppe Malpasso
Al ritorno in Italia (risiedono in Umbria da allora), forti di un’esperienza come l’emigrazione che per definizione sfida il mito dell’autenticità e regala la ricchezza delle impollinazioni incrociate, si riconoscono in termini professionali in questa rivisitazione della tradizione, e si fanno sempre più porosi rispetto all’apporto di strumenti, lingue e generi musicali dell’area Mediterranea e dell’Asia centro-meridionale. L’esecuzione di una ninna nanna di Calamonaci (Agrigento) da loro adattata accompagnandosi con l'organo indiano (harmonium) e il sag o baglam (un liuto turco) esemplifica questo lavoro di spaesamento musicale: “Non usiamo strumenti stranieri per capriccio esterofilo – spiegano al pubblico – ma perché ci permettono di esplorare nuove forme di espressione”. I Mancuso sono autodidatti, non scrivono mai la musica delle loro composizioni, e accolgono questi strumenti nel loro mondo artistico senza pretesa di ricostruzione filologica. L’uso dell’harmonium illustra chiaramente questo tipo di lavoro: “In realtà, quest’organo nasce in Italia e viene portato in India da missionari impegnati nell’evangelizzazione del continente e lì si fa più piccolo per essere trasportato facilmente – ci raccontano – noi lo abbiamo semplicemente riportato in Italia”. Nelle loro mani di “trovatori” di tracce, quest’organo non viene suonato come in India, ma diventa una terza voce.
Le composizioni originali dei Mancuso che rappresentano la quasi interezza del loro repertorio sono spesso il risultato di fertili collaborazioni con registi teatrali quali Emma Dante, Roberto D’Ando e Marco Martinelli e cinematografici (Anthony Minghella ed Emma Dante stessa, il cui primo film, Via Castellana Bandiera, contiene il brano dei Mancuso Cumu è sula la strata, vincitore del premio per la Migliore Colonna Sonora all’ultimo Festival del Cinema di Venezia). Ma queste composizioni originali sono anche il frutto di incontri casuali, come quello folgorante e spirituale con il dipinto della Crocifissione di Grünewald, un polittico conservato in un museo dell’Alsazia che ha fatto scaturire un brano di indicibile potenza. L’esecuzione di questo loro Deus Meus resta il momento più intenso e lirico del laboratorio di Montclair State University, testimonianza di quella ricerca dell’atemporalità e della verità che caratterizza il lavoro dei Mancuso, attento alle pulsioni del presente, erede del passato, ma sempre teso anche al futuro: “Con questo canto, che non è schiavo del tempo, è impossibile mentire,” ci dicono i Mancuso con stile icastico, riferendosi a tutto il loro repertorio.
Il laboratorio-lezione ha fatto emergere la varietà della produzione dei Mancuso – raccolta a oggi in otto CD – che spazia con agilità dal genere sacro a quello della lirica d’amore, a quello delle vanniate dei venditori di strada e dei canti di protesta, e che con estrema cura si affida sempre a registri cupi e malinconici, così lontani da certa rivisitazione allegra della tradizione del Sud nella quale non sentono di potersi riconoscere per vissuto personale. Il pathos tragico greco è la loro matrice che trova in Lorenzo la voce dell’angoscia gridata e in Enzo quella del dolore concavo – voci autonome e complementari come le due corde dello strumento albanese, il chifteli. Nella breve sequenza condivisa con il pubblico tratta dal film intitolato appunto Chifteli e diretto da Mario Guarneri, questo sentimento di un fato antico e oscuro si coagula in un momento significativo: i Mancuso camminano attraverso una Sutera deserta, fatta di architettura sedimentata, di fronte alla quale Enzo, con il suo parlare cagliato, come avrebbe detto Sciascia, ci ricorda come dopotutto “siamo costruttori di rovine.”

Da sinistra: Teresa Fiore, Enzo e Lorenzo Mancuso. Workshop di musica siciliana a Montclair University. Foto: Giuseppe Malpasso
Nell’ultima parte del laboratorio, i musicisti hanno invitato una quindicina di studenti e professori sul palco per guidarli nel canto di Nesci, Maria, una delle loro composizioni più note, contenuta nel CD omonimo del 1986. Ha una storia, questa canzone, intrisa di sentimento e risate, come spesso accade con i Mancuso,: “Una volta a casa nostra venne un amico con una donna greca bellissima. Si chiamava Maria. Eravamo come incantati dalla sua presenza – un po’ meno da quella dell’amico che le stava sempre accanto – e abbiamo scritto questa canzone per lei: l’abbiamo cantata centinaia di volte in giro per il mondo e lei non lo sa nemmeno.”
“Il laboratorio dei Mancuso ha fatto parte di un articolato progetto al campus di Montclair e di un vasto progetto in sinergia con varie istituzioni di NY e Chicago incentrato sullo spettacolo Rumore di acque che vede i Mancuso autori e attori musicali in scena: è stato l’unico momento interamente dedicato alla musica e alla vicenda dei Fratelli Mancuso”, ci dice Teresa Fiore (Inserra Chair in Italian and Italian American Studies). La scrittrice siciliana Maria Attanasio con raro tocco poetico ha ipotizzato che alla fine del mondo sulla terra resteranno i Mancuso, “orfani cosmici con le loro voci di pietra”. “Se ci saremo anche noi in quel frangente – aggiunge Teresa Fiore – avremo la fortuna di essere insieme a due fratelli cosmici. Intanto, prima di allora, ci auguriamo di riavere i Mancuso nel New Jersey e a New York per iniziative culturali che diano la possibilità, come questo prezioso laboratorio a Montclair, di conoscere la ricchezza artistica e umana di questi musicisti unici, seppur in due”.
Qui di seguito un filmato realizzato dagli studenti di Montclair State University, racconta l'esperienza con i Mancuso e il Teatro delle Albe.