Da bambini ,alle feste di compleanno, dopo il taglio della torta, dopo aver scartato i tanti regali portati gli amici, quando le canzoni più spassose erano già state ballate, nel momento del calo naturale del divertimento, c’era sempre qualcuno che proponeva il gioco del “Se fosse”. Un partecipante alla festa, la cavia, veniva relegato in una stanza appartata per qualche minuto, finchè si spiegavano le regole del gioco a tutti. Poi rientrava. Il suo compito era proporre delle domande che iniziassero con “Se fosse” per arrivare a scoprire così l’identità dell’amico in comune che avevamo scelto noi restanti invitati alla festa.
Alla terza serata del Festival di Sanremo la torta è stata tagliata, con un bel martedì di apertura con imprevisti in grado di tener su lo share, i regali Carrà, Valeri, Baglioni sono stati scartati con gusto, le canzoni le abbiamo già ascoltate tutte. E ora riparte il disco, tutto da capo. Allora via, giochiamo.
In questi giorni con Fabio Fazio in tanti hanno scelto di fare un altro gioco, quello del massacro. Del resto i numeri parlano, e non a suo favore: 10 milioni 938.000 gli spettatori della prima serata, scesi però a 7 milioni e 711.000 nella seconda serata. Una cifra che precipita dopo le 23.58 con 3 milioni 784.000 persone. “Colpa della partita” si schermisce Fazio quando gli chiedono le ragioni della perdita di pubblico. “Non possiamo nulla contro il Milan che giocava in diretta TV proprio mentre andavamo in onda noi”. Il j’accuse che filtra tra il malcontento generale vira verso l’assenza di artisti estrapolati dai talent, molto seguiti dal pubblico dei più giovanissimi e quindi forse in grado di far guadagnare qualche punto di share in più. “Per la scelta dei brani ci siamo basati solo sulla qualità delle canzoni – prosegue Fazio – Non c’è nessuna dietrologia a tavolino, non siamo contro i reality musicali”. Ma sarà vero? Io me la gioco.
Se Fabio Fazio fosse un animale sarebbe di certo un lemure (può partire la sigla di SuperQuark. Da leggere con voce da documentario). Il lemure, animale con grandi occhi dall’aspetto spiritato, non solo è adatto alla vita notturna ma si trova a suo agio quando plana da un albero all’altro. Insomma, in linguaggio non documentaristico, si può dire anche che salta di palo in frasca. Nella conduzione Faziana, per i più malevoli talvolta anche faziosa, manca spesso il nesso logico tra un’area e l’altra dello show. Un dettaglio che non fa bene alla continuità e al ritmo della serata.
Se Fazio fosse un lavoro sarebbe un valletto. L’andamento dello show lo sostiene Luciana Littizzetto, spontanea, convincente, a volte persino troppo imbustata in un format che per essere svecchiato ha invece solo bisogno di freschezza.
Se fosse un ortaggio, Fabio sarebbe di sicuro un asparago: raro, non spunta in tutti i mesi dell’anno, ma quando lo fa parte timidamente, prima alzando la testina. L’asparago ricorda anche la sua presenza estetica sul palco: alto, fino e leggermente ricurvo. Questo ortaggio inoltre non sta bene con tutti i piatti. È buonissimo nel risotto, ma col pesce non va. Anche Fazio parla volentieri dei fatti tragici dell’Ucraina ma sui marò ad esempio neanche una parola.
Per metterla sul campo letterario, se fosse una figura retorica sarebbe un’iperbole: ogni ospite è IL miglior cantautore al mondo, ogni sportivo che arriva per premiare i cantanti è LO sportivo. Capita così che Damien Rice finisce per venire presentato come colui che ha scritto LA canzone più bella e dall’iperbole si scivola con facilità all’ellissi (della verità e di un minimo di oggettività musicale).
Se fosse un personaggio della televisione, sarebbe Pippo Baudo. Purtroppo però solo nella volontà. Lo imita ogni volta che può con una reverenza piena di stima. Divertente l’idea dell’imitazione ma se la si fa per tre volte nel giro di mezz’ora perde tutto il suo potere magico.
Se fosse un detto popolare Fazio poi sarebbe “Mogli e buoi dei paesi tuoi”. La grande star internazionale di questo Festival è già stata Raffaella Carrà. Peccato però che sia internazionale solo per chi italiano non è. Si gioca in casa, ma a volte se la partita la si va a disputare in uno stadio diverso si corre questo piacevole rischio di guadagnare qualche tifoso in più.
Se Fazio fosse una canzone sarebbe Buonanotte fiorellino. Il Festival a metà serata diventa un ottimo antidoto per l’insonnia, anche per chi vive nella città dei fiori e sta seduto nella platea dell’Ariston.
E quando tutti in sala stanno combattendo contro l’ineluttabile forza di gravità della palpebra eccoli che escono altri quattro giovani in gara, briciole di una torta della quale tutti sono già sazi. Ma a volte proprio nella briciola si nasconde il gusto sopraffino. La briciola si chiama Rocco Hunt e con un brano dal titolo Nu juorno buono parla con leggerezza e speranza della sua terra, Salerno. Passa il turno con The Niro, quest’ultimo forse più per il nome che per il brano, più adatto ad un pubblico brit-pop.
Certo, una conduzione spenta e la scelta di lasciare il buono per ultimo potrebbero rivelarsi perdenti per questa edizione del Festival. Ma Fazio da perdere ormai ha poco. Ha già dichiarato che questo sarà il suo ultimo anno sul palco dell’Ariston e poco male se tra un cantante e un altro, mentre montano strumenti e microfoni, si impappini cercando di colmare dei buchi di presentazione. L’abilità di un padrone di casa sta proprio in questo, nel far sentire a suo agio gli ospiti mentre la tavola non è ancora pronta. E invece si latita, si ripetono le stesse parole, si fa sentire la presenza di quello che sul palco c’è ma non si vede, una strada con l’asfalto dissestato, una linea del cellulare che va a scatti. Tanto che non ho più dubbi: se Fabio Fazio fosse un formaggio sarebbe un emmenthal. E pure stagionato.
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