Quel che Dante è per la poesia, Shakespeare per il teatro, Michelangelo per l’arte, Beethoven è per la musica. Una nuova “lettura” delle sue nove sinfonie viene ora riproposta dal nostro Riccardo Chailly (con la Decca, gruppo Universal Classics), il quale, sul podio della prestigiosissima Gewandhaus orchester, va così giustamente e meritatamente a collocarsi nella parte più alta dell’Olimpo orchestrale accanto ai titani dell’ultimo secolo, da Toscanini a von Karajan (solo per fare un paio di nomi).
Le nove sinfonie di Beethoven, sono conosciute in tutto il mondo. In alcune sinfonie ritroviamo aspetti tipici dell’età classica, ma nella maggior parte delle composizioni di Beethoven ci ritroviamo in pieno romanticismo.
Lo schema della sinfonia fino a Mozart è stato in tre tempi, anche se Mozart cominciò a scrivere sinfonie in quattro movimenti. La suddivisione della sinfonia in quattro tempi la ritroviamo applicata in quasi tutte le opere di Haydn, considerato il padre della sinfonia.
Nell’età romantica, i compositori esprimevano i sentimenti intensamente e con forza e, non rinunciavano ad applicare qualunque idea musicale che era loro suggerita dalla propria ispirazione. Beethoven. Il contenuto dell’arte non poteva essere bloccato dalla tradizione e quindi dalle consuetudini del momento di ogni forma musicale.Beethoven in alcune sinfonie cambierà la consuetudine di proporre un minuetto come terzo movimento, danza in tre quarti di carattere moderato, sostituendolo con lo Scherzo, sempre in ritmo ternario, ma dall’andamento ritmico molto veloce. Nella nona sinfonia, l’ultima, Beethoven ha la necessità di utilizzare la voce, e inserirà nell’ultimo movimento la voce solista e il coro. Il tema è noto ed è utilizzato come Inno Europeo. La nona è la sinfonia che contiene il famoso inno alla gioia.
Qui di seguito riportiamo alcuni dei giudizi critici che hanno accompagnato l’uscita di quest’imponente incisione.
“Musica” ha dedicato una lunga recensione e 5 stelle all’incisione di Chailly delle Sinfonie di Beethoven, questo un piccolo estratto: «Poteva essere rischioso cimentarsi con un ennesimo ciclo discografico delle nove sinfonie di Beethoven, ma ci è riuscito Riccardo Chailly, a capo dell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia, in questa nuovissima incisione Decca, che oltre ad offrire un indiscutibile livello esecutivo sta suscitando molta curiosità e anche qualche querelle. […]
L’esecuzione del Gewandhaus risulta interessante proprio come testimonianza dell’evoluzione degli strumenti e della loro resa, nonché di quanto possa cambiare nel corso della storia il rapporto fra la scrittura musicale e la sua "dimensione uditiva". […] Chailly mantiene sempre grande rigore analitico, prestando ammirevole attenzione a tante sfumature dinamiche ed espressive – in particolare all’inizio della Leonore III, uno dei brani più riusciti di questa integrale [vi sono infatti, con le sinfonie in questo set di cinque Cd, anche le overture; ndR]».
Carla Moreni (“Il Sole 24 Ore”) sottolinea come «Riccardo Chailly lancia, attraverso la Decca, un piano organico di registrazione delle Nove Sinfonie rilette secondo i tempi vergati da Beethoven sugli incipit dei trentasei movimenti del gran monumento… Guerresche, bellicose, pronte anche a prendersi delle reazioni negative, di dissenso. Perché le Nove sono troppo nella memoria. Più che lente, pompose. Più che abrasive, rassicuranti. Chailly dice no. La lettura prende la velocità come bussola e va via spedita, senza una tentazione di rallentamento, forte di un braccio estremamente sicuro sul fronte dello stacco, della speditezza, ben deciso a resistere anche ai momenti più seduttivi di puro piacere melodico che il marmoreo Beethoven conosce e perfidamente distilla.
In un’intervista per “La Stampa” Egle Santolini ha chiesto al maestro Chailly: "Maestro, se Beethoven aveva messo in partitura i tempi, perché solo ora si seguono le sue indicazioni?"
«Si diceva che non avesse capito come funzionasse un aggeggio appena inventato. Addirittura che, essendo sordo, non avesse idea di quel che faceva. La verità è che quei tempi sono subito apparsi al limite dell’eseguibile: per questo l’interpretazione tradizionale li ha rallentati. E anche se sappiamo dalle recensioni di Schumann che già Mendelssohn, qui a Lipsia, aveva aumentato il passo, si è dovuto aspettare fino a Toscanini per una presa di posizione decisa. Ma la tradizione è andata avanti inesorabile. Soltanto molto di recente, con l’impiego di strumenti antichi, in piccoli organici, qualcuno si è avvicinato al metronomo, per esempio John Eliot Gardiner. La mia sfida è stata arrivarci con una grande orchestra. Questa».
Che succede – ha continuato la Santolini – alle Sinfonie suonate veloci?
«Che i nodi si risolvono. Soprattutto nei movimenti lenti, per esempio nella “Pastorale” o nell’Adagio della “Nona”, mi era sempre sembrato che a un certo punto tutto cedesse. Riandare ai metronomi originali ha colmato subito questi sfaldamenti. Da lì sapesse quante idee sono germogliate».
Jeffrey Grice, da Parigi, fa notare che «Chailly ha lasciato che la musica parlasse con tutta la sua potenzialità di linguaggio. Non ha cercato di renderla tutta omogenea nelle suggestioni, ma ha lasciato che fosse costellata qua e là di un crescendo di picchi espressivi. Beethoven nella partitura scrive che la Sesta Sinfonia è più una “espressione di sentimenti che una rappresentazione dei suoni della natura”. È comunque vero che nel secondo movimento si riusciva a percepire l’acqua, ma in particolar modo, il suo effetto rilassante nei trilli dei secondi violini quando il tema ritorna alla fine del movimento. Allo stesso modo si percepivano le emozioni sonore dei versi del cuculo, della quaglia e dell’usignolo e, alla fine del giorno, dopo il temporale, la gioia rasserenante della danza».
Nato a Milano in una famiglia di musicisti, (il padre era il compositore Luciano Chailly, la sorella è l’arpista compositrice Cecilia Chailly), ha studiato nei conservatori di Perugia, Roma e Milano. In seguito ha studiato direzione d’orchestra con Franco Ferrara a Siena.
All’età di vent’anni è diventato assistente di Claudio Abbado al Teatro alla Scala. Ha qui debuttato come direttore d’orchestra nel 1978 e in poco tempo ha diretto nei più prestigiosi teatri lirici del mondo, quali: Staatsoper di Vienna, Metropolitan Opera di New York, the Royal Opera House di Londra, Covent Garden sempre a Londra, al Festival di Salisburgo, all’Opera di Zurigo e al Bavarian State Opera di Monaco di Baviera. Ha diretto numerosissime orchestre sinfoniche, tra le quali i Berliner Philharmoniker, i Wiener Philharmoniker, l’Orchestra di Lipsia, la London Symphony
Orchestra, la New York Philharmonic Orchestra, la Cleveland Orchestra, la Philadelphia Orchestra, la Chicago Symphony Orchestra e l’Orchestra di Parigi. Dal 1986 al 1993 è stato direttore stabile del Teatro Comunale di Bologna. Nel 1988 è stato nominato direttore principale della Royal Concertgebouw Orchestra (KCO); dal 2002 direttore emerito. Nel 1999 ha assunto la carica di direttore musicale dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, della quale è poi diventato dal 2005 direttore onorario. Dal 2005 ha assunto la guida della Gewandhaus Orchestra e dell’Opera di Lipsia.