Da appena cento giorni Carlo Alberto Dalla Chiesa è prefetto di Palermo. Per ognuno di quei cento giorni invoca quei poteri promessi che Roma non gli concede. Ucciso, dirà Giovanni Falcone, perché era solo. Quando l'hanno ammazzato, rivela il pentito Marino Mannoia, i mafiosi hanno brindato.
In Sicilia aveva già operato nel 1948 e poi nel 1966. Del fenomeno mafioso aveva compreso l'essenziale: che cosa interessa alla mafia, il denaro; come se lo procura, la ramificata rete di connivenze e complicità su cui può contare e che costituisce quell'acqua in cui nuota e sguazza.
Quando nel 1982 Dalla Chiesa torna a Palermo, la città è sconvolta da una quantità di delitti eccellenti: il segretario provinciale della DC Michele Reina; il vice-questore Boris Giuliano; il giudice Cesare Terranova, il presidente della regione Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, il procuratore di Palermo Gaetano Costa, il segretario del PCI regionale Pio La Torre…
E' già un mito, il generale. Se le Brigate Rosse sono state sconfitte, lo si deve anche a lui e a quel pugno di uomini che in lui crede ciecamente: hanno catturato Renato Curcio e Alberto Franceschini; ma è solo dopo il delitto di Aldo Moro che si prende finalmente coscienza del pericolo costituito dal terrorismo; a Dalla Chiesa vengono dati quei poteri che gli consentono di infliggere colpi di maglio a intere cellule di terroristi.
Racconta Dalla Chiesa che quando era comandante dei carabinieri a Palermo, la mafia aveva minacciato un suo capitano di stanza in un paese vicino. Lui se lo prende sottobraccio, i due passeggiano lentamente lungo il corso principale del paese per far capire a tutti che quel capitano non è solo, le minacce sono inutili, eliminato quel capitano ne arriva subito un altro uguale a lui, e poi un altro, e un altro ancora… "Chiedo solo che qualcuno mi prenda sottobraccio e passeggi con me", dice Dalla Chiesa. Poche ore dopo viene ucciso.
Ucciso perché aveva capito, perché capiva. Ucciso perché era pericoloso. Perché non poteva essere corrotto. Perché il suo esempio poteva essere seguito da tanti. Per tanti motivi Dalla Chiesa era pericoloso.
Il generale non si separava mai dalla sua borsa. Compare in ogni immagine, fotografia. Lo conferma chi lo conosceva. Che cosa c'era in quella borsa? Chissà, certo qualcosa di importante, perché il generale non la mollava un minuto. E' probabile che l’avesse con se anche la sera del 3 settembre 1982, quando venne ucciso assieme alla moglie e all’agente di scorta dai killer della mafia. Che fine ha fatto quella borsa? Per molto tempo non se ne è saputo nulla.
La storia Della borsa sarebbe finita nel dimenticatoio, se non l’avesse portata d’attualità un dossier anonimo fatto circolare un anno fa. L’anonimo sostiene che sarebbe stato un carabiniere a trafugare la borsa, con dentro documenti scottanti sulle indagini condotte personalmente da Dalla Chiesa. Un anonimo che appare molto bene informato. Alla fine la trovano, la borsa: in uno scantinato della procura di Palermo. E cosa c'e dentro la borsa? Nulla. Un momento: se la borsa è stata portata in tribunale, qualcuno l'avrà inventariata, prendendola in consegna avrà steso un verbale, e in quel verbale ci sarà scritto chi l'ha presa, chi l'ha consegnata, cosa c'era dentro, chi ha preso i documenti se c'erano, e che documenti erano…non se ne sa nulla, nessuno sembra interessarsene.
Il generale è stato ucciso 31 anni fa, una bella cerimonia, e appuntamento, con tanti saluti, all'anno prossimo. Interrogativi, domande e misteri restino pure senza risposta.