L’estate concertistica italiana si è chiusa con una breve tournee d’eccezione, che ha unito idealmente New York e la Sicilia. Da un lato Antony Hegarty, inglese di origine, newyorkese d’adozione, una sorta di “gigante buono” transgender, dalla voce tenorile e incline al tremulo, che sembrerebbe uscito da una canzone alla Walk on the wild side (non a caso il primo a scoprirlo e a portarlo in tour fu proprio Lou Reed una decina di anni fa, quando ancora era pressoché sconosciuto, pur avendo già inciso l'album di esordio); dall’altra Franco Battiato, siciliano, classe 1945, autore che, dopo gli esordi sperimentali, ha rivoluzionato la canzone italiana, centrando perfettamente l’essenza del postmoderno, ovvero mescolando alto e basso, ritmi disco e testi citazionisti, cultura pop di largo consumo e misticismo new age. Dietro entrambi, l’orchestra Arturo Toscanini (alla quale nel set di Battiato si è aggiunta la formazione elettrica che accompagna solitamente il cantante, con chitarre, basso, batteria e tastiere/campionamenti).
Due le date in Italia, a Firenze e all’arena di Verona, dalle quali verrà tratto un disco dal vivo. Una scommessa vinta senz’altro, pur nella diversità delle due proposte. Lo show di Verona, aperto da Antony (per l’occasione senza i suoi Johnsons) con Rapture e alcuni altri classici del suo repertorio, ha avuto vene estremamente romantiche, liriche, tra cui il cantante ha però trovato il modo di infilare anche una cover di Beyoncé, ovviamente riveduta e corretta dalla sua voce eccezionale. Nel mezzo, un monologo centrato sulla necessità di passare dalla mankind alla womenkind. “Allah is a woman, Budda is a mother, Jesus is a girl”, ha sottolineato, fra gli applausi e le dichiarazioni d’amore che piovevano a tratti dalla platea. Ed ancora, il primo duetto con Battiato, con You are my sister, uno dei brani più celebri di Antony, dedicato originariamente (ed eseguito con) Boy George, un altro autore che cantò l’ambiguità sessuale, nei primi anni ’80, e una Hope there’s someone eseguita al piano, strumento con il quale il cantante solitamente si accompagna.
Nella seconda parte del concerto, Battiato ha espugnato l’Arena, impresa non facile, considerate le premesse. Un set in gran parte dedicato alle hit, il suo, e quindi a tratti forse un po’ nazionalpopolare, ma il pubblico di certo non glielo ha rinfacciato. L’apertura affidata a Un’altra vita e Il re del mondo, e poi una cover di De André, La canzone dell’amore perduto, quindi due duetti con Antony, Del suo veloce volo, traduzione italiana, realizzata con il fido Sgalambro (filosofo, coautore di molti dei testi del cantante siciliano), di un brano dell’inglese, Frankestein (pubblicata nell’album di Battiato Fleur 2) e As tears goes by, cover dei Rolling Stones. Non pago, Battiato ha chiamato sul palco una cantante che stesso ha lanciato, Alice, con la quale ha eseguito un vecchio brano di Claudio Rocchi, recentemente scomparso dopo una vita spesa fra musica e filosofie indiane, oltre a due suoivecchi successi, I treni per Tozeur e Il vento caldo dell’estate.
Il finale – con l’eccezione di Inneres auge, potente strale contro la stagione berlusconiana – è stato interamente dedicato ai classici, e qui l’orchestra Toscanini ha dovuto cedere spesso il passo al pop. Un pop intelligente e sofisticato, quello di brani come Bandiera bianca o Cucuruccucu paloma, che all’epoca svecchiò radicalmente la canzone d’autore italiana e riuscì nell’intento di coniugare le tastiere elettroniche, protagoniste indiscusse delle piste da ballo, con testi di rara intelligenza, ancorché “nuovi”, testi che non raccontavano più una storia ma assemblavano osservazioni, citazioni, a volte invettive totalmente personali, che riuscivano però a diventare patrimonio collettivo (“non sopporto i cori russi, la musica finto-pop, la new wave italiana, il free-jazz-punk inglese, neanche la nera africana”). A tanti anni di istanza, si sfiora a volte l’effetto karaoke: d’altro canto, fa anche bene rinfrescare la memoria, intonando con l’autore brani ancora oggi per molti versi insuperati, che per audacia possono essere avvicinati forse solo alla produzione dell’ultimo Battisti, quello con Pasquale Panella (ma Battiato a differenza dell’ultimo Battisti, ebbe un enorme successo). Il pubblico a questo punto è tutto in piedi, e tributa al siciliano la meritata ovazione, degno suggello di una serata difficile da dimenticare.
La buona notizia, ora, è che la collaborazione fra Battiato ed Antony è destinata a continuare. E mentre noi aspettiamo fiduciosi, chi si trova a New York potrà vedere Battiato dal vivo alla Highline Ballroom il 9 ottobre. Chissà che Antony quella sera non decida di fare una comparsata al fianco del suo collega italiano..