C’era una volta una farfalla. Volava leggiadra sulle note, elegante, senza eccessi, lasciandosi ammirare nei colori delle sue ali e della sua voce, stringendo le mani ai fan, sedendosi per terra nel momento di concedere le interviste. Un volo Controvento il suo, come il titolo della sua canzone, che l’ha portata ad una vittoria meritata dopo anni di successi sfiorati come fiori l’ultimo giorno di primavera. E così Arisa diventa la vincitrice di questo chiacchierato 64° Festival di Sanremo, troppo lento nei ritmi, troppo spot promozionale di tour di artisti e di un’Italia che invece avrebbe bisogno di ritmo e tornare a sognare.
Secondo posto per l’alieno del Festival, il produttore di musica elettronica Bloody Beetrooz, all’anagrafe Simone Cogo, 37enne di Bassano del Grappa in duetto, nel pezzo Liberi o no, con il soulman Raphael Gualazzi. L’ape Bloody aveva incuriosito fin dall’inizio, un ronzio il suo che, unito a quello del calabrone Raphael aveva fatto parlare. Forse più per l’aura attorno alla sua identità nascosta da una maschera e da una politica d’immagine che in una settimana l’ha portato di fronte alle telecamere solo lo stretto necessario.
Terzo posto per Renzo Rubino, il vincitore di Sanremo giovani dell’anno scorso, che con Ora ha segnato un capitolo importante della musica sanremese. Merito di un testo non scontato che abbina ad interpretazione e gusto. Una tigre bianca, Rubino, che in un giorno di neve scompare, senza dimenticarsi mai di ruggire forte.
Ma nello zoo di questa edizione, l’ultima per il lemure Fabio Fazio accompagnato dalla quaglia di Luciana Littizzetto, c’è un animale che dal momento della nomina dei vincitori si è rinchiuso nella sua gabbia, mentre fino ad un minuto prima non era che chioma fluente e portamento baldanzoso: il leone Francesco Renga, re della foresta e del Festival, il super favorito sia dalla gente che dai bookmakers. Ma la giuria di qualità, che nella finalissima ha fatto la differenza facendo pesare il suo voto un buon 50 per cento, non l’ha voluto. Troppo scontato, troppo palese e senza sorpresa per una vittoria già pianificata a tavolino.
Il vero vincitore che nello zoo di questa cinque giorni sanremese si è mosso a suo agio, intrufolandosi ovunque, facendo fusa a volte scomode, dando un punto di vista ironico e sornione sul Festival riportando al primo posto la gente, è stato il gatto Pif. Ex Iena, regista dei video andati in onda proprio prima del Festival, in una rubrica battezzata Sanremo e San Romolo che ha fatto sorridere con leggerezza senza scadere mai nel pallore intellettuale.
Insignificante durante la serata il panda Giuliano Palma, che ha cantato in via eccezionale senza i suoi famosi occhiali da sole. Ma chi panda nasce, panda resta e quello che ha apportato a questa edizione equivale ad un pasto a base di bambù. Piume spezzate per Noemi, il pavone che ha cercato di volare con un brano orecchiabile ma un look troppo azzardato che l’ha penalizzata non poco. E così finisce che la coda rimane chiusa, senza una degna apertura di sfumature di ottanio. Conserva il suo fascino possente il vecchio toro Ron, saluta il figlio Tobia il lupacchiotto Francesco Sarcina alla fine del brano, passano colorati i Perturbazione, come tante coccinelle rosse che volano via ballando nell’aria, portando con loro il premio della sala stampa radio tv e web Lucio Dalla. La panterona Giusy Ferreri litiga per un posto al sole con mamma chioccia Antonella Ruggiero, alquanto feconda musicalmente, ma nessuna delle due lascia il segno. Premio della critica Mia Martini per il figlio canguro Cristiano De Andrè: da quella tasca non è sceso mai e se ancora salta è per un timbro che, fortuna sua, ricorda quello del padre, con una lirica che però lo fa rimpiangere. Ma dopo che il camaleonte Frankie Hi Nrg, in grado di cambiare sempre pur restando se stesso, ha cantato e si è esibita anche la zanzara di Riccardo Sinigallia, spruzzata via dalla disinfestazione dello zoo per via di un brano non troppo inedito, il palco lascia finalmente posto agli ospiti.
C’è la nonna Claudia Cardinale nella cucina dello zoo, impasta una torta e guarda dalla finestra, con un fare da grande attrice del cinema che non la fa entrare però dove vagano gli animali: non una performance, non un canto. Solo un saluto, lieve, con la mano, finchè mescola l’impasto con troppo trucco addosso. Bela beato Stromae, l’artista belga di origine irlandese che come una pecora nera tenta di apportare qualcosa di nuovo allo show. Finge di essere ubriaco tra gli occhi esterrefatti dei paganti e il suo belato non arriva come dovrebbe, fermandosi su un’immagine che c’entra poco con le altre gabbie.
Ligabue riporta tutti al revival ma questa volta moderno, un momento nostalgia di un giaguaro mai stato leone, neppure questa sera.
E mentre qualcuno nelle gabbia sonnecchia arriva un animale che sveglia tutti. È il gallo. E che ci farà mai un gallo in uno zoo? Il gallo canta acuto l’inno all’italianità, squilla, alza la cresta. Guarda lo zoo dalla cima di un portone confinante, dove ci è arrivato con le sue di ali, dopo essere rovinato al suolo l’anno scorso, mentre tentava l’arrampicata. È Crozza.
https://youtube.com/watch?v=GRnKkz8cdvw
“Cara Europa, noi italiani siamo un popolo complesso ma siamo capaci di cose geniali – e mentre dietro al suo muro compare una foto del treno deragliato affiancato alla torre di Pisa, prosegue – Siamo in continua oscillazione tra la grande bellezza e il disastro. Del resto, cara Europa, chi ti ha insegnato la bellezza? Fino a due secoli fa qualunque giovane europeo intenzionato a diventare un intellettuale doveva venire in Italia”. Cita Goethe. “Scrisse che senza vedere la Cappella Sistina non è possibile formare un’idea apprezzabile di cosa possa fare un uomo da solo. Michelangelo ero determinato e, tanto per ricordarlo all’amico Giovanardi, era pure omosessuale. Noi italiani siamo capaci di produrre la grande bellezza, Michelangelo, e il grande disastro, Giovanardi”. E dopo un’imitazione del neo premier Renzi, dedica una lirica a “Angelina” Merkel e conclude con una frase che è tutto un programma: “Questo palco è tremendo”.
La favola della farfalla che volava libera nello zoo sfidando i leoni finisce così, su un palco tremendo in grado di chiudere in gabbia qualsiasi artista e snaturarlo di stress e critiche troppo pungenti. La farfalla apprende la vittoria e si posa calma, non una lacrima, non un tentennamento su un fiore della bellissima Sanremo. “Io sono qui per ascoltare un sogno”, canta. Un sogno che per una volta è riuscito ad ascoltare lei.