Preg.mo Presidente del Consiglio, Dott. Paolo Gentiloni,
mi son trovata sotto la pioggia sulla dodicesima Street davanti alla Casa Zerilli-Marimò della New York University martedì 19 settembre, per avere il privilegio di ascoltare il suo intervento “Reforming Italy in a Changing World” (Riformare l’Italia in un mondo che cambia). In fila, un gentiluomo e artista italiano con ombrello aperto mi ha riparato dall’ultima pioggia estiva. In Casa, un altro gentiluomo italiano, questa volta un politico (proprio Lei, Onorevole), ci ha riparato per un po’ dal clima politico attuale in America.
Prima di Lei, l’ultimo premier italiano che andai a sentire fu Giulio Andreotti nel 1992 quando la mia università, l’Università di Toronto, gli conferì una laurea honoris causa. Ero molto giovane e ingenua a quell’epoca, quasi incantata dal leader di “chiara fama”. Prima del Suo intervento, il dottor Albertini ha dichiarato che Lei entrava nella storia della NYU: è il primo premier dopo Andreotti a sedersi nella prima fila della sala della Casa Zerilli-Marimò. Mi sono rallegrata in modo particolare per la coincidenza con la mia storia personale. Già questo ha reso più leggera quell’attesa sotto la pioggia.
Mi hanno colpito vari aspetti del Suo intervento, ed ora che sono più matura e meno ingenua, direi sinceramente che il discorso e le successive domande dell’incontro sono stati davvero impressionanti. Innanzitutto, mi congratulo con Lei per la forte padronanza della lingua inglese (detto un inglese impeccabile, aristocratico), non solo durante l’intervento preparato, ma anche quando risponde alle domande del pubblico. Da professoressa di lingue straniere, per me è sempre bello vedere un politico che, oltre a essere competente a fare discorsi coesivi e logici nella sua madrelingua, è altrettanto in grado di farlo anche in altre lingue (il Suo predecessore, invece, ha avuto molto meno successo).
In più, mi congratulo con lei per aver affrontato non solo la questione della “brain drain” (la cosiddetta fuga dei cervelli), così prevalente nella società italiana, soprattutto i giovani, ma anche la questione del sistema d’istruzione universitaria. Sono professoressa e concordo pienamente con il Suo commento sulla necessità dei giovani italiani di uscire dall’Italia per arricchire la loro formazione accademica con esperienze all’estero. Anch’io esorto i miei studenti americani a studiare all’estero, a uscire dal loro guscio per esplorare nuove modalità di apprendimento e vivere fuori degli USA.

Afferma che una delle direzioni del governo per fronteggiare il fenomeno della partenza verso l’estero è quella di investire in ricerca scientifica e nei sistemi universitari in Italia. L’altra è quella di attrare più studenti stranieri alle università italiane. Vorrebbe aumentare il contingente di studenti stranieri che frequentano le università italiane, delle quali ci ricorda il livello di eccellenza. Concorda anche il dottor Albertini. In effetti, sarebbe impossibile trovare qualcuno che rifiuterebbe quest’affermazione sull’eccellenza delle università italiane – dopo tutto, l’Italia è patria della più antica università del mondo occidentale, l’Università di Bologna.
Le mie ricerche ultimamente si concentrano sul sistema universitario in generale. Avrei voluto che questa parte del dibattito si sviluppasse, se ne discutesse di più, con i docenti e studenti presenti. Avemmo potuto elaborare insieme questo discorso. Senz’altro avrà visto il 2018 Times Higher Education World University Ranking, la classifica delle università mondiali elaborata dalla rivista inglese e tra loro la posizione nel ranking delle università italiane. La classifica è stata redatta sulla base di macro indicatori riuniti in cinque categorie: formazione, ricerca, numero di citazioni, internazionalizzazione, trasferimento tecnologico e di conoscenze verso il sistema industriale. Tra gli atenei italiani, in tutto sono 39 nella classifica generale, con solo due tra le 200 migliori nel mondo.
La prima università italiana ad essere presente nella classifica è la Scuola Superiore Sant’Anna, che al 155o posto, si posiziona alla pari della TU Dresda e Ulm University (entrambe in Germania). In che posizione troviamo l’università più antica del mondo? In realtà, non ha posto. Cioè secondo il ranking della rivista inglese, si è classificata oltre la duecentesima posizione, nel range 201-250 … non esiste una vera e propria posizione. E i suoi commenti sul Politecnico di Milano (che si colloca tra i primi 100 per il programma di ingegneria e tecnologia e quello d’informatica), rientrano in classifica nel range 301-350. Lei ha assolutamente ragione in merito alla alta presenza di studenti stranieri al Politecnico di Milano, il 14% degli iscritti sono stranieri (la stessa percentuale di iscritti stranieri si trova solo in altri due atenei: Sant’Anna e Politecnico di Torino, nel range 401-500 della classifica).
Quindi sì, il suo governo ha assolutamente ragione di voler affrontare il sistema universitario e renderlo più attraente per gli studenti internazionali (come pure per gli studenti italiani). Sì, attiri più studenti provenienti dai paesi del Mediterraneo, in particolare nei paesi arabi, nei paesi africani e nei paesi balcanici, come ha sottolineato nella sua risposta. Tutto questo è importante per l’evoluzione delle università italiane ed è fondamentale nel riformare l’Italia. Tuttavia, non minimizziamo l’eccellenza in realtà accademiche per cui l’Italia è già riconosciuta … cultura e conoscenza per eccellenza. Iniziative in merito sono già state fatte e chi guarda questo video prodotto del Ministero degli Affari Esteri – Farnesina riconoscerà un’Italia di gran valore, avviando magari anche il desiderio di studiare in Italia.
Il know-how degli italiani fin dall’inizio della storia è radicato nel linguaggio – l’italiano è considerato la lingua degli angeli (secondo Thomas Mann), la lingua più romantica (secondo il sondaggio di Today’s Translations con 320 linguisti) e per i francesi, la lingua più sexy (secondo un recente studio di Babbel). Inoltre, le statistiche recenti indicano un aumento nello studio dell’italiano per motivi di lavoro.
Ha accennato alla polemica della laurea English-only del Politecnico di Milano in campi di studio per la laurea o la laurea magistrale. Tuttavia, nel febbraio 2017, la Corte Costituzionale ha deliberato che le università non possono offrire corsi di laurea specialistica esclusivamente in inglese. Sì all’internazionalizzazione purché la laurea non sacrifichi totalmente l’italiano. Lo dico come professoressa d’italiano. Lo dico come figlia d’immigrati italiani. Lo dico come membro di una delle più grandi comunità italiane fuori dall’Italia.
Per concludere, vorrei ribadire che è stato un vero onore poter assistere all’incontro piuttosto intimo alla Casa Zerillo-Marimò NYU sulla riforma dell’Italia. Quando questa riforma si verificherà, mi auguro che le iniziative e gli obiettivi del suo governo e dei governi successivi si concentrino verso un’Italia più internazionale ed equa, ma non a scapito degli italiani e della bella lingua.
Con profondo rispetto,
Enza Antenos, Ph.D.